Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7672 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7672 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/03/2024
AVVISO ACCERTAMENTO IRPEF 2007-2008
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18574/2016 R.G. proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO in virtù di procura speciale a margine del ricorso,
-ricorrente -contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 369/44/2016, depositata il 21 gennaio 2016;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza in camera di consiglio del 30 novembre 2023 dal consigliere AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– Rilevato che:
Con distinti avvisi di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO e n. NUMERO_DOCUMENTO L’RAGIONE_SOCIALE rideterminava in via sintetica ex art. 38, commi 4, 5, e 6, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nei confronti di NOME, il reddito per gli anni d’imposta 2007 (quantificandolo in euro 60.341,13) e 2008 (quantificandolo in euro 47.287,37), calcolando quindi le relative maggiori imposte IRPEF, con addizionali ed interessi.
Fallita la procedura di accertamento con adesione, la contribuente impugnava i suddetti avvisi di accertamento dinanzi alla Commissione tributaria RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE la quale, con sentenze n. 6350/05/2014 e n. 6353/05/2014, depositate il 30 giugno 2014, accoglieva i relativi ricorsi, annullando gli atti impugnati.
Interposto gravame dall’Ufficio, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza n. 369/44/2016, pronunciata il 23 novembre 2015 e depositata in segreteria il 21 gennaio 2016, previa riunione dei giudizi accoglieva gli appelli, confermando la legittimità degli avvisi di accertamento impugnati, e condannando la contribuente alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di lite.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione NOMEice NOME, sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso l ‘RAGIONE_SOCIALE .
La discussione del ricorso è stata fissata dinanzi a questa sezione per l’adunanza in camera di consiglio del 30 novembre 2023, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1 cod. proc. civ.
– Considerato che:
Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a tre motivi.
1.1. Con il primo motivo di ricorso NOMEice COGNOME eccepisce violazione e falsa applicazione degli artt. 38 e 43 del d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 22 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, conv. dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ.
Rileva la contribuente che l’accertamento sintetico in oggetto riguardava incrementi patrimoniali avvenuti nell’anno 2009, per il quale, tuttavia, non era stato emesso alcun avviso di accertamento, ragion per cui l’Ufficio non avrebbe potuto ‘spalmare’ il presunto maggior reddito negli anni precedenti, secondo quanto previsto dall’art. 38, comma 4, d.P.R. n. 600/1973, nel testo vigente ratione temporis , tanto più che, per l’anno 2009, vigevano norme che non avrebbero più consentito tale ‘spalmatura per quinti’, in forza RAGIONE_SOCIALE modifiche introdotto con l’art. 22, comma 1, del d.l. n. 78/2010, conv. dalla legge n. 122/2010.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., nonché degli artt. 38 e 43 del d.P.R. n. 600/1973 e degli artt. 2697 e 2727 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ.
Deduce la ricorrente che, contrariamente a quanto affermato dalla C.T.R., ella, sin dal primo grado di giudizio e per
entrambe le annualità, aveva contestato gli indici di capacità contributiva, in quanto l’Ufficio non aveva applicato i principi in tema di reddito complessivo del nucleo familiare, tenendo conto che ella conviveva con il coniuge, il cui reddito per l’anno 2009 non era mai stato oggetto di rettifica.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente eccepisce nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e degli artt. 38 e 43 del d.P.R. n. 600/1973, nonché degli artt. 2697 e 2727 cod civ., in relazione all’a rt. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, che la sentenza impugnata aveva omesso di dare conto di avere esaminato le eccezioni di parte, senza porre a fondamento della decisione alcun ulteriore elemento e/o valutazione giuridica da cui traspaia l’iter logico -deduttivo, così incorrendo nel vizio di omessa motivazione o di motivazione apparente.
Così delineati i motivi di ricorso, la Corte osserva quanto segue.
2.1. Il terzo motivo di ricorso -che va esaminato prioritariamente poiché riguarda un vizio di nullità che, se sussistente, travolgerebbe interamente la sentenza impugnata -è infondato in quanto la motivazione della decisione impugnata supera certamente il tetto del cd. minimo costituzionale (Cfr. Cass. 30 giugno 2020, n. 13248; Cass. 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. 7 aprile 2014, n. 8053), essendo in essa indicate le ragioni per le quali la C.T.R. ha ritenuto applicabili agli anni 2007 e 2008 degli incrementi patrimoniali realizzatisi nell’anno 2009, essendosi peraltro tenuto conto dei redditi del coniuge della contribuente e del fatto che
quest’ultima non ha indicato alcun concreto documento o giustificativo di spesa che non sarebbe stato considerato o valutato dall’RAGIONE_SOCIALE.
