Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18713 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18713 Anno 2024
AVV_NOTAIO: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/07/2024
Avv. Acc IRPEF 2007 e 2008
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5415/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO, rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO, presso l’RAGIONE_SOCIALE.
-ricorrente – contro
NOME COGNOME , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’AVV_NOTAIO in Roma, INDIRIZZO.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA -SEZIONE STACCATA DI BRESCIA n. 3468/64/2015, depositata in data 23 luglio 2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 giugno 2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Rilevato che:
NOME COGNOME riceveva notifica di due avvisi di accertamento ai fini IRPEF, n. NUMERO_DOCUMENTO e n. NUMERO_DOCUMENTO,
rispettivamente per gli anni d’imposta 2007 e 2008. L’RAGIONE_SOCIALE -rideterminava sinteticamente il reddito complessivo della detta contribuente ex art. 38, quarto comma e ss., d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, rettificando il reddito dichiarato pari a € 0,00 per il 2007 e a € 1.618,00 per il 2008, e accertando un maggior reddito di € 225.707,32 per l’anno d’imposta 2007 e di € 203.877,48 per l’anno d’imposta 2008; la rettifica originava dal riscontro, operato dall’ufficio, della disponibilità della contribuente di beni e situazioni indicativi di capacità contributiva quali, segnatamente: abitazione principale, abitazione secondaria, possesso di tre autovetture e incrementi patrimoniali nel quinquennio.
Avverso gli avvisi di accertamento la contribuente proponeva distinti ricorsi dinanzi alla C.t.p. di RAGIONE_SOCIALE; si costituiva in giudizio anche l’Ufficio, contestando i motivi di ricorso e chiedendo la conferma del proprio operato.
La C.t.p., previa riunione, con sentenza n. 119/10/2013, accoglieva parzialmente il ricorso della contribuente, rideterminando il reddito accertato in € 12.000,00 per l’anno 2007 e in € 10.000,00 per l’anno 2008.
Contro tale decisione proponeva appello l’RAGIONE_SOCIALE dinanzi la C.t.r. della Lombardia; si costituiva anche la contribuente, chiedendo la conferma di quanto statuito in primo grado.
Con sentenza n. 3468/64/2015, depositata in data 23 luglio 2015, la C.t.r. adita rigettava il gravame dell’Ufficio, confermando quanto deciso in primo grado e compensando tra le parti le spese di lite.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Lombardia, l ‘RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. La contribuente ha resistito con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Nullità della sentenza impugnata per inosservanza (violazione e falsa applicazione) degli artt. 112 cod. proc. civ. e 36 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. non ha dato conto della deduzione -doglianza con la quale si chiedeva che, in riforma della sentenza di primo grado, venisse affermato che la (giusta) quota di un quinto RAGIONE_SOCIALE spese di incremento patrimoniale andava a comporre il reddito sinteticamente accertato.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione art. 38, quinto comma, d.P.R. n. 600/1973, 2697 cod. civ. e 115 cod. proc. civ. in combinato disposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. ha ritenuto che vi fossero stati disinvestimenti per € 117.300,00, ma non ha diminuito di siffatta somma l’importo RAGIONE_SOCIALE spese di incremento patrimoniale, imputando un quinto del rideterminato importo RAGIONE_SOCIALE spese di incremento patrimoniale del periodo 2007-2011 al reddito del 2007 e un quinto del rideterminato importo RAGIONE_SOCIALE spese di incremento patrimoniale del periodo 2008-2012 al reddito del 2008.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione art. 38 d.P.R. n. 600/1973, D.M. Finanze 10 settembre 1992 (in G.U. 218/1992) e 2728 cod. civ. in combinato disposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. non ha riconosciuto alle quote di reddito che si desumono dall’applicazione del redditometro ad un certo bene indice il valore di presunzione legale, che non deve essere assistita da ulteriori elementi indiziari.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione art. 38 d.P.R. n. 600/1973 e 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. ha diminuito il reddito sinteticamente accertato riconoscendo i proventi derivanti da disinvestimenti compiuti dal contribuente, proventi però già riconosciuti dall’ufficio nella determinazione reddituale da esso effettuata.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso, così rubricato: «Nullità della sentenza impugnata per inosservanza (violazione e falsa applicazione) art. 112 cod. proc. civ. e 36 D.Lgs. n. 546/1992 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. ha diminuito il reddito sinteticamente accertato riconoscendo i proventi derivanti da disinvestimenti compiuti dal contribuente, proventi però già riconosciuti dall’ufficio nella determinazione reddituale da esso effettuata; in questo modo ha deciso in ultrapetizione, su di un quid estraneo al thema decidendum del giudizio.
