Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18799 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18799 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/07/2024
AVV_NOTAIO Acc IRPEF 2008
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3202/2016 R.G. proposto da:
COGNOME NOME , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’AVV_NOTAIO in Roma, INDIRIZZO.
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO, rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO, presso l’RAGIONE_SOCIALE.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 3451/13/2015, depositata in data 22 luglio 2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 giugno 2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Rilevato che:
In data 2 agosto 2013 NOME COGNOME riceveva notifica dell’avviso di accertamento ai fini IRPEF n. NUMERO_DOCUMENTO per l’anno d’imposta 2008. L’RAGIONE_SOCIALE -direzione
provinciale di Lecco -rideterminava sinteticamente il reddito complessivo della detta contribuente ex art. 38, quarto comma e ss., d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, rettificando il reddito dichiarato pari a € 21.619,00 e accertando un maggior reddito di € 113.086,00 per l’anno d’imposta 2008; la rettifica originava dal riscontro, operato dall’ufficio, della disponibilità della contribuente di beni e situazioni indicativi di capacità contributiva quali, segnatamente: autovettura, residenza principale, residenza secondaria, polizza assicurativa e spese per incrementi patrimoniali.
Avverso l’avviso di accertamento la contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Lecco; si costituiva in giudizio anche l’Ufficio, contestando i motivi di ricorso e chiedendo la conferma del proprio operato.
La C.t.p., con sentenza n. 150/02/2014, accoglieva integralmente il ricorso della contribuente.
Contro tale decisione proponeva appello l’RAGIONE_SOCIALE dinanzi alla C.t.r. della Lombardia; si costituiva anche la contribuente, chiedendo la conferma di quanto statuito in primo grado.
Con sentenza n. 3451/13/2015, depositata in data 22 luglio 2015, la C.t.r. adita accoglieva il gravame dell’Ufficio, condannando la contribuente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese per entrambi i gradi di giudizio.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Lombardia, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 20 giugno 2024 per la quale la contribuente ha depositato memoria
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Sulla violazione o falsa applicazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 600/1973, in relazione
all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’ error in iudicando e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. non ha riconosciuto la nullità dell’avviso per mancata attivazione del contraddittorio preventivo, che prescinde dalla previsione di specifica norma di legge.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Sulla violazione o falsa applicazione degli artt. 38 del d.P.R. n. 600/1973 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’ error in iudicando e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. ha attuato un’inversione dell’onere probatorio a suo carico fondata sulla tesi per cui la disponibilità dei cc.dd. beni indice costituisce una presunzione legale di capacità contributiva e non, invece, una presunzione semplice.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Sulla violazione o falsa applicazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’ error in iudicando e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. ha dichiarato inapplicabile al caso di specie il c.d. nuovo redditometro, poiché farebbe riferimento a periodi di imposta successivi al 2009, quanto, in realtà, esso è suscettibile di applicazione retroattiva per via della sua natura di disciplina procedimentale.
Il primo motivo di ricorso, con cui parte ricorrente si duole dell’operato dei Giudici di secondae curae perché non hanno rilevato l’esistenza dell’obbligo di contraddittorio preventivo in materia di redditometro, è infondato.
2.1. La giurisprudenza consolidata di questa Corte ha statuito che non esiste nel nostro ordinamento un RAGIONE_SOCIALE obbligo di
contraddittorio endoprocedimentale. Difatti: «Allo stato attuale della legislazione non sussiste, nell’ordinamento tributario nazionale, una clausola RAGIONE_SOCIALE di contraddittorio endoprocedimentale (…) un argomento asseverante a contrario risiede proprio nel dato normativo dell’art. 22, comma primo, d.l. n. 78/2010, convertito nella legge n. 122 del 2010 che ha introdotto l’obbligo del contraddittorio endo-procedimentale in tema di accertamento sintetico “con effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto”» (Cass. n. 3885/2016).
2.2. Più in particolare, le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 24823/2015, hanno affermato il seguente principio di diritto: «Differentemente dal diritto dell’Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette
ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone RAGIONE_SOCIALE di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento RAGIONE_SOCIALE strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto».
Le Sezioni Unite hanno evidenziato, appunto, come, nella normativa tributaria nazionale, in relazione ai tributi non armonizzali, non si rinvenga alcuna disposizione espressa che sancisca in via RAGIONE_SOCIALE l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale, al di fuori di precise disposizioni che tale contraddittorio prescrivono, peraltro a condizioni e con modalità ed effetti differenti, in rapporto a singole ben specifiche ipotesi, quale «l’articolo 38, comma 7, d.p.r. 600173 (come modificato dall’art. 22, comma I, di. 78/2010, convertito in 1. 12212010), in tema di accertamento sintetico».
2.3. Orbene, trattandosi di accertamento ai fini IRPEF relativo all’anno d’imposta 2008, non può che evidenziarsi come la C.t.r., alla luce dei principi suddetti, abbia correttamente non rilevato l’obbligatorietà all’espletamento del contraddittorio per il caso di specie.
Il secondo motivo di ricorso, con cui si sottolinea la non applicabilità al caso di specie del termine quinquennale per l’accertamento relativo al caso di omessa dichiarazione, è infondato.
3.1. L’art. 43, secondo comma, d.P.R. 29 n. 600/1973, nella formulazione ratione temporis applicabile, prevede, nei casi di omessa dichiarazione dei redditi (o di dichiarazione nulla), che il termine, a pena di decadenza, per la notifica degli avvisi di accertamento -fissato in via RAGIONE_SOCIALE dal primo comma al 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata
presentata la dichiarazione dei redditi -sia quello del 31 dicembre del quinto anno successivo.
