Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19286 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19286 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/07/2024
AVV_NOTAIO Acc IRPEF 2007
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3200/2016 R.G. proposto da:
COGNOME NOME , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’AVV_NOTAIO in Roma, INDIRIZZO.
– ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO, rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO, presso l’RAGIONE_SOCIALE.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 3452/13/2015, depositata in data 22 luglio 2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 giugno 2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Rilevato che:
In data 2 agosto 2013 NOME COGNOME riceveva notifica dell’avviso di accertamento ai fini IRPEF n. NUMERO_DOCUMENTO per l’anno d’imposta 2007. L’RAGIONE_SOCIALE -direzione
provinciale di Lecco -rideterminava sinteticamente il reddito complessivo della detta contribuente ex art. 38, quarto comma e ss., d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, accertando un maggior reddito di € 33.214,00 per l’anno d’imposta 2007 (per il quale non era stata presentata alcuna dichiarazione); la rettifica originava dal riscontro, operato dall’ufficio, della disponibilità della contribuente di beni e situazioni indicativi di capacità contributiva quali, segnatamente: autovettura, residenza principale, residenza secondaria, due polizze assicurative e spese per incrementi patrimoniali.
Avverso l’avviso di accertamento la contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Lecco; si costituiva in giudizio anche l’Ufficio, contestando i motivi di ricorso e chiedendo la conferma del proprio operato.
La C.t.p., con sentenza n. 240/02/2014, rigettava integralmente il ricorso della contribuente.
Contro tale decisione proponeva appello la contribuente dinanzi la C.t.r. della Lombardia; si costituiva anche l’RAGIONE_SOCIALE, chiedendo la conferma di quanto statuito in primo grado.
Con sentenza n. 3452/13/2015, depositata in data 22 luglio 2015, la C.t.r. adita rigettava il gravame della contribuente, confermando la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Lombardia, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 20 giugno 2024 per la quale la contribuente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Sulla violazione o falsa applicazione dell’art. 43 d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’ error in iudicando e l’omesso esame di un
fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. non ha riconosciuto effettuato oltre i termini l’accertamento di cui è causa, l’aggravio di un anno dei termini non essendo applicabile perché la mancata presentazione della dichiarazione per il 2007 era dovuta alla mancanza di presupposti per la stessa.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Sulla violazione o falsa applicazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’ error in iudicando e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. non ha riconosciuto la nullità dell’avviso per mancata attivazione del contraddittorio preventivo, che prescinde dalla previsione di specifica norma di legge.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Sulla violazione o falsa applicazione degli artt. 38 del d.P.R. n. 600/1973 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’ error in iudicando e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r . ha attuato un’inversione dell’onere probatorio a suo carico fondata sulla tesi per cui la disponibilità dei cc.dd. beni indice costituisce una presunzione legale di capacità contributiva e non, invece, una presunzione semplice.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, così rubricato: «Sulla violazione o falsa applicazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’ error in iudicando e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. ha dichiarato inapplicabile al caso di specie il c.d. nuovo redditometro, poiché farebbe riferimento a periodi di imposta successivi al 2009, quanto, in realtà, esso è suscettibile di
applicazione retroattiva per via della sua natura di disciplina procedimentale.
Il primo motivo di ricorso, con cui si sottolinea la non applicabilità al caso di specie del termine quinquennale per l’accertamento relativo al caso di omessa dichiarazione, è innanzitutto inammissibile in parte qua, siccome richiamata la censura di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., rilevando , nella fattispecie, l’applicazione della previsione di cui all’art. 348 ter ultimo comma c.p.c., così come riformulato dal d.l. 22/6/2012, n. 83 conv. nella legge 11/8/2012, n. 143 che, per l’ipotesi di cd. doppia conforme, avendo il giudice di appello confermato la sentenza di primo grado di rigetto del ricorso del contribuente, sulla base RAGIONE_SOCIALE medesime ragioni inerenti alle questioni di fatto a sostegno della sentenza di primo grado, preclude la deducibilità in sede di legittimità del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma cod. proc. civ. Tale nuova norma è sicuramente applicabile alla fattispecie in oggetto atteso che l’atto di appello è stato depositato in data 28 gennaio 2015 e, quindi, ben oltre il trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione.