2.2. Anche il primo motivo è infondato.
In base al d.P.R. n. 600/1973, art. 38, comma 4, applicabile ratione temporis , «l’ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall’art. 39, può, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato. A tal fine, con decreto del Ministro RAGIONE_SOCIALE finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, sono stabilite le modalità in base alle quali l’ufficio può determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito in relazione ad elementi indicativi di capacità contributiva individuati con lo stesso decreto, quando il reddito dichiarato non risulta congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi di imposta».
In base al comma 5, inoltre, «qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti».
Ora, secondo una isolata pronuncia (Cass. 12 aprile 2016, n. 7147), l’Ufficio potrebbe determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito in relazione ad elementi indicativi di capacità contributiva individuati con lo stesso decreto, quando
il reddito dichiarato non risulti congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi di imposta, e con ciò si riferisce inequivocabilmente agli elementi indicativi di capacità contributiva che sono emersi negli anni concretamente oggetto di accertamento (e non anche di quelli che sono emersi negli anni successivi), perché altrimenti il metodo diverso posto in atto dall’Amministrazione precluderebbe al contribuente vuoi di dimostrare di avere goduto, appunto, negli anni successivi di redditi idonei a giustificare da sé soli gli incrementi patrimoniali realizzati nel corso di detti anni successivi (e senza necessità di operare la somma dei redditi complessivi dei periodi tra loro combinati e perciò senza necessità di “spalmare” negli anni antecedenti la prova dell’esistenza di una adeguata provvista), vuoi di dimostrare l’inesistenza di una continuità sufficiente, siccome condizione per l’esercizio della modalità induttiva dell’accertamento (e cioè, appunto, la non congruità del reddito per almeno un quarto di differenza e per almeno due periodi di imposta). Con il metodo “parcellizzato” utilizzato nel presente caso (tale da ricondurre ad autonomia la singola frazione annuale derivante alla “spalmatura” della spesa effettuata) si realizzerebbe, invece, la esorbitante potestà per l’Amministrazione di tenere in considerazione elementi indiziari di capacità contributiva anche riferiti a periodi di imposta non connotati da indizio di non congruità e comunque di prescindere da un criterio di “continuità” tra i periodi considerati che – per quanto non necessariamente “consecutivi” – non possono ovviamente essere così distanti tra loro (anche cinque anni, ove si legittimasse il metodo di cui qui si tratta) da elidere completamente la sintomaticità della “non
congruità plurima” che il legislatore ha voluto considerare come necessaria condizione. E d’altronde, la consapevolezza che l’Amministrazione abbia – al momento di effettuare l’accertamento – di incrementi patrimoniali intervenuti in anni successivi consentirebbe senz’altro il coinvolgimento nell’accertamento anche dei detti anni successivi, ai quali l’indagine dovrebbe inevitabilmente estendersi ove ne sussistano i presupposti richiesti dalla norma. La circostanza che l’Amministrazione non lo faccia non può che lasciare indurre che manchino presupposti richiesti dalla norma (la non congruità, in primo luogo) e che – perciò – il metodo della “spalmatura” a ritroso costituisca un sistema per far confluire negli accertamenti dei periodi presi in considerazione i soli elementi favorevoli all’Amministrazione stessa e non anche quelli che (grazie al metodo della sommatoria dei redditi conseguiti nel periodo in corso ed in quelli antecedenti) siano favorevoli alla parte contribuente.
In altri termini, sembra logico interpretare siffatto aspetto del meccanismo della metodologia di accertamento qui in discorso (che è stato abolito dal d.Ll. n. 78 del 2010, in relazione ai periodi successivi all’emanazione, evidentemente per la sua dubbia coerenza sistematica), nel senso che le condizioni di non congruità devono essere presenti in maniera autonoma ed indipendente per ciascun anno preso a riferimento e non come riflesso di un calcolo fittizio effettuato “per trascinamento” dei presupposti riferiti al diverso (e successivo) anno d’imposta. Una conferma RAGIONE_SOCIALE conclusioni che precedono deriverebbe dalla considerazione del riflesso che sull’esercizio della potestà di accertamento si genererebbe per l’ipotesi di una diversa
ricostruzione del meccanismo; volendosi far retrocedere agli anni antecedenti le conseguenze degli incrementi patrimoniali generatisi negli anni successivi anche in termini di sussistenza dei presupposti (nell’ottica della non congruità) e non semplicemente di identificazione degli elementi di giustificazione della provvista, sarebbe anche inevitabile (pena l’introduzione di un limite automatico alla “spalmabilità” pluriennale) consentire la accertabilità a ritroso dei periodi di imposta nei quali il presupposto della non congruità si genera esclusivamente per effetto della “spalmatura” pro quota del valore dell’incremento; con l’effetto di consentire il superamento del limite del termine di decadenza della potestà accertativa (per l’inevitabilmente coinvolgimento di un arco temporale più ampio di quello ordinario quinquennale, considerando a ritroso dal momento di adozione dell’accertamento) nella prospettiva del recupero di periodi di imposta ex se carenti del requisito di non congruità.
