Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33341 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33341 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27829/2018 R.G. proposto da : COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. del PIEMONTE-TORINO n. 335/2018 depositata il 14/02/2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/09/2024 dal
Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
1. Emerge dalla sentenza in epigrafe che
sentenza n. 1948-6-15 pronunciata il 13 ottobre 2015 e depositata il 18 dicembre 2015 Commissione Tributaria Provinciale di Torino ha accolto il ricorso del contribuente sig . NOME COGNOMEtitolare dell’impresa familiare “Dulcinea” esercente l’attività di “produzione di pasticceria fresca” -avverso l’avviso di accertamento n. T7G010705562/2014, per l’anno d’imposta 2009 ai fini II. DD. ed Iva con il quale veniva recuperato a tassazione ai sensi dell’art. 39 comma 2 del d.P.R. 600/1973 maggior reddito d’impresa pari ad € 85.098,00.
L’Ufficio con detto avviso accetava·ai sensi degli artt. 8 e 39 comma 2 del d.P.R. 600/1973 il reddito d’impresa per l’anno d’imposta 2009 di € 145.074,00 ai fini IRPEF, oltre addizionali regionale (art. 50 d.lgs. 446/1997) e comunale (art. 12 l. 133/1999), oltre IRAP (art. 1 d.lgs. 446/1997), oltre il disconoscimento dell’IVA a credito detratta nel 2009 pari ad € 23.895,00 (art. 54 d.P.R. 633/1972) nell’impossibilità di verificare il contenuto dei registri IVA e le fatture. Infatti non è stato possibile confrontare il dato dichiarato con gli elementi di calcolo delle liquidazioni nonché nei registri di cui agli articoli 23, 24 e 25 e mediante il controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni sulla scorta delle fatture ricevute, oltre ai contributi previdenziali ex art. 10 d.lgs. 241/1997 .
I giudici di prime cure dichiara l’invalidità dell’avviso di accertamento in quanto è stato emesso al contribuente prima dell’effettiva decorrenza dei 60 giorni dal termine di chiusura delle indagini svolte dall’Ufficio. L’invito alla produzione di documenti relativi all’anno 2009 ricevuto dal contribuente in data 20/11/2014 in decadenza al 31/12/2014 evidenzia la fattispecie riconducibile al PVC ancorché denominato verbale di contradittorio.
Per quanto riguarda il mancato contraddittorio espressamente previsto dall’art. 10, comma 3 bis, l. 146/1998, non può essere certo soddisfatto come sostenuto dall’Agenzia delle Entrate dall’incontro del 12/12/2014 ove il contribuente è stato invitato a produrre la documentazione contabile con il relativo rilascio del verbale di consegna documenti. Il contradittorio nella fattispecie risulta a maggior ragione necessario poiché lo studio di settore è una presunzione semplice.
La mancata allegazione del prospetto contabile su cui l’Ufficio ha emesso la pretesa tributaria determina la non autosufficienza della motivazione e conseguente l’invalidità dell’atto impositivo , giacché detto documento riveste carattere integrativo ed essenziale.
L’Ufficio appellante preliminarmente, in applicazione del nuovo regime sanzionatorio più favorevole al contribuente, come modificato dall’art. 15 del d.lgs. 158/2015, e in applicazione del·c.d. “principio del favor rei’, previsto dall’art. 3 del d.lgs. 472/1997, ridetermina le sanzioni irrogate .
La CTR del Piemonte, nella resistenza del contribuente, con la sentenza in epigrafe, accoglieva l’appello dell’Ufficio, sulla base, essenzialmente, della seguente motivazione:
La sentenza di primo grado, nell’accogliere le ragioni del ricorrente in punto nullità dell’avviso di accertamento per mancanza di contradittorio e violazione del diritto di difesa del contribuente, si è richiamata alla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 18 settembre 2014, n. 19667 .