Preliminarmente, va precisato che la ricostruzione del reddito è stata effettuata secondo la modalità del ‘redditometro ante -riforma’, tale riforma è applicabile solo per gli anni di d’imposta dal 2009 in poi, regolati dalle modifiche apportate all’articolo 38, Dpr n. 600/1973, dal d.l. n. 78/2010 e, quindi, non nel caso in esame che ha per oggetto un accertamento relativo all’anno di imposta 2008.
Il primo motivo di ricorso, afferente all’imputazione a reddito di 1/5 RAGIONE_SOCIALE spese di incremento patrimoniale del periodo 2007-2011, è fondato.
3.1. Invero, in tema di accertamento con metodo cd. sintetico, è legittima l’applicazione dell’art. 38, comma 5, del d.P.R. n. 600 del 1973 (nel testo antecedente alla modifica apportata dall’art. 22 del
d.l. n. 78 del 2010, conv. dalla l. n. 122 del 2010) il quale reca una presunzione ” iuris tantum ” di favore per il contribuente, secondo cui la spesa per incrementi patrimoniali rilevata dall’Ufficio si presume sostenuta con redditi conseguiti non solo nell’anno in cui è effettuata, ma già a partire dai cinque anni precedenti, in misura costante, ferma restando, peraltro, la facoltà per il contribuente stesso di provare che il maggior reddito è costituito, in tutto o in parte, da redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto corretto far gravare sui redditi del 2007 e 2008, accertati in via induttiva, anche gli incrementi patrimoniali del 2009 – conseguenti all’acquisto di due autoveicoli ed alla vendita di un terzo – per effetto del criterio di ripartizione dell’esborso nei cinque anni precedenti) (Cass. 13/09/2022, n. 26916; Cass.).
3.2. Ancora, gli elementi e le circostanze di fatto utilizzate per l’accertamento sintetico di cui all’art. 38, quarto comma, d.P.R. 29/09/1973 n. 600, nella formulazione vigente ratione temporis per l’avviso di accertamento relativo all’anno 2008, non debbono necessariamente riferirsi all’anno in contestazione, ma possono essere accaduti in anni diversi, allorché si riflettano sul periodo fiscale interessato, traducendosi in ulteriori ed autonomi indici contributivi. Ciò in quanto, in base alla formulazione previgente dell’art. 38, quarto comma, del d.P.R. cit., è consentito all’Ufficio di determinare sinteticamente un imponibile maggiore rispetto a quello ricavabile dalla valutazione analitica in presenza di fatti che, provando un certo ammontare di spesa, presuppongono la disponibilità di un corrispondente reddito, e che possono anche essere accaduti in anni diversi da quello in contestazione, allorché si riflettano sul periodo fiscale interessato, traducendosi in ulteriori ed autonomi indici contributivi. La norma in parola non esclude la possibilità di superare dette presunzioni, ma sempre che il
contribuente soddisfi l’onere, a suo carico, di provare che la disponibilità di quel reddito presunto non rientra nella base imponibile da prendere in considerazione ai fini della determinazione RAGIONE_SOCIALE imposte (cfr., ex pluribus, Sez. 1, 02/06/1992, n. 6714; Sez. 1, 22/12/1995, n. 13089; Sez. 5, 21/06/2002, n. 9099; Sez. 5, 01/07/2003, n. 10371; Sez. 5, 07/06/2006, n. 13316; Sez. 5, 20/04/2012, n. 6226; Sez. 6-5, 26/03/2014, n. 7163).
