Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16289 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16289 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 17/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15317/2019 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura in calce al ricorso; p.e.c. EMAIL;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e difende, ope legis ;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 7755/2018 depositata il 9/11/2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con avviso di accertamento sintetico l’Agenzia delle entrate -Direzione provinciale di Roma II- recuperava a imposizione maggior Irpef per l’anno di imposta 2007 nei confronti di NOME COGNOME, in
base alla capacità di spesa evidenziata dal mantenimento di un immobile, dal sostenimento delle spese per il mutuo nonché dall’acquisto di una autovettura nel 2008.
La Commissione tributaria provinciale di Roma (CTP) accoglieva il ricorso del contribuente, in particolare ritenendo fondata l’eccezione di decadenza, non essendo applicabile il termine quinquennale previsto per il caso di omessa dichiarazione dei redditi.
La Commissione tributaria regionale del Lazio (CTR) accoglieva l’appello erariale e rigettava l’appello incidentale del contribuente.
In particolare, ritenuto applicabile il termine quinquennale per l’omessa dichiarazione dei redditi anche nei casi di accertamento sintetico e di tipo induttivo, a prescindere dalla buona fede del contribuente, nel merito evidenziava che questi aveva sostenuto spese per incrementi patrimoniali per l’autovettura Mercedes acquistata nel 200 8, spese di mantenimento dell’appartamento di INDIRIZZO spese per rate del mutuo e che correttamente l’ufficio non aveva dato rilievo al provato disinvestiment o, costituito dalla vendita di un immobile della moglie, in quanto non era stata data prova dell’utilizzo della disponibilità finanziaria per un successivo reinvestimento né che la somma rimasta nella disponibilità del contribuente fosse stata utilizzata per il sostenimento delle spese di gestione dei beni a disposizione.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione, affidandosi a cinque motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 21/05/2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I primi tre motivi del ricorso attengono alla dedotta violazione dell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973 , alla mancanza di legittimazione del firmatario dell’avviso di accertamento e al mancato deposito della delega in atti . Premesso di aver impugnato l’avviso anche per tale
vizio e di aver proposto appello incidentale sul punto, a fronte della sentenza favorevole che aveva accolto l’eccezione di decadenza, il ricorrente censura la sentenza impugnata sotto tre profili.
Con il primo motivo , proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., si deduce omessa pronuncia sul motivo di appello incidentale.
Con il secondo motivo , proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., si deduce omesso esame di un fatto decisivo in quanto la CTR avrebbe omesso di spiegare perché tale motivo di appello sarebbe assorbito dalle altre ragioni della decisione, incorrendo quindi in nullità.
Con il terzo motivo , proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. , si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973, contestando la sussistenza della legittimazione alla sottoscrizione dell’atto e nulla essendo riferito circa il mancato deposito della delega al funzionario firmatario.
1.1. Occorre premettere che il ricorrente ha debitamente trascritto sia il ricorso introduttivo che le controdeduzioni con appello incidentale condizionato (anche prodotti in atti) da cui risulta che egli avesse proposto originariamente e poi devoluto all’esame del giudice dell’appello la questione della validità della firma apposta sull’avviso di accertamento da soggetto privo della qualifica dirigenziale e dell’assenza di prova della delega.
La CTR ha dato invece atto che l’appello incidentale riguardasse esclusivamente il governo delle spese e ritenuto che tutte le altre questioni fossero assorbite.
L’assorbimento di una domanda in senso proprio ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte che, con la pronuncia sulla domanda assorbente, ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre quello in senso improprio è ravvisabile quando la decisione assorbente esclude la necessità o la
possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande. Ne consegue che l’assorbimento erroneamente dichiarato si traduce in una omessa pronunzia (Cass. n. 12193/2020).
Deve quindi accogliersi il primo motivo sul punto, assorbiti gli altri.