Con la richiamata sentenza si è quindi ritenuto un principio applicabile a qualunque procedimento amministrativo tributario a prescindere dal nome dell’atto stesso.
Successivamente a detta pronuncia, la Cassazione abbandona quell’indirizzo giurisprudenziale a seguito dalla decisione della Corte di Giustizia Europea, 3 luglio 2014, C129/13 e C-130/13; RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
Nel caso in esame, la mancata fase del contradittorio preventivo non ha leso il diritto del contribuente di istaurare un confronto con l’Ufficio dopo la notifica dell’avviso di accertamento, grazie alla procedura di accertamento con adesione, che comporta la sospensione automatica di ogni effetto giuridico dell’atto.
Il Collegio ritiene legittimo l’avviso di accertamento anche in punto motivazione, perché espone compiutamente gli elementi essenziali della pretesa tributaria. Nell’avviso sono riportati i dati essenziali contenuti nell’atto richiamato, grazie ai quali il ricorrente ha potuto rideterminare l’entità del reddito induttivo-analitico con un differente studio di settore utilizzando i dati ed elementi utilizzati dall’Ufficio e, quindi, da intendersi ben noti al contribuente.
Il Collegio ritiene non applicabile lo studio di settore 2013 per l’anno d’imposta 2009.
Come ricorda l’Ufficio, il recupero è scaturito dall’imputazione dei costi nel rigo più corretto del medesimo studio di settore, a fronte della totale mancanza di documentazione a supporto del sostenimento degli stessi.
Qualora vi sia una non congruità negli anni passati, lo studio evoluto può essere utilizzato per verificare se persista o meno tale tipo di non congruità. Qualora l’esito sia un risultato più favorevole rispetto al passato, tale tipo di dato potrà essere utilizzato per ridurre o attenuare eventuali contestazioni.
Gli effetti della crisi hanno prodotto degli sfasamenti sul grado di correlazione delle variabili utilizzate nella funzione di regressione degli studi di settore. Pertanto negli anni in cui vi è la presenza dei correttivi, l’Agenzia delle Entrate ha stabilito la preclusione assoluta all’utilizzo degli studi di settore più evoluti, in quanto i correttivi devono essere utilizzati nell’anno in cui si è stabilito il correttivo anticrisi. Il Collegio condivide questo ragionamento.
L’Agenzia delle Entrate, con circolare 23/E del 2013 ha stabilito che i risultati più evoluti del 2012 possono trovare applicazione, nel caso di determinazione del valore di congruità, per quanto dichiarato nel periodo di imposta 2010.
In ogni caso la versione di Gerico 2014 (anno d’imposta 2013) non potrà comunque essere usata per giustificare eventuali scostamenti che si sono avuti nell’anno di imposta 2009. Si potrebbe allora ritenere che per la modifica del 2009 tuttalpiù il contribuente avrebbe potuto usare la versione Gerico 2011, in analogia con quanto stabilito per gli anni successivi.
Per questi motivi la ricostruzione reddituale-economica proposta dal contribuente per l’anno d’imposta 2009 sulla base dello studio di settore Gerico 2014 è inconferente.
Il Collegio ritiene quindi doversi confermare la pretesa tributaria portata dall’avviso di accertamento per cui è giudizio, e per quanto riguarda le sanzioni le conferma nell’ammontare di € 46.055,25 come riliquidato dall’Ufficio in autotutela in applicazione delle disposizioni del d.lgs. 158/2015.
Propone ricorso per cassazione la contribuente COGNOME con cinque motivi, ulteriormente insistiti, il primo ed il quarto, con memoria; resiste l’Agenzia con controricorso.
Considerato che:
Il primo, il secondo ed il quinto motivo, per comunanza di censure, possono essere enunciati e trattati congiuntamente.
Con il primo motivo si denuncia: ‘ Violazione degli artt. 39, comma 1, lett. d) DPR 600/73, 62 bis e sexies D.L. 331 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge 427 del 1993, 10, comma 3 bis legge 146/1998 in relazione all’art. 360, c. 1, n. 3 c.p.c.’.