3.3. Nel caso di specie la ricorrente RAGIONE_SOCIALE, in ossequio al principio di autosufficienza, ha dimostrato che nell’atto di appello chiedeva che, in riforma della decisione di primo grado, venisse affermato che la quota di 1/5 RAGIONE_SOCIALE spese di incremento patrimoniale andava a comporre il reddito sinteticamente accertato; del resto, tanto si evince anche nella sentenza impugnata laddove si afferma che l’Ufficio ‘contesta che il giudice di primo grado abbia legittimamente annullato la voce per incrementi patrimoniali per investimenti non solo per quelli eseguiti negli anni 2011 e 2012 ma anche per quelli del 2007 e 2008. In ogni caso rileva che devono essere in tutti imputati per 1/5 in base alle disposizioni all’epoca vigenti’.
I ncontestata la circostanza che l’Ufficio con l’atto di appello aveva formulato doglianza finalizzata a richiedere, in riforma della sentenza di prime cure, che venisse affermato che le quote di 1/5 RAGIONE_SOCIALE spese di incremento patrimoniale legittimamente andassero a comporre il reddito sinteticamente accertato, il giudice d’appello rnon si è espresso sul punto e comunque, anche a voler configurare un rigetto implicito dell’eccezione, difetta comunque assolutamente la relativa motivazione.
3.4. Secondo costante giurisprudenza di questa Corte, dalle norme di cui agli artt. 132, comma secondo, n. 4 cod. proc. civ. e 118 disp. att. stesso codice, è desumibile il principio secondo il quale la mancata esposizione RAGIONE_SOCIALE svolgimento del processo e dei fatti
rilevanti della causa, ovvero la mancanza o l’estrema concisione della motivazione in diritto, determinano la nullità della sentenza allorquando rendano impossibile l’individuazione del thema decidendum e RAGIONE_SOCIALE ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass. 03/01/2022, n. 6758). Questo principio, in forza del RAGIONE_SOCIALE rinvio materiale alle norme del codice di rito compatibili (comprese le sue disposizioni di attuazione) contenuto nell’art. 1, comma secondo, del d.lgs. 546/1992, è applicabile anche al rito tributario (Cass. n. 13990 del 2003; Cass. n. 9745 del 2017). Va osservato, inoltre, che a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022).
Dall’accoglimento del primo motivo di ricorso discende l’assorbimento del secondo motivo.
Il terzo motivo di ricorso, con il quale si lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. non ha riconosciuto il valore di presunzione legale alle quote di reddito
che si desumono dall’applicazione del redditometro ad un certo bene indice, è fondato.
5.1. In tema di accertamento in rettifica RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi RAGIONE_SOCIALE persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 31/10/2021, n. 27811). Il sistema del ‹‹redditometro›› collega alla disponibilità di determinati beni e servizi in capo al contribuente, un certo importo, che, moltiplicato per un coefficiente, consente di individuare il valore del reddito del soggetto secondo criteri statistici e presuntivi, elaborati anche tenendo conto dei costi di mantenimento del bene o servizio in questione. L’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel disciplinare il metodo di accertamento sintetico del reddito, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la l. n. 413 del 1991 e il d.l. n. 78 del 2010, convertito dalla l. n. 122 del 2010), prevede, da un lato (quarto comma), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (quinto comma), contempla le «spese per incrementi patrimoniali», cioè quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Ai sensi del sesto comma dell’art. 38 citato, resta salva la prova contraria, da parte del contribuente, consistente
nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o, più in RAGIONE_SOCIALE, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore. Costante orientamento di questa Corte afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa, imponendo la legge stessa di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori dì capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) RAGIONE_SOCIALE somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass. 29/01/2020, n. 1980; Cass. 11/04/2019, n. 10266; Cass. 26/02/2019, n. 5544; Cass. 11/04/2018, n. 8933; Cass. 31/03/2017, n. 8539; Cass. 01/09/2016, n. 17487; Cass. 20/01/2016, n. 930; Cass. 21/10/2015, n. 21335). Rimane al contribuente l’onere di provare (oltre, eventualmente, l’insussistenza del presupposto, cioè la presenza dell’elemento indice di capacità contributiva), attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito, determinato o determinabile sinteticamente, è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o, ancora, più in RAGIONE_SOCIALE, secondo una ormai consolidata opinione di questa Corte, anche che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 19/10/2016, n. 21142; Cass. 29/04/2012, n. 18604; Cass. 24/10/2005, n. 20588). Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha chiarito, altresì, i confini della prova contraria che il contribuente può offrire, in ordine alla presenza di redditi non imponibili, per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito
operata dall’Amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente ‹‹sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere››; è la norma stessa infatti a chiedere qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), in quanto, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere), in tal senso dovendosi leggere lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi. Nè la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame (Cass. 28/12/2022, 37985; Cass. 14/06/2022, n. 19082; Cass. 20/04/2022, n. 12600; Cass. 24/05/2018, n. 12889; Cass. 16/05/2017, n. 12207; Cass. 26/01/2016, n. 1332; Cass. 18/04/2014, n. 8995).