Tuttavia, una tale lettura non è condivisa da questo Collegio, anche perché si pone in evidente contrasto con il dato letterale della norma.
Ed invero Cass. 20 aprile 2012, n. 6222, ha avuto modo di chiarire che il d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4 (applicabile ratione temporis ), consente all’Ufficio di determinare sinteticamente un imponibile maggiore, rispetto a quello ricavabile dalla valutazione analitica, in presenza di fatti che, provando un certo ammontare di spesa, presuppongono la disponibilità di un corrispondente reddito, e che possono anche essere accaduti in anni diversi da quello in contestazione, allorché si riflettano sul periodo fiscale
interessato, traducendosi in ulteriori ed autonomi indici contributivi.
In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che l’Amministrazione ben potesse procedere all’accertamento sulla scorta degli incrementi patrimoniali verificatisi nel 2000 in relazione ai cinque anni precedenti (e, precisamente, al 1996, oggetto dell’accertamento fiscale). In quella fattispecie, la titolarità di azioni societarie evidenziava, in relazione agli esborsi necessari agli acquisti, un previo accumulo di redditi superiori a quelli analiticamente determinabili. Ciò in quanto il d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4 (nel vigore del testo originario, applicabile ratione temporis ) – consente all’Ufficio di determinare sinteticamente un imponibile maggiore rispetto a quello ricavabile dalla valutazione analitica, in presenza di fatti che, provando un certo ammontare di spesa, presuppongono la disponibilità di un corrispondente reddito.
Orbene, conformemente all’orientamento assolutamente prevalente espresso da questa Corte (cfr., ex multis , Cass. 6 febbraio 2019, n. 3403; Cass. 16 maggio 2017, n. 12207; Cass. 20 gennaio 2017, n. 1510; Cass. 10 settembre 2014, n. 19030), al quale il Collegio intende dare continuità, va rilevato che il d.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, disciplina, fra l’altro, com’è noto, il metodo di accertamento sintetico del reddito e, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la legge n. 413 del 1991 e il d.l. n. 78 del 2010, convertito in legge n. 122 del 2010), prevede, da un lato (comma 4), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi,
costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui consumi); dall’altro (comma 5), contempla le “spese per incrementi patrimoniali”, cioè quelle di solito elevate – sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente (esempio tipico, l’acquisto di una casa di abitazione): in questo caso, è stabilita una presunzione di imputabilità del reddito, in quote costanti, all’anno in cui la spesa è stata effettuata ed ai cinqueo precedenti, cioè una disciplina di favore, adottata in base all’ id quod plerumque accidit , ossia al fatto che la capacità di effettuare una determinata spesa ben può attribuirsi non al reddito prodotto nello stesso anno d’imposta cui l’accertamento si riferisce, bensì alla disponibilità di capitale accumulato negli anni precedenti.
La norma detta, quindi, una presunzione ( iuris tantum ) di favore per il contribuente: quella, cioè, che la spesa per incrementi patrimoniali rilevata dall’Ufficio sia sostenuta dal medesimo con redditi conseguiti non nel solo anno in cui la spesa risulta effettuata (e in misura pari al suo intero ammontare), ma già a partire dai cinque anni precedenti in misura costante (e ovviamente minore) pari ad una frazione dell’esborso per ciascuno degli anni contemplati dalla norma. Come puntualmente osservato da Cass. n. 1510/2017, cit., «tale disciplina implica necessariamente che, per ciascuno dei detti anni, la spesa per incremento patrimoniale autorizza bensì la determinazione sintetica ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, di maggior reddito (…) ma
lascia intatti – per ciascun anno la facoltà e l’onere per il contribuente di dimostrare “che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta”, con documentazione idonea a comprovare “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso”». In tale prospettiva, a dimostrazione che l’interpretazione qui condivisa non si risolve in un’ingiustificata compressione RAGIONE_SOCIALE facoltà e RAGIONE_SOCIALE prerogative del contribuente, va particolarmente rimarcato che lo stesso ha la facoltà (e, ovviamente, anche l’onere) di dimostrare che la spesa per incremento patrimoniale in realtà sia stata sostenuta per intero (con redditi esenti ovvero soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta conseguiti) nell’anno stesso in cui essa risulta effettuata ovvero in uno solo dei cinque anni precedenti: prova contraria, questa, che ovviamente escluderebbe l’attribuzione “spalmata” del maggior reddito presunto, pro quota , in ciascuno degli anni compresi nell’arco temporale di cinque anni considerati dalla norma, suscettibili di accertamento (cfr. anche Cass. 15 luglio 2016, n. 14509, in motivazione). Tale prova, in particolare, è idonea a privare di fondamento la presunzione di maggior reddito fondata su quella spesa non soltanto per l’anno oggetto dell’accertamento impugnato, ma anche per gli altri anni cui la presunzione si estende ai sensi del citato art. 38, comma 5, applicabile ratione temporis , posto che non potrebbe più ritenersi che le risorse necessarie a sostenere la spesa siano state rappresentate da “redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti”. Al contribuente, peraltro, è altresì
riconosciuta la facoltà di provare, nel giudizio relativo all’accertamento sintetico relativo ad uno dei cinque anni coperti dalla detta presunzione, di aver percepito redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta per un ammontare pari a (o comunque idoneo a giustificare solo) la quota di maggior reddito presunta per quell’anno. Ed anche tale prova vale, evidentemente, a superare la presunzione di maggior reddito “parcellizzata” per quel dato anno, pur senza poter impedire che la presunzione valga per ciascuno degli altri anni, precedenti o successivi, ai quali si estende.