2.1. ‘La Commissione Regionale afferma che, nel caso in esame, la mancata fase del contraddittorio non avrebbe leso i diritti del contribuente. L’assunto è erroneo in caso di accertamento cd. ‘analitico -induttivo’, basato almeno in parte sullo scostamento dallo studio di settore, l’atto impositivo ‘de quo’ deve ritenersi nullo se non preceduto dal contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente’.
Con il secondo motivo si denuncia: ‘ Violazione degli artt. 39, comma 1, lett. d) DPR 600/73, 62 bis e sexies D.L. 331 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge 427 del 1993, 10, comma 3 bis legge 146/1998, 6, commi 2 e 3 d.lgs. 218/97 in relazione all’art. 360, c. 1, n. 3 c.p.c.’.
3.1. La sentenza impugnata è erronea anche sotto altro profilo: infatti, ‘ un conto è avere la possibilità di produrre documenti, fornire chiarimenti ed avere un confronto effettivo con l’Agenzia delle Entrate
prima che venga emesso l’avviso di accertamento; altro è instaurare un confronto con l’Ufficio in un momento successivo all’emissione dell’avviso di accertamento, quando la pretesa è già stata formata ed aggravata dalle sanzioni’.
Con il quinto motivo si denuncia: ‘ Violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, c. 1, n. 3 c.p.c.’.
4.1. ‘La sentenza impugnata ha omesso di pronunciarsi su un motivo di ricorso, riportato integralmente nelle controdeduzioni in appello, che riguardava l’emissione dell’avviso di accertamento senza l’osservanza del termine dilatorio di 60 giorni, previsto dall’art. 12, c. 7 legge 212/2000 e senza l’emissione di un pvc, in violazione dell’art. 24 della Legge 4/1929 che prescrive l’obbligatorietà delle contestazioni di violazioni di norme tributarie mediante processo verbale’.
Il quinto motivo assume priorità logica.
5.1. Esso è inammissibile e comunque manifestamente infondato.
5.1.1. È inammissibile in quanto, non riproducendo le controdeduzioni in appello, disattende il costante principio secondo cui, ‘nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione,
quale giudice del ‘fatto processuale’, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi’ (cfr., da ult., Sez. 2, n. 28072 del 14/10/2021, Rv. 662554 -01). Ciò tanto più in quanto ‘la parte che, in sede di ricorso per cassazione, deduce che il giudice di appello sarebbe incorso nella violazione dell’art. 112 c.p.c. per non essersi pronunciato su un motivo di appello o, comunque, su una conclusione formulata nell’atto di appello, è tenuta, ai fini dell’astratta idoneità del motivo ad individuare tale violazione, a precisare -a pena di inammissibilità -che il motivo o la conclusione sono stati mantenuti nel giudizio di appello fino al momento della precisazione delle conclusioni’ (Sez. 3, n. 41205 del 22/12/2021, Rv. 663494 -01).
5.1.2. Il motivo è comunque manifestamente infondato in quanto il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000 si applica solo nei casi di accessi, ispezioni e verifiche, perché solo in tali casi espressamente previsto e sistematicamente giustificato.