5.2. Nella fattispecie in esame, nella sentenza impugnata, si fa mal governo dei principi appena illustrati allorquando la RAGIONE_SOCIALE ha opinato nel senso di ritenere che ‘data la sua natura meramente
presuntiva, gli elementi di accertamento da esso derivanti devono essere corredati da ulteriori dati idonei a sostenerne le risultanze, in linea con quanto stabilito dalla giurisprudenza in materia di parametri e studi di settore’.
6.Il quarto ed il quinto motivo di ricorso, da trattare congiuntamente per l’evidente connessione RAGIONE_SOCIALE questioni agitate, sono fondati.
In ossequio al principio di autosufficienza, l’Ufficio ha riportato, quale prova dei disinvestimenti già calcolati in accertamento, la vendita della Smart Coupè per € 2.330,00, il conferimento di quote societarie RAGIONE_SOCIALE per € 27.700,00, ulteriore conferimento di quote societarie RAGIONE_SOCIALE per € 50.000,00 e la vendita di azioni per € 10.000,00, così’ riconoscendo, già nel corso del procedimento accertativo la percezione di questi proventi (cfr. pag 6 del ricorso).
Nella fattispecie in esame, la C.t.r. ha errato laddove ha ritenuto che l’Ufficio non avesse prodotto elementi ulteriori rispetto alle risultanze del redditometro e non avesse valutato la disponibilità di somme di denaro tali da giustificare, almeno in parte, i redditi accertati; vieppiù che nella stessa sentenza impugnata si legge che la cessione di titoli azionari, per € 10.000,00, e la vendita di auto, per € 2.300,00, erano stati già valutati negli avvisi di accertamento come disinvestimenti, pertanto, gli stessi dati non possono essere considerati rilevanti per giustificare l’annullamento parziale degli atti impositivi.
Quanto alle deduzioni della controricorrente circa la necessità del contraddittorio endoprocedimentale, sul precipuo punto, i giudici regionali si sono espressi motivando per il rigetto della doglianza, configurandone la rinuncia, sicché la contribuente, pur se totalmente vittoriosa nel merito, avrebbe dovuto proporre ricorso incidentale condizionato e non limitarsi ad una mera riproposizione (arg. da Cass. Sez. Un., 12/05/2017, n. 11799, in tema di appello;
cfr. Cass. 19/04/2016, n. 7700 secondo cui ‘al concetto della riproposizione deve ritenersi estraneo ogni profilo di deduzione di una critica alla decisione impugnata e, quindi, di ciò che è connaturato al concetto di impugnazione’ e che con la riproposizione il legislatore ha inteso alludere, invece, alla prospettazione al giudice di appello di domande ed eccezioni che possano essere appunto soltanto «riproposte», cioè proposte come lo erano state al primo giudice”; Cass. 15/07/2021, n. 20315).
6.1. La questione è comunque inammissibile, nonché infondata, alla luce dei pacifici orientamenti giurisprudenziali di legittimità che di seguito si illustrano.
La giurisprudenza consolidata di questa Corte ha statuito che non esiste nel nostro ordinamento un RAGIONE_SOCIALE obbligo di contraddittorio endoprocedimentale. Difatti: «Allo stato attuale della legislazione non sussiste, nell’ordinamento tributario nazionale, una clausola RAGIONE_SOCIALE di contraddittorio endoprocedimentale (…) un argomento asseverante a contrario risiede proprio nel dato normativo dell’art. 22, comma primo, d.l. n. 78/2010, convertito nella legge n. 122 del 2010 che ha introdotto l’obbligo del contraddittorio endo-procedimentale in tema di accertamento sintetico “con effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto”» (Cass. n. 3885/2016).