Nell’ipotesi RAGIONE_SOCIALE spese per incrementi patrimoniali l’accertamento deve basarsi, quindi, sulla diretta dimostrazione dell’effettiva erogazione della spesa -costituente il fatto noto, manifestazione di ricchezza – da parte del contribuente in un determinato momento o arco di tempo (uno o più anni di imposta), e salva restando, ai sensi dell’art. 38, comma 6, la prova contraria, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi esenti o soggetti alla ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (cfr. Cass. 19 aprile 2013, n. 9539; Cass. 24 ottobre 2005, n. 20588), o, ancora, che il pagamento del prezzo non è avvenuto e, quindi, l’acquisto effettuato non denota una reale disponibilità economica, poiché il contratto stipulato, in ragione della sua natura simulata, ha una causa gratuita, anziché quella onerosa apparente (cfr. Cass. 17 marzo 2006, n. 5991).
Nel caso in esame, dall’esame della sentenza impugnata emerge che i due avvisi di accertamento furono emessi in via induttiva, determinando il reddito per gli anni 2007 e 2008 anche in ragione di investimenti patrimoniali fatti negli anni successivi, tra cui le autovetture acquistate nel 2009 e che, secondo la C.T.R., l’Ufficio aveva correttamente valutato tutti gli elementi positivi di reddito.
La decisione impugnata ha, quindi, correttamente affermato che l’Ufficio potesse far gravare sul computo dei redditi per gli anni 2007 e 2008, oggetto di accertamento, anche gli incrementi patrimoniali verificati in periodi successivi -precisamente nel 2009 – per effetto del criterio di ripartizione nei cinque anni antecedenti dell’esborso a ciò correlato.
Questa Corte, peraltro, ha già affermato (Cass. 8 ottobre 2021, n. 27433) che, in tema di accertamento RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi, gli elementi e le circostanze di fatto utilizzate per l’accertamento sintetico di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, nella formulazione vigente ratione temporis per l’avviso di accertamento relativo all’anno 2008, non debbono necessariamente riferirsi all’anno in contestazione, ma possono essere accaduti in anni diversi, allorché si riflettano sul periodo fiscale interessato, traducendosi in ulteriori ed autonomi indici contributivi.
Ciò in quanto, in base alla formulazione previgente del citato d.P.R., art. 38, comma 4, è consentito all’Ufficio di determinare sinteticamente un imponibile maggiore rispetto a quello ricavabile dalla valutazione analitica in presenza di fatti che, provando un certo ammontare di spesa, presuppongono la disponibilità di un corrispondente reddito, e che possono anche
essere accaduti in anni diversi da quello in contestazione, allorché si riflettano sul periodo fiscale interessato, traducendosi in ulteriori ed autonomi indici contributivi. La norma in parola non esclude la possibilità di superare dette presunzioni, ma sempre che il contribuente soddisfi l’onere, a suo carico, di provare che la disponibilità di quel reddito presunto non rientri nella base imponibile da prendere in considerazione ai fini della determinazione RAGIONE_SOCIALE imposte (cfr., ex pluribus , Cass. 26 marzo 2014, n. 7163; Cass. 20 aprile 2012, n. 6226; Cass. 7 giugno 2006, n. 13316).
2.3. Il secondo motivo, infine, è da ritenere inammissibile. La ricorrente, invero, nel corpo di tale motivo, non deduce una violazione di legge, ma censura la valutazione in fatto operata dalla C.T.R., con particolare riferimento alla considerazione dei redditi del coniuge della contribuente. Trattasi pertanto di valutazioni inammissibili in questa sede di legittimità.
Consegue il rigetto integrale del ricorso.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza della ricorrente, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Ricorrono i presupposti processuali per dichiarare la ricorrente tenuto al pagamento di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente alla rifusione, in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio, che si liquidano in € 4.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte della ricorrente, di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Così deciso in Roma, il 30 novembre 2023 e, a seguito di