Invero, Sez. U, n. 24823 del 2015 – cui si deve il principio di diritto a termini del quale, ‘in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi ‘armonizzati’, mentre, per quelli ‘non armonizzati’, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché
esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito’ (Rv. 637604 -01) – in motivazione osserva che le garanzie fissate nell’art. 12, comma 7, l. 212/2000 trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente; ciò, peraltro, indipendentemente dal fatto che l’operazione abbia o non comportato constatazione di violazioni fiscali (cfr.: Cass. 15010/14, 9424/14, 5374/14, 2593/14, 20770/13, 10381/11). Nel senso indicato militano univocamente il dato testuale della rubrica (“Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”) e, soprattutto, quello del primo comma dell’art. 12 l. 212/2000 (coniugato con la circostanza che l’intera disciplina contenuta nella disposizione risulta palesemente calibrata sulle esigenze di tutela del contribuente in relazione alle visite ispettive subite ‘in loco’), che, esplicitamente, si riferisce agli “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”; ad operazioni, cioè, che costituiscono categorie d’intervento accertativo dell’Amministrazione tipizzate ed inequivocabilmente identificabili, in base alle indicazioni di cui all’art. 52, comma 1, d.p.r. 633/1972, richiamato, in tema di imposte dirette dall’art. 32, comma 1, d.p.r. 600/1973 e, in materia di imposta di registro, dall’art. 53 -bis d.p.r. 131/1986 .
Si è, dunque, in presenza di una situazione, in cui il ravvisare nella disposizione in rassegna la fonte di un generalizzato diritto del contribuente al contraddittorio fin dalla fase di formazione della pretesa fiscale comporterebbe
un’inammissibile interpretazione abrogans di parte qualificante del dato normativo. Ciò tanto più in considerazione del fatto che non irragionevole proiezione teleologica del riportato dato testuale -univocamente tendente alla limitazione della garanzia del contraddittorio procedimentale di cui all’art. 12, comma 7, l. 212/00 alle sole verifiche ‘in loco’ -è riscontrabile nella peculiarità stessa di tali verifiche, in quanto caratterizzate dall’autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca, quivi, in quanto intromissione pertinenza del di elementi peculiarità stessa di tali verifiche, valutativi a lui sfavorevoli: peculiarità, che specificamente giustifica, quale controbilanciamento, il contraddittorio al fine di correggere, adeguare e chiarire, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione, gli elementi acquisiti presso i locali aziendali.
Al riguardo, non può, d’altro canto, trascurarsi di riflettere, ulteriormente, sul fatto che Cass., ss.uu., 18184/13 -nel definire il principio di diritto affermato (in merito alla nullità, pur non espressamente comminata dell’atto impositivo emanato senza il rispetto del termine dilatorio di cui all’articolo 12, comma 7, l. 212/2000) -ha, non a caso, espressamente correlato la decorrenza del termine dilatorio, destinato all’espletamento del contraddittorio, al momento del rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni “al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività”.
La successiva giurisprudenza ossequia l’insegnamento delle Sezioni Unite.
Sez. 5, n. 7137 del 2016, in motivazione, stima manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000 (come interpretato dalla su menzionata decisione delle Sezioni Unite, ritenuta costituire “diritto vivente”), per violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., del canone di ragionevolezza intrinseca ex art. 97 Cost. e del diritto di difesa ex art. 24 Cost, anche in riferimento all’art. 111 Cost.
Sez. 6 -5, n. 24793 del 2020, proclama ‘funditus’ che, ‘in tema di accertamento fiscale, il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 opera soltanto in caso di controllo eseguito presso la sede del contribuente e non anche lla diversa ipotesi, non assimilabile alla precedente, di accertamenti cd. a tavolino, atteso che la naturale ‘vis espansiva’ dell’istituto del contraddittorio procedimentale nei rapporti tra fisco e contribuente non giunge fino al punto di imporre termini dilatori all’azione di accertamento derivanti da controlli eseguiti nella sede dell’Amministrazione sulla base dei dati forniti dallo stesso contribuente o acquisiti documentalmente’ (Rv. 659465 -02).
5.2. Può procedersi alla disamina del primo motivo.
5.2.1. Esso è infondato.
5.2.2. Nel caso di specie, l’accertamento non fonda affatto sullo studio di settore, ma sulla mancata produzione della documentazione giustificativa dei cd. costi residuali, nonostante specifico invito mediante questionario.
