Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2692 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2692 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25549/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in CAPO D’ORLANDO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende.
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore -intimata- avverso SENTENZA della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di SECONDO GRADO della SICILIA n. 4215/2023 depositata il 12/05/2023
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME impugna la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia che -dichiarando parzialmente inammissibile e parzialmente infondato l’atto di appello dal medesimo proposto ed accogliendo l’appello incidentale dell’Agenzia delle Entrate – ha rigettato il ricorso avverso l’avviso accertamento con il quale era accertato, ai fini IRPEF, un maggior reddito, per l’anno di imposta 2007, pari ad euro 162.492,25 ed una maggior imposta per euro 62.839, oltre ad addizionali regionale comunali, con applicazione della sanzione pecuniaria di euro 66.171.00, oltre interessi.
La Corte di secondo grado, dato atto che l’atto impositivo era scaturito da un PVC, seguito da un Questionario, cui il contribuente aveva dato risposta, indicando i c.d. beni indice, ha ritenuto l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva tenuto in considerazione la documentazione prodotta dal contribuente in sede di accertamento con adesione, stante la preclusione di cui all’art. 32, comma 4 d.P.R. 600/1973, non avendo egli chiarito, in quella sede, di non averla potuta produrre prima, per cause a lui non imputabili. Ricordando che l’accertamento era intervenuto sulla base dell’art. 38 d.P.R. 600/1973, e che incombe sul contribuente la prova dell’insussistenza dell’elemento indice di capacità contributiva, e che il maggior reddito è costituito da redditi esenti, ha escluso che il contribuente avesse assolto l’onere probatorio. In particolare accogliendo l’appello incidentale, ha sottolineato che i cavalli ‘purosangue inglese’ , diversamente da
quanto affermato dal primo giudice, rientrano nella categoria dei cavalli da corsa e che ininfluente appare la circostanza che i medesimi non abbiano mai gareggiato, essendo presumibile che essi siano stati allevati con le cure riservate ai cavalli da corsa. La Corte ha, inoltre, dichiarato l’inammissibilità del motivo relativo alla qualificazione del reddito quale ‘esente’ delle somme asseritamente ricevute dalla madre, pari ad euro 14.5000,00, in quanto domanda nuova, posto che con il ricorso introduttivo si era fatto riferimento unicamente alla percezione della somma di euro 5.400,00, quale regalia ricevuta dalla madre, ma in altra data. Infine, ha rigettato il motivo inerente all’applicazione delle sanzioni, sostenendo che esse si applicano in forza della presunzione di conoscenza dell’art. 38 d.P.R. 600/1973.
L’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME formula due motivi di ricorso.
Con il primo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 38, commi 4,5 e 6 d.P.R. 600/1973 e degli artt. 1, 2 , 3 e 4 del D.M. del Ministero delle Finanze del 10 settembre 1992, in relazione all’errata applicazione degli indici sintetici di capacità contributiva. Ricorda che l’art. 38, comma 4 d.P.R. 600/1973 consente la determinazione sintetica del reddito ‘in base ad elementi e circostanze di fatto certi’. Sostiene che, nel caso di specie, non vi erano idonei elementi e circostanze di fatto indicativi di capacità contributiva. Invero, con riferimento all’anno 2007, il dato fondante l’accertamento, ovverosia il possesso di sette cavalli è stato presunto -e non provatodall’Agenzia, non essendo stati rinvenuti equidi presso l’abitazione del contribuente, nel corso dei rilievi da cui era scaturito il PVC,
eppure i militari avevano contestato il possesso di ben diciassette cavalli da corsa, come risultanti da elenchi di anagrafe equina non meglio specificati. In quella occasione il contribuente aveva immediatamente precisato che sette dei cavalli risultanti dai suddetti elenchi erano deceduti in data anteriore al 2007-2008, mentre gli ulteriori dieci cavalli non risultavano più in suo possesso, avendoli egli ceduti a titolo gratuito a varie persone. Inoltre, in sede di contraddittorio endoprocedimentale, in risposta al Questionario, il contribuente, chiarendo di avere perduto il possesso dei cavalli Venango, Mandriva, Susina, All Image, Tropicana e La Voile ou Vent, aveva prodotto le dichiarazioni sostitutive provenienti dai soggetti ai quali detti animali erano stati trasferiti. La documentazione era stata prodotta anche in primo grado (all. 4,5,6 al ricorso introduttivo). Non solo, dunque il contribuente non possedeva nell’anno 2007 siffatti cavalli, e quindi essi non potevano costituire indice di capacità contributiva, ma la documentazione -diversamente da quanto affermato dal giudice di appelloera stata messa a disposizione dell’Ufficio in sede di accertamento con adesione e prodotta tempestivamente in giudizio. Rileva che l’inattendibilità degli elenchi relativi all’anagrafe equina è stata riconosciuta anche dall’Ufficio con l’avviso di accertamento, ove si dà atto che effettivamente i cavalli di cui il contribuente aveva dichiarato il decesso, benché iscritti negli elenchi, erano effettivamente deceduti, ciò essendo rilevabile dalle certificazioni veterinarie fornite. Assume che la sentenza impugnata erra gravemente allorquando, discostandosi dal giudice di primo grado, che avevain linea con la giurisprudenza di legittimità- correttamente escluso che il possesso di fattrici e puledri costituisse indice di capacità contributiva, dovendo questo riconoscersi sussistente solo in caso di possesso di cavalli da equitazione (ivi compresi quelli da
concorso ippico e maneggio) e da corsa, afferma che il solo possesso di purosangue inglesi, costituisce l’integrazione dell’indice, perché essi sono da corsa o comunque vengono curati come cavalli da corsa.