L’art. 1, quarto comma, lett. b), d.P.R. n. 600/1973 esonera dall’obbligo di presentare la dichiarazione le persone fisiche non obbligate alla tenuta di scritture contabili che possiedono soltanto redditi esenti e redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta.
Il discrimine tra le due norme è rappresentato, pertanto, dalla sussistenza o meno dell’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi.
3.2. Pertanto, nel momento in cui l’Ufficio dà avvio al procedimento accertativo, può basarsi unicamente sulla sussistenza di due dati oggettivi: indici di capacità reddituale dati dai beni posseduti, dalle spese sostenute e dagli incrementi patrimoniali effettuati; discrepanza tra il reddito presunto da questi ultimi e quello dichiarato o, nel caso estremo, il fatto che nulla sia stato dichiarato (nel primo caso l’Ufficio avrà quattro anni di tempo per esercitare il potere di accertamento, nel secondo, invece, cinque).
3.3. Dunque, deve ritenersi corretta la decisione RAGIONE_SOCIALE C.t.r., la quale sul punto ha statuito che: «Va infatti in questa sede ribadita l’insussistenza della decadenza dell’Ufficio dal potere accertativo per l’anno d’imposta 2007, eccepita dalla contribuente sulla base dell’applicabilità alla fattispecie del termine quadriennale previsto per la notifica dell’accertamento da comma 1 dell’art. 43 DPR n. 600/73 (in luogo di quello quinquennale di cui al secondo comma della disposizione citata -operante per il caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi – applicato dall’Ufficio), per non essere essa tenuta alla presentazione di detta dichiarazione per l’anno 2007, sì che nessuna omissione si era verificata al proposito. Trascura con ciò la COGNOME – la quale ha richiamato le istruzioni allegate al moRAGIONE_SOCIALE fiscale, affermando che nessun obbligo di dichiarazione da parte sua ricorreva in quanto
tenuta al pagamento di un’imposta lorda inferiore ad € 10,33 – che la disposizione di cui all’art. 43 del DPR. 600/73 dettata in tema di termini dell’accertamento costituisce previsione destinata a disciplinare l’esercizio del potere di accertamento dell’Ufficio, dal cui punto di vista va pertanto individuato il presupposto per la decorrenza dei diversi termini stabiliti. Ne discende che ad un accertamento della disponibilità di redditi imponibili come quello di specie, intrinsecamente correlato l’obbligo di presentazione della dichiarazione fiscale da parte del contribuente accertato, con la conseguenza che – ove tale obbligo non risulti assolto – non potrà che configurarsi una fattispecie di omessa presentazione cui è applicabile il termine quinquennale di cui al secondo comma dell’art. 43».
Il terzo motivo di ricorso, che attiene all’applicazione della nuova disciplina del redditometro di cui all’art. 22 del D.L. n. 78/2010 pure agli accertamenti ante 2009, è anch’esso infondato.
L’applicabilità al caso di specie della disciplina del c.d. nuovo redditometro è esclusa dallo stesso legislatore.
4.1. In conformità a quanto già chiarito nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 7269/2022), al caso di specie si applica, ratione temporis , l’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 nella versione antecedente le modifiche introdotte dall’art. 22 D.L. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122/2010, poiché tale novella si applica solo a far data dall’anno d’imposta 2009. Infatti, il primo comma del predetto art. 22 D.L. n. 78 del 2010 espressamente prevede che le modifiche che esso reca al testo dell’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 abbiano «effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto», vale a dire per gli accertamenti del reddito relativi ai periodi d’imposta successivi al 2009, tra i quali non sono compresi quelli sub iudice . A sua volta, l’art. 5 d.m. 24 dicembre 2012,
conformemente alla citata disposizione di legge, statuisce che le «disposizioni contenute nel presente decreto si rendono applicabili alla determinazione dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni d’imposta a decorrere dal 2009».
4.2. Al riguardo questa Corte, nell’escludere l’applicazione retroattiva della novella in questione, ha già avuto modo di chiarire che: a) non sono in questione i principi sulla retroattività, atteso che la giurisprudenza che afferma l’applicabilità degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e del 19 novembre 1992 ai periodi d’imposta precedenti alla loro adozione (da ultimo, ex plurimis , Cass. n. 556/2019) si fonda piuttosto sulla natura procedimentale RAGIONE_SOCIALE norme dei decreti, dalla quale soltanto (e non dalla retroattività) consegue la loro applicazione con riferimento al momento dell’accertamento; b) neppure è in questione il principio del favor rei , la cui applicazione è predicabile unicamente rispetto a norme sanzionatorie, non invece in materia di poteri di accertamento o di formazione della prova, rilevanti in materia di redditometro; c) comunque, l’individuazione della norma applicabile è questione di diritto intertemporale e di fronte alla esplicita previsione di diritto transitorio, già richiamata, che inequivocabilmente identifica la norma applicabile, è recessivo anche il principio tempus regit actum , altrimenti applicabile alle norme che dovessero qualificarsi come procedimentali (Cass. n. 21041/2014, Cass. n. 22744/2015, Cass. n. 1772/2016 e Cass. n. 30355/2019).
4.3. Nella fattispecie in esame, dunque, la RAGIONE_SOCIALE.t.r. ha fatto nuovamente buon governo dei principi normativi e giurisprudenziali allorquando ha ritenuto che, trattandosi di accertamento relativo all’anno d’imposta 2008, non potesse trovare applicazione la disciplina del c.d. nuovo redditometro di cui all’art. 22 del D.L. n. 78/2010.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere all’RAGIONE_SOCIALE le spese processuali che si liquidano in € 4.300,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 20 giugno 2024.