Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1394 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1394 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2515/2016 R.G. proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende -ricorrente-
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende
-resistente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 3466/2015 depositata il 16/06/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, dipendente di istituto bancario, ricorreva avanti alla CTP di Roma avverso gli avvisi di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate aveva recuperato, ai sensi dell’art. 38, commi 4 e 5 del DPR n. 699/1973, maggiore Irpef e altro per gli anni 2005 e 2006 ed aveva irrogato sanzioni per omessa presentazione della dichiarazione dovuta.
Il contribuente contestava la pretesa erariale, deducendo di non essere tenuto alla dichiarazione per avere percepito redditi da
lavoro dipendente tassati alla fonte, nonché allegando l’insussistenza dei presupposti per la rettifica e la mancata valorizzazione da parte dell’Ufficio degli elementi da lui addotti a giustificazione degli indici di capacità contributiva posti a fondamento della ripresa.
La Commissione provinciale accoglieva il ricorso, ritenendo che il contribuente avesse documentato di avere sostenuto le spese per incrementi patrimoniali e per la gestione dei beni indice attingendo ai propri risparmi, utilizzando i ricavi della vendita di un appartamento effettuata nell’anno precedente a quelli in contestazione ed attraverso agevolazioni creditizie cui aveva accesso grazie alla propria attività lavorativa.
Su appello dell’Amministrazione, la CTR del Lazio, in riforma della pronuncia di primo grado, rigettava il ricorso del contribuente con la sentenza di cui in epigrafe.
Avverso la predetta sentenza ricorre NOME COGNOME con sette motivi.
L’Amministrazione non ha proposto tempestivo controricorso, costituendosi al solo fine della eventuale udienza pubblica.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la ‘ Falsa applicazione e/o violazione dell’art. 38, commi 4, 5 e 6 del DPR n. 600 del 1973, del principio di autonomia dei singoli periodi di imposta di cui all’art. 7 del DPR n. 917 del 1986 e dell’art. 3 del DM del 10/09/1992’, osservando che i giudici di appello avrebbero errato nel ritenere corretta una rideterminazione del reddito ai fini dell’accertamento sintetico fondata su spese sostenute in periodi di imposta anche successivi a quelli oggetto di accertamento.
Con il secondo motivo il ricorrente, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. denuncia la ‘Falsa applicazione e/o violazione degli art. 42 del DPR n. 600 del 1073, e 21 septies della
Legge n. 241 del 1990 e 7 della Legge n. 212 del 2000′, lamentando che la CTR non abbia accolto la censura di difetto di motivazione degli avvisi di accertamento impugnati, per non essere state esplicitate analiticamente le ragioni per la quali sono state disattese le argomentazioni esposte e la documentazione prodotte in sede di contraddittorio.
Con il terzo motivo eccepisce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., la ‘ Nullità della sentenza per omessa pronuncia su motivi e domande contenuti nella comparsa di costituzione in appello del ricorrente in violazione dell’art. 112 c.p.c.’.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1. n. 3 e n. 4. la ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2977 del c.c. e 3 della L. n. 241/90 e dei principi relativi all’onere della prova’.
Con il quinto motivo, rubricato ‘Illegittimità della sentenza per violazione degli artt. 111, comma 1 della Costituzione, 132, comma 2 del c.p.c. e 36, comma 2, n. 4 del d.lgs. n. 546 del 1992’, il ricorrente, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3. e n. 4 cod. proc. civ. afferma che la sentenza impugnata sarebbe sorretta da una motivazione apparente, in quanto il giudice di appello non avrebbe indicato gli elementi concreti sulla base dei quali ha ritenuto fondati gli accertamenti ed inidonee le prove documentali contrarie offerte dal contribuente.
Con il sesto motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 4 cod. proc. civ., la ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in quanto la CTR avrebbe pronunciato su eccezione -la mancata dimostrazione da parte del contribuente della ‘durata del possesso’ e del ‘transito delle somme’ possedute non proposta nel giudizio di primo grado e non rilevabile d’ufficio.
Con il settimo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 4 del cod. proc. civ. la ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 57 del d.lgs. n. 546/1992 e del principio del contraddittorio di cui all’art. 111 della Costituzione e di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione’, lamentando che la CTR abbia erroneamente riformato la sentenza di primo grado in accoglimento di un motivo di appello con il quale l’Ufficio aveva introdotto per la prima volta nuovi e diversi elementi di fatto, e segnatamente le spese sostenute dal ricorrente nel 2004, ossia l’acquisto e la vendita dell’appartamento sito in Roma, INDIRIZZO e l’utilizzo del ricavato di tale vendita.