6.2. Più in particolare, le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 24823/2015, hanno affermato il seguente principio di diritto: «Differentemente dal diritto dell’Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità
dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone RAGIONE_SOCIALE di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento RAGIONE_SOCIALE strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto». Le Sezioni Unite hanno evidenziato, appunto, come, nella normativa tributaria nazionale, in relazione ai tributi non armonizzali, non si rinvenga alcuna disposizione espressa che sancisca in via RAGIONE_SOCIALE l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale, al di fuori di precise disposizioni che tale contraddittorio prescrivono, peraltro a condizioni e con modalità ed effetti differenti, in rapporto a singole ben specifiche ipotesi, quale «l’articolo 38, comma 7, d.p.r. 600/1973 (come modificato dall’art. 22, comma I, di. 78/2010, convertito in 1. 12212010), in tema di accertamento sintetico».
6.3. Vieppiù che, al caso di specie, si applica, ratione temporis , l’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 nella versione antecedente le modifiche introdotte dall’art. 22 d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010 n. 122,
poiché tale novella si applica solo a far data dall’anno d’imposta 2009. Infatti, il primo comma del predetto art. 22 d.l. n. 78 del 2010 espressamente prevede che le modifiche che esso reca al testo dell’ art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 abbiano «effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto», vale a dire per gli accertamenti del reddito relativi ai periodi d’imposta successivi al 2009, tra i quali non sono compresi quelli sub iudice. A sua volta, l’art. 5 d.m. 24 dicembre 2012, conformemente alla citata disposizione di legge, statuisce che le «disposizioni contenute nel presente decreto si rendono applicabili alla determinazione dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni d’imposta a decorrere dal 2009». Al riguardo questa Corte (Cass., 06/10/2014, n. 21041; Cass., 6/11/2015, n. 22744; Cass., 29.01.2016, n. 1772; Cass. 21.11.2019, n. 30355), nell’escludere l’applicazione retroattiva della novella in questione, ha già avuto modo di chiarire che: a) non sono in questione i principi sulla retroattività, atteso che la giurisprudenza che afferma l’applicabilità degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e del 19 novembre 1992 ai periodi d’imposta precedenti alla loro adozione (da ultimo, ex plurimis , Cass., 26/02/2019, n. 556) si fonda piuttosto sulla natura procedimentale RAGIONE_SOCIALE norme dei decreti, dalla quale soltanto (e non dalla retroattività) consegue la loro applicazione con riferimento al momento dell’accertamento; b) neppure è in questione il principio del favor rei, la cui applicazione è predicabile unicamente rispetto a norme sanzionatorie, non invece in materia di poteri di accertamento o di formazione della prova, rilevanti in materia di redditometro; c) comunque, l’ individuazione della norma applicabile è questione di diritto intertemporale ed a fronte alla esplicita previsione di diritto transitorio, già richiamata, che inequivocabilmente identifica la norma applicabile, è recessivo anche il principio tempus regit
actum , altrimenti applicabile alle norme che dovessero qualificarsi come procedimentali.» (Cass 04/03/2022, n. 7269).
6.4 Infine, le argomentazioni della controricorrente relative alla compensazione RAGIONE_SOCIALE spese operata dalla C.t.r. sono interamente assorbite dalla decisione di accoglimento del ricorso.
In conclusione, vanno accolti il primo, terzo e quinto motivo di ricorso e, assorbito il secondo ed il quarto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio del giudizio al giudice a quo affinché in diversa composizione proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, terzo e quinto motivo di ricorso e, assorbito il secondo ed il quarto, cassa la sentenza impugnatain relazione ai motivi accolti e rinvia il giudizio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia – sezione staccata di Brescia – affinché in diversa composizione proceda a nuovo e motivato esame, nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
Così decisa in Roma il 18 ed il 19 giugno 2024.
Il AVV_NOTAIO NOME COGNOME