Con il quarto motivo , proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., il ricorrente deduce la violazione degli artt. 41 e 43 d.P.R. n. 600 del 1973; il motivo attiene alla statuizione relativa alla insussistenza della decadenza applicandosi il termine di decadenza quinquennale, previsto dall’art. 43, secondo comma, per il caso di omessa dichiarazione, sostenendo il ricorrente che egli non aveva nulla da dichiarare percependo solo redditi di lavoro dipendente tassati alla fonte e sostenendo che la disposizione non si applichi ai casi di accertamento presuntivo in base al redditometro.
2.1. Il motivo è infondato.
L ‘art. 43, secondo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, nella formulazione ratione temporis vigente, prevede che, nei casi di omessa dichiarazione dei redditi (o di dichiarazione nulla), il termine, a pena di decadenza, per la notifica degli avvisi di accertamento -fissato in via generale dal primo comma al 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione dei redditi -sia quello del 31 dicembre del quinto anno successivo.
L’art. 1, quarto comma, lett. b), d.P.R. n. 600 del 1973 esonera dall’obbligo di presentare la dichiarazione le persone fisiche non obbligate alla tenuta di scritture contabili che possiedono soltanto redditi esenti e redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta.
Il discrimine tra le due norme è rappresentato, pertanto, dalla sussistenza o meno dell’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi.
L’avviso di accertamento notificato al contribuente si fondava sul presupposto dell’esistenza di redditi ulteriori rispetto a quelli derivanti dal rapporto di lavoro dipendente, determinati in relazione alla capacità di spesa correlata alla disponibilità di alcuni beni e servizi ed al realizzo di risparmio, considerati come indicatori di un’elevata capacità contributiva. La percezione di questi redditi, a prescindere dal metodo dell’accertamento, pertanto, escludeva il contribuente dal novero dei soggetti e sonerati dall’obbligo della dichiarazione.
Né vi è ragione di differenziare la posizione di colui che percepisca redditi tassati alla fonte, per i quali il datore di lavoro abbia l’obbligo di invio del CUD.
Questa Corte, sul punto, ha ritenuto, come pure chiarito dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 10/E del 14 maggio 2014, che qualora il contribuente, titolare di un CUD, abbia omesso di presentare la dichiarazione dei redditi, pur essendo obbligato a tale adempimento per aver prodotto oltre che un reddito di lavoro dipendente anche altri redditi, la decadenza dal potere di accertamento, ai sensi dell’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, non potrà che aversi, essendo stata omessa la dichiarazione dovuta, il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la stessa avrebbe dovuto essere presentata (Cass. n. 37149/2021; Cass. n. 34193/2021; Cass. n. 21959/2022; Cass. n. 33834/2022; Cass. n. 31320/2024; Cass. n. 9004/2025).
In mancanza di espressa disposizione normativa, del resto, deve escludersi che in tutte le ipotesi in cui il contribuente sia in possesso di redditi di lavoro dipendente e assimilati, certificati dal sostituto d’imposta mediante il CUD, la dichiarazione, a i fini della individuazione del termine di decadenza dal potere accertativo, possa considerarsi comunque presentata.
Viceversa, il maggior termine per l’accertamento deve ritenersi si applichi indistintamente a tutti coloro che, pur avendone l’obbligo,
omettano di presentare la dichiarazione dei redditi, così rientrando nell’ipotesi di cui all’art. 43, secondo comma, a prescindere dal fatto che, in quanto lavoratori dipendenti, il datore di lavoro abbia presentato il CUD in qualità di sostituto d’imposta . Il presupposto obiettivo per l’applicazione del termine lungo di accertamento è indicato sic et simpliciter nell’«omessa presentazione della dichiarazione» o nella «presentazione di dichiarazione nulla», ragion per cui, come correttamente osservato dalla Commissione tributaria regionale nella sentenza impugnata, è il fatto in sé e per sé dell’omissione, o della nullità, della dichiarazione, a venire in rilievo.
La ratio della disposizione è invero quella di consentire all’Amministrazione di fruire, per i controlli, di un termine più lungo rispetto alla situazione in cui invece disponga di una valida ed efficace dichiarazione da eventualmente solo rettificare.