Con il primo motivo di ricorso lamenta il ricorrente che le spese per incrementi patrimoniali sostenute nel 2010, segnatamente per l’acquisto di due autoveicoli, sarebbero state erroneamente prese in considerazione dall’Ufficio ai fini dell’accertamento e dai giudici di appello per la decisione, mentre al contrario esse rileverebbero, ai fini della determinazione sintetica del reddito, esclusivamente nel medesimo anno in cui sono state sostenute, giuste le modifiche apportate dall’art. 22 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, all’art. 38 del DPR n. 600/1973, il quale, nella versione riformata, prevede che la spesa per incrementi patrimoniali si presume sostenuta con redditi conseguiti solo nell’anno in cui è stata effettuata e, dunque, in ogni caso non sarebbe possibile imputare 1/5 del presunto reddito conseguito nel 2010 a ciascuno dei quattro precedenti anni.
In via subordinata, anche qualora si ritenesse applicabile l’art. 38 del DPR n. 600/1973 nella versione precedente alle modifiche, l’attribuzione pro quota delle spese per incrementi patrimoniali agli anni di imposta precedenti dovrebbe comunque ritenersi in contrasto con il principio di autonomia dei singoli periodi di imposta ai sensi dell’art. 7 del TUIR, nonché dell’art. 3, comma 2, del D.M. 10/09/1992.
8.1. Il motivo è infondato.
Questa Corte ha infatti già avuto modo di rilevare che il primo comma del predetto art. 22 d.l. n. 78 del 2010 espressamente prevede che le modifiche che esso reca al testo dell’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 abbiano «effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto», vale a dire per gli accertamenti del reddito relativi ai periodi d’imposta a partire dall’anno 2009, tra i quali non sono compresi quelli sub iudice (ex plurimis Cass. 8/05/2023, n. 12153; Cass. 01/04/2022, n. 10578; Cass. 07/06/2021, n. 15760).
A sua volta, l’art. 5 d.m. 24 dicembre 2012, emesso in attuazione del novellato quinto comma dell’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973, conformemente alla citata disposizione di legge, statuisce che le «disposizioni contenute nel presente decreto si rendono applicabili alla determinazione dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni d’imposta a decorrere dal 2009».
Al riguardo questa Corte (ex plurimis Cass. 06/10/2014, n. 21041; Cass. 6/11/2015, n. 22744; Cass. 29.01.2016, n. 1772; Cass. 21.11.2019, n. 30355; Cass. 07/06/2021, n. 15760), nell’escludere l’applicazione retroattiva della novella in questione, ha già avuto modo di chiarire che:
non sono in questione i principi sulla retroattività, atteso che la giurisprudenza che afferma l’applicabilità degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e del 19 novembre 1992 ai periodi d’imposta precedenti alla loro adozione (da ultimo, ex plurimis, Cass., 26/02/2019, n. 5566) si fonda piuttosto sulla natura procedimentale delle norme dei decreti, dalla quale soltanto (e non dalla retroattività) consegue la loro applicazione con riferimento al momento dell’accertamento;
b) neppure è in questione il principio del favor rei , la cui applicazione è predicabile unicamente rispetto a norme
sanzionatorie, non invece in materia di poteri di accertamento o di formazione della prova, rilevanti in materia di redditometro;
comunque, l’individuazione della norma applicabile è questione di diritto intertemporale ed a fronte alle esplicite previsioni di diritto transitorio, già richiamate, che inequivocabilmente identificano la norma applicabile ratione temporis , è recessivo anche il principio tempus regit actum , altrimenti applicabile alle norme che dovessero qualificarsi come procedimentali.
Pertanto, deve escludersi l’applicazione del “nuovo redditometro” (sia per quanto riguarda le modifiche dell’art. 38 d.p.r. n. 600 del 1973 apportate dal art. 22 d.l. n. 78 del 2010; sia per quanto attiene al d.m. 24 dicembre 2012, che ad esse ha dato attuazione).
8.2. Con specifico riguardo al computo degli incrementi patrimoniali realizzati dopo il 2008 in relazione ad accertamenti sintetici per gli anni di imposta anteriori al 2009, questa Corte ha affermato la legittimità della loro ‘spalmatura’ nel quinquennio precedente, secondo la previgente versione dell’art. 38, comma 5, DPR n. 600/1973, come conseguenza della applicazione della novella legislativa introdotta dal d.l. n. 78/2010 solo agli accertamenti relativi all’anno 2009 e successivi, rimanendone pertanto esclusi quelli antecedenti (Cass. 13/09/2022, n. 26916; Cass. 15/02/2022, n. 4818; Cass. 8/10/2021, n. 27433).
8.3. Inconferente, infine, a fronte della espressa previsione normativa e dei richiamati principi affermati da questa Corte, è la generica censura di violazione del principio di autonomia dei singoli periodi di imposta.
Il secondo motivo di ricorso, con cui si lamenta la violazione della disciplina in materia di contraddittorio preventivo, è infondato.