2.1. Il motivo è anche infondato, quanto alla censura di error in iudicando .
L’art. 43, secondo comma, d.P.R. 29 n. 600/1973, nella formulazione ratione temporis applicabile, prevede, nei casi di omessa dichiarazione dei redditi (o di dichiarazione nulla), che il termine, a pena di decadenza, per la notifica degli avvisi di accertamento -fissato in via RAGIONE_SOCIALE dal primo comma al 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione dei redditi -sia quello del 31 dicembre del quinto anno successivo.
L’art. 1, quarto comma, lett. b), d.P.R. n. 600/1973 esonera dall’obbligo di presentare la dichiarazione le persone fisiche non
obbligate alla tenuta di scritture contabili che possiedono soltanto redditi esenti e redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta.
Il discrimine tra le due norme è rappresentato, pertanto, dalla sussistenza o meno dell’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi.
2.2. Pertanto, nel momento in cui l’Ufficio dà avvio al procedimento accertativo, può basarsi unicamente sulla sussistenza di due dati oggettivi: indici di capacità reddituale dati dai beni posseduti, dalle spese sostenute e dagli incrementi patrimoniali effettuati; discrepanza tra il reddito presunto da questi ultimi e quello dichiarato o, nel caso estremo, il fatto che nulla sia stato dichiarato (nel primo caso l’Ufficio avrà quattro anni di tempo per esercitare il potere di accertamento, nel secondo, invece, cinque).
2.3. Dunque, deve ritenersi corretta la decisione RAGIONE_SOCIALE C.t.r., la quale sul punto ha statuito che: «Va infatti in questa sede ribadita l’insussistenza della decadenza dell’Ufficio dal potere accertativo per l’anno d’imposta 2007, eccepita dalla contribuente sulla base dell’applicabilità alla fattispecie del termine quadriennale previsto per la notifica dell’accertamento da comma 1 dell’art. 43 DPR n. 600/73 (in luogo di quello quinquennale di cui al secondo comma della disposizione citata -operante per il caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi – applicato dall’Ufficio), per non essere essa tenuta alla presentazione di detta dichiarazione per l’anno 2007, sì che nessuna omissione si era verificata al proposito. Trascura con ciò la COGNOME – la quale ha richiamato le istruzioni allegate al moRAGIONE_SOCIALE fiscale, affermando che nessun obbligo di dichiarazione da parte sua ricorreva in quanto tenuta al pagamento di un’imposta lorda inferiore ad € 10,33 – che la disposizione di cui all’art. 43 del DPR. 600/73 dettata in tema di termini dell’accertamento costituisce previsione destinata a disciplinare l’esercizio del potere di accertamento dell’Ufficio, dal
cui punto di vista va pertanto individuato il presupposto per la decorrenza dei diversi termini stabiliti. Ne discende che ad un accertamento della disponibilità di redditi imponibili come quello di specie, intrinsecamente correlato l’obbligo di presentazione della dichiarazione fiscale da parte del contribuente accertato, con la conseguenza che – ove tale obbligo non risulti assolto – non potrà che configurarsi una fattispecie di omessa presentazione cui è applicabile il termine quinquennale di cui al secondo comma dell’art. 43».
Il secondo motivo di ricorso, con cui parte ricorrente si duole dell’operato dei Giudici di secondae curae perché non hanno rilevato l’esistenza dell’obbligo di contraddittorio preventivo in materia di redditometro, è innanzitutto inammissibile in parte qua, siccome richiamata la censura di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., rilevando , nella fattispecie, l’applicazione della previsione di cui all’art. 348 ter ultimo comma c.p.c., così come riformulato dal d.l. 22/6/2012, n. 83 conv. nella legge 11/8/2012, n. 143.
3.1 Il motivo è anche infondato, quanto alla censura di error in iudicando .
La giurisprudenza consolidata di questa Corte ha statuito che non esiste nel nostro ordinamento un RAGIONE_SOCIALE obbligo di contraddittorio endoprocedimentale. Difatti: «Allo stato attuale della legislazione non sussiste, nell’ordinamento tributario nazionale, una clausola RAGIONE_SOCIALE di contraddittorio endoprocedimentale (…) un argomento asseverante a contrario risiede proprio nel dato normativo dell’art. 22, comma primo, d.l. n. 78/2010, convertito nella legge n. 122 del 2010 che ha introdotto l’obbligo del contraddittorio endo-procedimentale in tema di accertamento sintetico “con effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto
alla data di entrata in vigore del presente decreto”» (Cass. n. 3885/2016).