È lo stesso contribuente (p. 2 ric.) a riconoscere che ‘i l sig. COGNOME esercente l’attività di produzione di pasticceria fresca, riceveva in data 20 novembre 2014, l’invito, ai sensi dell’art. 32, n. 3) DPR 600/73, a produrre i documenti contabili relativi al periodo d’imposta 2009. In data 12 dicembre 2014, come da verbale di consegna documenti, il contribuente produceva l’estratto di conto
corrente bancario dell’anno 2009 ed il dettaglio dei servizi catering distinto per clienti eseguiti nel periodo 2009, riservandosi di produrre l’ulteriore documentazione richiesta. In data 22 dicembre 2014 (e dunque dopo soli cinque giorni lavorativi dal verbale di consegna di documenti del 12.12.2014) l’Ufficio concludeva le operazioni di controllo (come risulta dalla data del 22.12.2014 indicata a pag. 21 sull’avviso di accertamento), senza attendere gli ulteriori documenti’.
Dal controricorso (p. 2) apprendesi che, ‘c on invito n. 103238/2014, l’Ufficio al fine di procedere al controllo per l’anno di imposta suddetto, richiedeva la relativa documentazione contabile. In data 12/12/2014, il contribuente consegnava all’Ufficio la copia del conto corrente bancario della ditta ed un prospetto di ricostruzione dei ricavi derivanti all’attività di catering conseguiti nel 2009. La Parte si riservava, in quella sede, di esibire successivamente la documentazione comprovante i costi di natura residuale, ma i documenti richiesti non venivano presentati’.
A fronte dell’indisponibilità dei giustificativi di spesa, l’Ufficio, che già aveva proceduto ad altro controllo per il precedente a.i., verificando ‘l’operatività dell’impresa esercitata, nonché il sostenimento di costi tipici della pasticceria’ (come da motivazione dell’avviso di accertamento riprodotto in controricorso (p. 11), onde, in un’evidente ottica di favore per il contribuente, riconoscere comunque i costi, ha proceduto ad una quantificazione degli stessi computando quelli sufficienti, sulla base dello studio di settore, a garantire la congruità del contribuente.
Di ciò si trae conferma dallo stralcio di motivazione dell’avviso fotoriprodotto in ricorso (p. 3), ove, premesso che, in esito a questionario, ‘ la parte si riservava di esibire quanto richiesto in
merito ai costi inseriti nel rigo RG 20, ma ad oggi i documenti non sono stati presentati’, si legge:
Al fine di quantificare la quota di costi sostenuti dal sig COGNOME l’Ufficio ha utilizzato lo studio di settore, poiché anche all’interno dello stesso i costi inseriti nell’RG20 compaiono, ma nel rigo F17-Altri costi per servizi.
Dunque:
Appurato che la situazione rispetto alle voci di costo e di ricavo dichiarate per il 2009 sono paragonabili a quelle del 2008;
Verificato che l’attività non è mutata nel biennio;
Riscontrando la stessa anomalia dell’anno di imposta 2008
con l’ausilio dello strumento dello studio di settore e venendo meno la possibilità di verificare i dati ivi inseriti, l’Ufficio ha determinato la quota di costo inserita nel RG20 presumibilmente inerente e realmente sostenuta dal sig. COGNOME in relazione all’attività svolta.
Affinché tale quota possa incidere in maniera sostanziale sui ricavi dichiarati, per il modello studio di settore UD01U presentato dal sig. COGNOME i costi in questione sono stati imputati al rigo F15-Costo per la produzione di servizi che, insieme al costo del venduto, costituisc la variabile di regressione più importante al fine di determinare il valore puntuale dei ricavi.
Ebbene la quota di costo che mantiene congruo lo studio di settore è pari a € 117.900,00 (in allegato all’atto lo studio di settore simulato) e tale è il costo che questo Ufficio riconosce ln termini di deducibilità ai fini delle imposte dirette sul totale dei costi inseriti in RG20.