9.1. In primo luogo, non si ravvisa, nella specie, l’obbligo per l’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che « in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito». Dunque «non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. a tavolino» (Cass. S.U. n. 24823/2015). Al riguardo, non può, d’altro canto, trascurarsi di riflettere ulteriormente sul fatto che Cass. S. U. n. 18184/13, nel definire il principio di diritto affermato (in merito alla nullità, pur non espressamente comminata, dell’atto impositivo emanato senza il rispetto del termine dilatorio di cui all’articolo 12, comma 7, l. n. 212/2000), ha, non a caso, espressamente correlato la decorrenza del termine dilatorio, destinato all’espletamento del contraddittorio, al momento del rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni.
Nel caso di specie non vi era pertanto alcun obbligo di instaurazione del contraddittorio preventivo prima dell’emissione dell’avviso di accertamento, in quanto risulta circostanza pacifica che la verifica, avente ad oggetto delle imposte dirette, non si è svolta presso i locali del contribuente.
9.2. Va rilevato inoltre che, comunque, anche nelle ipotesi di obbligo del contraddittorio preventivo, questa Corte ha affermato che «In tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, è valido l’avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni del contribuente ex art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, atteso che, da un lato, la nullit à̀ consegue solo alle irregolarit à̀ per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e, dall’altro lato, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo» (ex plurimis, Cass. 03/05/2022, n. 1398, in motivazione; Cass. 10/05/2021, n. 12268, in motivazione; Cass. 31/03/2017, n. 8378; Cass. 24/02/2016, n. 3583).
9.3. Infine, è valutazione in fatto, non sindacabile in questa sede di legittimità, la congruità della motivazione dell’atto come apprezzata dalla CTR.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l’ omessa pronuncia con riguardo a cinque specifiche eccezioni ed allegazioni contenute nella comparsa di costituzione in appello.
10.1. Con riguardo ai punti sub 1), avente ad oggetto la contestazione del mancato spiegamento dei poteri officiosi dell’Agenzia in favore del contribuente, ivi compreso il doveroso esame dei documenti tutti in possesso della pubblica amministrazione e sub 2), avente ad oggetto l’eccezione di decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere impositivo per tardiva notificazione dell’avviso di accertamento, le censure di omessa pronuncia sono inammissibili, in difetto di proposizione di appello incidentale in relazione alle suddette questioni.
10.2. A tale riguardo ha affermato da questa Corte che «La parte totalmente vittoriosa nel merito, ma soccombente su questione pregiudiziale di rito e/o preliminare di merito per rigetto (espresso od implicito) o per omesso esame della stessa – che
consiste nell’illegittima pretermissione o nella violazione dell’ordine di decisione delle domande e/o delle eccezioni impresso dalla parte medesima – deve spiegare appello incidentale per devolvere alla cognizione del giudice superiore la questione rispetto alla quale ha maturato una posizione di soccombenza teorica. Infatti, non può limitarsi alla mera riproposizione di detta questione, che è sufficiente nei soli casi in cui non vi è la necessità di sollevare una critica nei confronti della sentenza impugnata, ovvero nelle ipotesi di legittimo assorbimento. (Nella specie, la SRAGIONE_SOCIALE ha ritenuto, in assenza di appello incidentale sul punto, che si fosse formato già in appello il giudicato interno sulla questione relativa all’inutilizzabilità di alcuni documenti, eccepita in primo grado, poiché il giudice l’aveva implicitamente respinta, ritenendo nel merito che tali documenti non costituissero prova idonea)» (Cass. n. 20315 del 15/07/2021).
Né si può procedere a riqualificare la mera contestazione come gravame incidentale condizionato, in applicazione del principio della idoneità dell’atto al raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156, comma 3, c.p.c. e ricordando che nel processo tributario l’appello incidentale non deve essere notificato, ma è contenuto nelle controdeduzioni da depositare nel termine ordinatorio di costituzione dell’appellato, donde viene affievolita la distinzione fra appello incidentale, riproposizione dei motivi e difesa del resistente, in quanto l’esercizio di tale generale potere di riqualificazione del giudice in ordine alla formulazione della domanda deve trovare fondamento nella non equivoca volontà della parte -nella forma e nella sostanza -di contestare l’assunto del Giudice di prime cure circa le eccezioni pregiudiziali sollevate (Cass. n. 18119 del 24 giugno 2021).
Nella fattispecie è infatti lo stesso appellato ad avere affermato, ad esito delle proprie controdeduzioni (pag. 17), che
«l’appello incidentale verte esclusivamente sulla condanna alle spese»».