Siffatto termine più lungo è collegato, cioè, alla mancata collaborazione iniziale del contribuente, mediante l’osservanza degli obblighi dichiarativi, che mette l’Amministrazione in una condizione di maggiore difficoltà per l’effettuazione dei controlli.
Donde, con specifico riferimento al caso che ne occupa, è da concludersi che l’essere il contribuente, in ordine ai rapporti trasparentemente intrattenuti con il Fisco, esonerato dall’obbligo di presentare dichiarazione non lo esentava altresì dagli obblighi dichiarativi in ordine ai rapporti con riferimento ai quali è contestata e ritenuta un’evasione totale d’imposta: è esclusivamente rispetto a questi ultimi, e non ai primi, infatti, che l’omissione assume rilevanza.
Va quindi affermato il seguente principio di diritto: «in tema di accertamento dei redditi, il termine di decadenza quinquennale previsto dall’art. 43, secondo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nella formulazione vigente ratione temporis , per il caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, si applica anche ove siano accertati, a seguito di metodo sintetico, maggiori
redditi non dichiarati rispetto ai redditi tassati alla fonte e indicati nel CUD».
Con il quinto motivo , proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., il ricorrente deduce violazione degli artt. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 e 2697 c.c., in quanto, pur essendo pacifico che egli avesse prodotto la compra vendita dell’immobile e la documentazione bancaria attestante la disponibilità sul conto cointestato a lui e alla moglie, della somma ritratta da tale vendita, la CTR avrebbe errato laddove ha ritenuto che il contribuente dovesse provare che proprio le somme oggetto del disinvestimento fossero state utilizzate per far fronte alle spese contestate.
3.1. Il motivo è fondato, nei termini che seguono.
Costante orientamento di questa Corte afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa, imponendo la legge stessa di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori dì capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass. n. 31579/2023; Cass. n. 1980/2020; Cass. n. 10266/2019; Cass. n. 5544/2019; Cass. n. 8933/2018; Cass. n. 8539/2017; Cass. n. 17487/2016; Cass. n. 930/2016; Cass. n. 21335/2015).
Rimane al contribuente l’onere di provare (oltre, eventualmente, l’insussistenza del presupposto, cioè la presenza dell’elemento indice di capacità contributiva), attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito, determinato o determinabile sinteticamente, è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a
ritenute alla fonte a titolo di imposta o, ancora, più in generale, secondo una ormai consolidata opinione di questa Corte, anche che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. n. 21142/2016; Cass. n. 18604/2012; Cass. n. 20588/2005).
Questa Corte ha chiarito, altresì, i confini della prova contraria che il contribuente può offrire, in ordine alla presenza di redditi non imponibili, per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’Amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate (come ritenuto in passato da Cass. n. 6813/2009, citata dall’amministrazione nel proprio controricorso), si ritiene che il contribuente «sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere»; è la norma stessa infatti a chiedere qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), in quanto, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere), in tal senso dovendosi leggere lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della «durata» del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi. Nè la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei
a dimostrare la «durata» del possesso dei redditi in esame (Cass. n. 19082/2022; Cass. n. 12600/2022; Cass. n. 12889/2018; Cass. n. 12207/2017; Cass. n. 1332/2016; Cass. n. 8995/2014).
Alla luce di tali principi, occorre rilevare che la CTR ha errato a ritenere che il contribuente dovesse dare « prova dell’utilizzo della disponibilità finanziaria per un successivo reinvestimento» e che non fosse stata data la prova «che la somma rimasta nella disponibilità del contribuente sia stata utilizzata per il sostenimento delle spese di gestione dei beni a disposizione», chiedendo una prova del collegamento diretto della provvista con le spese, dovendo invece valutare se fosse stata offerta una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere).
Il motivo va quindi accolto nei predetti termini.
Concludendo, vanno accolti il primo, con assorbimento del secondo e del terzo, e il quinto motivo del ricorso, mentre va rigettato il quarto; la sentenza va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, per nuovo esame alla luce dei predetti principi e cui si demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il quinto motivo del ricorso, rigettato il quarto, e assorbiti i residui motivi;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, per nuovo esame, cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 21/05/2025.