Per quanto su esposto, ai sensi dell’art 39 comma 2 del DPR 600/73, si determina un maggior reddito di impresa pari a € 85.098,00 (202.998-117.900).
Di quanto precede si dimostra perfettamente avvertita la CTR, laddove sottolinea la ‘totale mancanza di documentazione a supporto del sostenimento de stessi’.
Ed è proprio in considerazione della totale mancanza di documentazione che l’avviso di accertamento deduce a base giuridica l’art. 39, non già comma 1, lett. d), ma ‘tout court’ comma 2, DPR n. 600 del 1973.
In tale quadro fattuale, non coglie nel segno l’assunto della difesa del contribuente secondo cui l’accertamento fonda, quantomeno in parte, sullo studio di settore, con conseguente necessità del contraddittorio preventivo.
Vero è che Cass., n. 7328 del 2017, invocata dal contribuente, afferma che, in caso di ‘accertamento reddituale che almeno in parte si basa sulla difformità del ‘dichiarato’ dalle risultanze dello studio di settore’, è ‘corretta la conseguenza giuridica’ dell”obbligatorietà del contraddittorio preventivo, come sancito dall’art. 10, comma 3 bis, L. 146/1998 ed in ultima analisi quindi quella della invalidità dell’atto medesimo perché tale adempimento procedurale è stato pacificamente omesso’.
Più di recente, anche Cass., n. 31495 del 2019, conclude che ‘di fronte a un accertamento quanto meno «misto»’, avrebbe dovuto ‘ritenersi obbligatoria, a pena di nullità, l’instaurazione del contraddittorio preventivo con la contribuente (Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27617; Cass., Sez. V, 18 dicembre 2017, n. 30370; Cass., Sez. V, 20 settembre 2017, n. 21754)’: ciò in riferimento ad un caso in cui, ‘una volta rilevata l’inattendibilità dei dati contabili indicati dalla società
rispetto allo specifico cluster di appartenenza, l’Agenzia ha emesso l’avviso impugnato determinando i maggiori ricavi non già attraverso un’effettiva indagine analitico -induttiva, ma per differenza fra quelli risultanti dalla corretta rielaborazione dello studio di settore applicabile e quelli dichiarati’.
In entrambi tali precedenti, tuttavia, i maggiori ricavi sono stati calcolati dall’Amministrazione tenendo conto anche, sebbene non solo, della ‘difformità del ‘dichiarato’ dalle risultanze dello studio di settore’, ossia del cd. scostamento: ragion per cui l’accertamento letteralmente traeva fondamento -‘fondava’ o ‘si basava’ – anche sugli studi di settore.
Nella fattispecie oggetto del presente giudizio, invece, siffatta difformità non è minimamente entrata nella dinamica dell’azione accertativa, la quale trova la propria ragion d’essere esclusivamente nell’inosservanza dell’invito mediante questionario a comunicare la documentazione giustificativa dei costi, in un quadro complessivo caratterizzato -come rammentato dalla CTR nella sentenza impugnata -‘ dall’impossibilità di verificare il contenuto dei registri IVA e le fatture stato possibile confrontare il dato dichiarato con gli elementi di calcolo delle liquidazioni’ e con le annotazioni ‘nei registri’, con conseguente ulteriore preclusione ‘al controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni sulla scorta delle fatture ricevute’. L’Amministrazione, cioè, non ha utilizzato lo studio di settore per determinare il maggior reddito del contribuente e dunque non si è avvalsa delle presunzioni semplici espresse dai risultati parametrici , men che meno a proprio vantaggio ; semplicemente, di fronte all’inerzia probatoria del contribuente , gravato, in linea di principio, dell’onere di dimostrare i componenti negativi di reddito dichiarati, vi ha (essa direttamente) sopperito , in guisa da
consentirgli comunque di beneficiare dei costi presunti , riferendosi al valore dei costi di cui allo stesso studio di settore utilizzato dallo stesso contribuente ed applicabile dunque a questi per sua stessa indicazione.