10.3. Con riguardo ai profili cui sub 4), avente ad oggetto l’eccezione di inammissibilità dell’appello dell’Agenzia per l’introduzione, per la prima volta in appello, di nuovi e diversi elementi di fatto, segnatamente le spese sostenute dal ricorrente nel 2004, ossia l’acquisto e la vendita dell’appartamento sito in Roma, INDIRIZZO e l’utilizzo del ricavato di tale vendita, e sub 5), attinente alla eccezione di inammissibilità delle produzioni effettuate in appello dall’Agenzia sostegno della precedente allegazione, il motivo è infondato, rilevandosi come la CTR abbia implicitamente rigettato tali censure, il cui accoglimento è logicamente incompatibile con le ulteriori statuizioni rese dai giudici di appello.
10.4. Come questa Corte ha già chiarito, «Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione» (cfr. ex plurimis Cass. 29/01/2021, n. 2151; Cass. 02/04/2020, n. 7662; Cass. 30/01/2020, n. 2153).
10.5. Il motivo è invece fondato limitatamente al profilo di cui sub 3), avente ad oggetto la censura di omessa pronuncia in ordine alla errata applicazione delle sanzioni, essendo stata legittimamente assorbita dal rigetto in primo grado la relativa decisione, e dunque non essendo necessaria la proposizione di appello incidentale, bensì sufficiente la mera riproposizione della questione non esaminata.
11. Il quarto motivo è inammissibile, deducendosi, apparentemente, una violazione di norme di legge ma mirandosi, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito.
12. Il quinto motivo è infondato.
Va rammentato che «La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.» (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Cass. Sez. 1, 03/03/2022 n. 7090).
12.1. Nessuna di tali fattispecie ricorre nel caso in esame, in quanto dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata emerge l’iter logico seguito dalla CTR al fine di escludere che gli elementi addotti dal contribuente, analiticamente esaminati, fossero idonei a superare la presunzione di capacità reddituale fondata sugli indici valorizzarti dall’Ufficio.
13. Il sesto motivo di ricorso è infondato.
La CTR, nel valutare la rilevanza della provvista ricavata dalla compravendita dell’immobile in Roma, INDIRIZZO ha
correttamente – e contrariamente a quanto addotto dal ricorrente rilevato la mancata esibizione degli estratti dei conti correnti bancari idonei a dimostrare la «durata» del possesso dei relativi redditi disponibili; non sono pertinenti a tale riguardo le censure sollevate dal ricorrente con riguardo alla asserita novità della questione, che si risolve invece, sotto il profilo della allegazione dell’Ufficio, in una mera difesa opposta alle produzioni avversarie e, con riguardo al giudicante, nella valutazione della idoneità dei documenti prodotti a integrare la prova contraria richiesta dall’art. 38 cit.
13.1. La necessità di prova della durata e del possibile utilizzo deriva infatti dalla legge e non da eccezioni o contestazioni della controparte. Questa Corte ha precisato che la prova documentale richiesta dalla norma in grado di superare la presunzione di maggiore reddito ben può essere fornita con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo alla parte contribuente, idonei a dimostrare, mediante l’indicazione dell’entità dei redditi e delle date dei movimenti, anche la «durata» del possesso dei redditi e, quindi, non il loro semplice «transito» nella disponibilità del contribuente (ex multis v. Cass., sez. 6-5, 16/05/2017, n. 12214; Cass. sez. 6 – 5, 16/05/2018, n. 12026; Cass., sez. 6-5, 23/03/2018, n. 7389).
14. Il settimo motivo di ricorso è parimenti infondato, dovendosi escludere che i giudici di appello abbiano deciso in base a nuovi elementi di fatto introdotti dall’Ufficio.
E’ lo stesso ricorrente (v. pag. 6 del ricorso di primo grado) ad avere allegato sin dall’atto introduttivo, a giustificazione delle proprie disponibilità reddituali, di avere ricavato dalla vendita nel 2004 di un appartamento sito in Roma, INDIRIZZO di cui produceva sub doc. 12 il contratto di compravendita, l’importo di euro 64.000 in data 15/03/2004 e di euro 67.760,00 in data 28/04/2004, che costituivano rispettivamente la caparra
confirmatoria ed il saldo del prezzo, dedotto l’importo utilizzato ad estinzione del mutuo acceso per l’acquisto di detto immobile.
14.1. La CTR, nell’accogliere l’appello con cui l’Agenzia aveva contestato la valenza di prova contraria ai sensi dell’art. 38 DPR n. 600/1973 di tali allegazioni del contribuente, ha ritenuto che la documentazione da questi prodotta in relazione alla compravendita immobiliare in questione non fosse idonea a tale riguardo, per le ragioni espresse in motivazione (v. sentenza pag. 4).
15. In conclusione, accolto il terzo motivo di ricorso per quanto di ragione, e segnatamente con riguardo alla censura di omessa pronuncia in ordine alla errata applicazione delle sanzioni, e rigettati gli altri, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nel rispetto dei principi sopra illustrati, nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione e, rigettati i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame, nonché provveda sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 15/12/2023.