Con il secondo motivo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di contraddittorio fra le parti, in relazione all’omessa considerazione della circostanza che i cavalli asseritamente posseduti dal contribuente erano comunque fattrici da passeggiata e puledri, il cui possesso non può costituire indice di capacità contributiva, non trattandosi di cavalli da equitazione, ai sensi del D.M. 10 settembre 1992. Invero l’appartenenza alla razza ‘purosangue inglese’ non può da sola integrare l’indice di capacità contributiva di cui all’art. 38 d.P.R. 600/1973 applicabile ratione temporis, perché occorre che i cavalli siano da ‘equitazione’. Mentre, non è consentito al giudice tributario di assegnare un valore presuntivo di indice di capacità contributiva ad un bene non previsto dal legislatore.
I due motivi vanno trattati insieme, perché strettamente connessi, ancorché siano proposti l’uno come violazione di legge e l’altro come omesso esame di un fatto decisivo discusso fra le parti.
Ora, la decisione di primo grado, infatti, ha ritenuto che i cavalli in possesso del contribuente, nell’anno di imposta considerato, pur se di razza pregiata, non fossero cavalli da corsa, o comunque da equitazione, trattandosi di fattrici e puledri, ciò implicando l’esclusione dagli indicatori tipici di spesa, con i relativi coefficienti, di cui alla tabella allegata al D.M. 10 settembre 1992, ma non rendendo privo di significato il loro possesso, in forza della norma di chiusura che consente di utilizzare qualsiasi indicatore di capacità contributiva, ma
riducendone la portata. Su questa base la Corte di prima cura ha rideterminato il reddito in euro 75.000.
Il giudice dell’appello, ad una simile ricostruzione, anche in fatto, posto che i cavalli sono stati identificati in fattrici e puledri, non ha affatto contrapposto un nuovo e diverso accertamento, limitandosi ad affermare l’ininfluenza, da un lato, della qualità di fattrici e puledri dei cavalli posseduti dal contribuente, dall’altro, della circostanza che i cavalli posseduti non avessero mai gareggiato. Sarebbe, invece, proprio l’appartenenza alla razza ‘purosangue inglese’ che deporrebbe per l’integrazione degli indici. Sostiene, invero, la Corte di secondo grado che ‘è ragionevole presumere che i suddetti cavalli, purosangue inglese, siano stati allevati con le cure riservate ai cavalli da corsa, in quanto tali’.
Si tratta di un giudizio del tutto disancorato dal dato normativo interpretato alla luce della giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale ‘costituisce indice di particolare capacità contributiva, ai sensi del d.m. 10 settembre 1992, non il generico possesso di cavalli, ma solo di quelli ‘da equitazione’ (categoria in cui sono compresi sia i cavalli da concorso ippico sia quelli da maneggio) o ‘da corsa’, in ragione della particolare cura ed addestramento che gli stessi richiedono in applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso che costituisca indice di particolare capacità contributiva il possesso di cavalli qualificati come ‘fattrici adibiti a passeggiate’, osservando come tale attività non possa farsi rientrare, neppure in via ermeneutica, nell’equitazione (sia da ‘concorso’ che da ‘maneggio’ come specificato dalla prassi, in particolare la circolare n. 27 del 1981) la quale presuppone l’arte e la tecnica del cavalcare e, nella sua accezione sportiva, l’attività dell’andare a cavallo nelle sue diverse specialità (Sez. 5, Ordinanza n. 3254 del 5/02/2024, che
in motivazione riprende Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 21335 del 21/10/2015; cfr. anche Sez. 5, 4814/2022 del 21/07/2021).
D’altro canto, è evidente che il semplice ricovero del cavallo e la sua alimentazione presso una struttura che appartenga al proprietario dell’animale (o degli animali), o addirittura il tenere uno o più cavalli al pascolo in fondi di proprietà, non sono impegni economici equiparabili alle spese da sostenere per un cavallo che gareggia o che è mantenuto in un maneggio ed affidato alle cure di terzi. Con ciò l’appartenenza ad una determinata razza equina nulla a che vedere. Peraltro, le c.d. razze equine si contano nell’ordine delle centinaia, sicché è davvero da escludersi che il legislatore abbia inteso farvi riferimento, selezionandone alcune rispetto ad altre. Ciò che conta, infatti, è proprio la capacità di spesa che è rivelata dall’adibizione del cavallo alla corsa o all’equitazione, come supra intesa.
E’ chiaro, in ogni caso, che -come correttamente rilevato dal giudice di prima cura- ancorché i cavalli posseduti non rivestano le qualità per costituire beni cui possono applicarsi i coefficienti stabiliti con il d.m. 10 settembre 1992, essi, anche per il loro rilevante numero, possono costituire elementi significativi di reddito, ai sensi della norma di chiusura di cui all’art. 1 comma 2 del medesimo decreto ministeriale secondo cui ‘Resta ferma la facoltà dell’ufficio di utilizzare per la determinazione sintetica del reddito complessivo netto anche elementi e circostanze di fatto indicativi di capacità contributiva diversi da quelli menzionati nel comma 1’.
L’errore commesso dal giudice di secondo grado, che collega la qualità di bene indice alla razza equina di appartenenza dei cavalli (purosangue inglese), escludendo, peraltro, la rilevanza dell’essere o meno gli stessi stati effettivamente adibiti alla ‘corsa o all’equitazione’, impone la
cassazione con rinvio della sentenza impugnata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, cui si demanda anche la liquidazione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, cui demanda anche la liquidazione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2024