3.2. Più in particolare, le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 24823/2015, hanno affermato il seguente principio di diritto: «Differentemente dal diritto dell’Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone RAGIONE_SOCIALE di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento RAGIONE_SOCIALE strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto».
Le Sezioni Unite hanno evidenziato, appunto, come, nella normativa tributaria nazionale, in relazione ai tributi non armonizzali, non si rinvenga alcuna disposizione espressa che sancisca in via RAGIONE_SOCIALE l’obbligo del contraddittorio
endoprocedimentale, al di fuori di precise disposizioni che tale contraddittorio prescrivono, peraltro a condizioni e con modalità ed effetti differenti, in rapporto a singole ben specifiche ipotesi, quale «l’articolo 38, comma 7, d.p.r. 600173 (come modificato dall’art. 22, comma I, di. 78/2010, convertito in 1. 12212010), in tema di accertamento sintetico».
3.3. Orbene, trattandosi di accertamento ai fini IRPEF relativo all’anno d’imposta 2007, non può che evidenziarsi come la C.t.r., alla luce dei principi suddetti, abbia correttamente non rilevato l’obbligatorietà all’espletamento del contraddittorio per il caso di specie.
Il terzo motivo di ricorso, relativo al valore di presunzione legale o meno RAGIONE_SOCIALE strumento del redditometro e, conseguentemente, al corretto riparto dell’onere probatorio tra ufficio e contribuente, è innanzitutto inammissibile in parte qua,, siccome richiamata la censura di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., rilevando, nella fattispecie, l’applicazione della previsione di cui all’art. 348 ter ultimo comma c.p.c., così come riformulato dal d.l. 22/6/2012, n. 83 conv. nella legge 11/8/2012, n. 143, siccome richiamata la censura di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ.
4.1 Il motivo è anche infondato, quanto alla censura di error in iudicando .
Il metodo di accertamento fondato sul c.d. «redditometro» collega alla disponibilità di determinati beni e servizi in capo al contribuente, un certo importo, che, moltiplicato per un coefficiente, consente di individuare il valore del reddito del soggetto secondo criteri statistici e presuntivi, elaborati anche tenendo conto dei costi di mantenimento del bene o servizio in questione.
L’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel disciplinare il metodo di accertamento sintetico del reddito, nel testo vigente ratione
temporis (cioè tra la L. 30 dicembre 1991, n. 413 e il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla L. 30 luglio 2010, n. 122), prevede, da un lato (quarto comma), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (quinto comma), contempla le «spese per incrementi patrimoniali», cioè quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Ai sensi del sesto comma dell’art. 38 citato, resta salva la prova contraria, da parte del contribuente, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o, più in RAGIONE_SOCIALE, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.
4.2. Costante orientamento di questa Corte afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa, imponendo la legge stessa di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori dì capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) RAGIONE_SOCIALE somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass. n. 1980/2020, Cass. n. 10266/2019, Cass. n. 5544/2019, Cass. n. 8933/2018, Cass. n. 8539/2017, Cass. n. 17487/2016, Cass. n. 930/2016 e Cass. n. 21335/2015). Rimane al contribuente l’onere
di provare (oltre, eventualmente, l’insussistenza del presupposto, cioè la presenza dell’elemento indice di capacità contributiva), attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito, determinato o determinabile sinteticamente, è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o, ancora, più in RAGIONE_SOCIALE, secondo una ormai consolidata opinione di questa Corte, anche che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. n. 21142/2016, Cass. n. 18604/2012 e Cass. n. 20588/2005).
4.3. Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha chiarito, altresì, i confini della prova contraria che il contribuente può offrire, in ordine alla presenza di redditi non imponibili, per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente «sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere»; è la norma stessa infatti a chiedere qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), in quanto, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere), in tal senso dovendosi leggere lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità
contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi. Né la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame (Cass. n. 37985/2022, Cass. n. 19082/2022, Cass. n. 12600/2022, Cass. n. 12889/2018, Cass. n. 12207/2017, Cass. n. 1332/2016 e Cass. n. 8995/2014).