In tal modo, l’Amministrazione – ben lungi dal pregiudicare il contribuente utilizzando contro di lui presunzioni che, in tanto, per poter assurgere al grado di gravità, precisione e concordanza, necessitano del contradittorio, in quanto solo così il contribuente è, in chiave difensiva, messo nella condizione di giustificarsi – lo ha invece agevolato , giacché, constatato, come da avviso, che le ‘voci di costo e di ricavo dichiarate per il 2009 sono paragonabili a quelle del 2008’, ha ritenuto di sviluppare ‘in favor’ detta sostanziale equiparazione contabile dei due consecutivi anni d’imposta, consentendo a lui, e non a se stessa, di giovarsi, anche per il 2009, di una presunzione pur semplice per vedersi riconosciuti costi non documentati né contabilizzati: ed anzi sfasati rispetto all’esposizione dell’IVA, in effetti recuperata per differenza (giusto specifico rilievo, in sé, salvo cioè il profilo del presunto difetto di contraddittorio preventivo, non contestato).
5.2.3. Talché, in definitiva, difettando in radice il requisito dell’essere l’accertamento fondato, anche solo in parte, sullo studio di settore, nessun contraddittorio era dovuto ai fini dell’osservanza dell’art. 10, comma 3 bis, L. 146/1998.
5.2.4. Un tanto è a valere per le imposte dirette .
5.2.5. Resta da verificare la questione del rispetto del contraddittorio con riguardo all’ IVA , di cui pure si discute nel presente giudizio.
Ora, è ben nota la disciplina, ricordata da entrambe le parti nei rispettivi atti, che la materia del contraddittorio in riferimento ai cd. tributi armonizzati riceve alla luce dell’ormai ricevuta giurisprudenza di legittimità, orientatasi, in coerenza con la giurisprudenza unionale (CGUE, sentenze 1 ottobre 2009, NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE in causa C -141/08, par. 94; 10 settembre 2013, M.G. e N.R., in causa C -383/13, par. 38; 26 settembre 2013, RAGIONE_SOCIALE, in causa C -418/11, par. 84; 3 luglio 2014, RAGIONE_SOCIALE e Da tema RAGIONE_SOCIALE, in cause riunite C -129/13 e C -130/13, parr. 78 e 79; 4 giugno 2020, RAGIONE_SOCIALE, in causa C -430/19, parr. 35 ss.), per una lettura sostanziale della rilevanza dell’omessa attivazione del contraddittorio, dando rilievo all’allegazione, ovviamente da parte di chi detta violazione invoca, di un possibile diverso esito del procedimento accertativo: invero, le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, con la celebre sentenza n. 24823 del 2015, hanno chiarito che la rilevanza della mancata attivazione del contraddittorio va intesa ‘nel senso che l’effetto della nullità dell’accertamento si verifichi allorché, in sede giudiziale, risulti che il contraddittorio procedimentale, se vi fosse stato, non si sarebbe risolto in puro simulacro, ma avrebbe rivestito una sua ragion d’essere, consentendo al contribuente di addurre elementi difensivi non del tutto vacui e, dunque, non puramente fittizi o strumentali’, sicché ‘non è sufficiente che, in giudizio, chi se ne dolga si limiti alla relativa formalistica eccezione, ma è, altresì, necessario che esso assolva l’onere di prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato , e che l’opposizione di dette
ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio) si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali l’ordinamento lo ha predisposto’.
E tuttavia, nel caso di specie, tale disciplina non viene in linea di conto , giacché, facendo seguito la ripresa riguardante l’IVA ad una richiesta documentale mediante questionario, soccorre l’insegnamento di questa Suprema Corte secondo cui ‘le modalità di realizzazione del contraddittorio non sono a forma vincolata, essendo sufficiente (e necessario) che si realizzi in modo effettivo quali siano gli strumenti in concreto adottati, siano essi il ricorso a procedure partecipative o l’impiego di altri meccanismi finalizzati all’interlocuzione preventiva, come, ad esempio, l’inoltro di questionari, il riconoscimento dell’accesso agli atti ‘ (Sez. 5, n. 20436 del 2021).