4.4. La C.t.r., nella decisione impugnata, con una motivazione scevra da censure ha fatto buon governo dei principi illustrati laddove ha concluso che: «deve rimarcarsi come la contribuente non abbia fornito elementi giustificativi della capacità di reddito attribuitale diversi ed ulteriori rispetto a quelli già considerati a suo favore dall’Ufficio, come l’erogazione da parte del padre RAGIONE_SOCIALE somme necessarie all’acquisto della seconda casa e del pagamento del mutuo sulla stessa gravante».
5. Il quarto motivo di ricorso, che attiene all’applicazione della nuova disciplina del redditometro di cui all’art. 22 del D.L. n. 78/2010 anche agli accertamenti ante 2009, è innanzitutto inammissibile in parte qua, siccome richiamata la censura di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., rilevando, nella fattispecie, l’applicazione della previsione di cui all’art. 348 ter ultimo comma c.p.c., così come riformulato dal d.l. 22/6/2012, n. 83 conv. nella legge 11/8/2012, n. 143, siccome richiamata la censura di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ.
5.1. Il motivo è anche infondato, quanto alla censura di error in iudicando .
L’applicabilità al caso di specie della disciplina del c.d. nuovo redditometro è esclusa dallo stesso legislatore.
5.1. In conformità a quanto già chiarito nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 7269/2022), al caso di specie si applica, ratione temporis , l’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 nella versione
antecedente le modifiche introdotte dall’art. 22 D.L. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122/2010, poiché tale novella si applica solo a far data dall’anno d’imposta 2009. Infatti, il primo comma del predetto art. 22 D.L. n. 78 del 2010 espressamente prevede che le modifiche che esso reca al testo dell’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 abbiano «effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto», vale a dire per gli accertamenti del reddito relativi ai periodi d’imposta successivi al 2009, tra i quali non sono compresi quelli sub iudice . A sua volta, l’art. 5 d.m. 24 dicembre 2012, conformemente alla citata disposizione di legge, statuisce che le «disposizioni contenute nel presente decreto si rendono applicabili alla determinazione dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni d’imposta a decorrere dal 2009».
5.2. Al riguardo questa Corte, nell’escludere l’applicazione retroattiva della novella in questione, ha già avuto modo di chiarire che: a) non sono in questione i principi sulla retroattività, atteso che la giurisprudenza che afferma l’applicabilità degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e del 19 novembre 1992 ai periodi d’imposta precedenti alla loro adozione (da ultimo, ex plurimis , Cass. n. 556/2019) si fonda piuttosto sulla natura procedimentale RAGIONE_SOCIALE norme dei decreti, dalla quale soltanto (e non dalla retroattività) consegue la loro applicazione con riferimento al momento dell’accertamento; b) neppure è in questione il principio del favor rei , la cui applicazione è predicabile unicamente rispetto a norme sanzionatorie, non invece in materia di poteri di accertamento o di formazione della prova, rilevanti in materia di redditometro; c) comunque, l’individuazione della norma applicabile è questione di diritto intertemporale e di fronte alla esplicita previsione di diritto transitorio, già richiamata, che inequivocabilmente identifica la norma applicabile, è recessivo
anche il principio tempus regit actum , altrimenti applicabile alle norme che dovessero qualificarsi come procedimentali (Cass. n. 21041/2014, Cass. n. 22744/2015, Cass. n. 1772/2016 e Cass. n. 30355/2019).
5.3. Nella fattispecie in esame, dunque, la RAGIONE_SOCIALEt.rRAGIONE_SOCIALE ha fatto buon governo dei principi normativi e giurisprudenziali allorquando ha ritenuto che, trattandosi di accertamento relativo all’anno d’imposta 2007, non potesse trovare applicazione la disciplina del c.d. nuovo redditometro di cui all’art. 22 del D.L. n. 78/2010.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’RAGIONE_SOCIALE le spese processuali che si liquidano in € 2.400,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 20 giugno 2024.