5.2.6. Talché, così affrontandosi anche il secondo motivo, vero è che, come rilevato da Sez. 6 -5, n. 14159 del 2018, ‘la possibilità per il contribuente di produrre, in sede di accertamento con adesione o anche in giudizio, la documentazione che ritenesse utile al fine di giustificare lo scostamento, non è idonea a sanare l’illegittimità dell’avviso di accertamento emesso sulla base degli studi di settore senza il preventivo espletamento del contraddittorio’, ragion per cui la motivazione della sentenza impugnata è ‘in parte qua’ errata, necessitando di essere corretta; ma, ribadito che non si versa in ipotesi di accertamento pur parzialmente basato su uno studio di settore, è altresì vero che, ai fini dell’osservanza dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale in tema di tributi armonizzati, vigendo il principio di libertà delle forme del contraddittorio, ben può
lo stesso essere ritenuto osservato allorquando il contribuente , come nella specie, sia stato invitato mediante questionario a fornire documentazione , senza necessità di un ulteriore momento di contatto con l’Amministrazione prima della formale adozione dell’atto, poiché quel che deve essergli garantita è soltanto la fattiva possibilità di partecipare al procedimento, essendo così messo nelle condizioni di influire, mediante la rappresentazione e la documentazione delle sue ragioni, sul suo esito.
Con il terzo motivo si denuncia: ‘Violazione degli artt. 7 legge 212/2000, 3 legge 241/1990, 43 DPR 600/73 in relazione all’art. 360, c. 1, n 3 c.p.c.’.
6.1. È illegittimo l’assunto della CTR sulla ritenuta completezza motivazionale dell’avviso. ‘Nel caso in cui la motivazione dell’atto impositivo faccia riferimento ad un allegato richiamato, questo deve essere messo a disposizione del soggetto interessato entro i termini di presentazione del ricorso, per garantirgli un quadro completo della pretesa impositiva. Nel caso in questione la ricostruzione effettuata nell’accertamento ha comportato l’emersione di presunti costi non deducibili, che l’Ufficio ha sostenuto di aver provato mediante produzione di uno specifico allegato all’atto impositivo (richiamato a pagina 3 di 21 dell’avviso di accertamento, in cui si legge “in allegato all’atto lo studio di settore simulato”); tale documento, invece, non veniva allegato né tanto meno notificato al contribuente (si noti, al riguardo che l’avviso predetto -che si produce in copia integrale -si compone di n. 21 pagine e di un solo allegato -di n. 1 pagina). È evidente. quindi, che l’Ufficio sostiene di aver prodotto un allegato, la cui mancanza non pone il contribuente in condizioni di valutare compiutamente la pretesa erariale’.
Il motivo è inammissibile.
7.1. In violazione dei principi di precisione e di autosufficienza, non riproduce la motivazione dell’avviso di accertamento, citata solo in breve stralcio nella parte introduttiva del ricorso (p. 3). Il rilievo, ben lungi dall’essere meramente formalistico, assume una valenza sostanziale, atteso che non mette questa SRAGIONE_SOCIALE. nelle materiali condizioni di vagliare la censura al cospetto del motivato accertamento in fatto compiuto dalla CTR, secondo cui l’avviso in sé contiene tutti gli elementi necessari a render conto della pretesa, tanto da aver potuto il contribuente rideterminare il reddito mediante ‘un differente studio di settore’ ma con gli stessi ‘dati ed elementi utilizzati dall’Ufficio e, quindi, da intendersi ben noti al contribuente’.
8. Infine, con il quarto motivo, si denuncia: ‘Violazione degli artt. 62 bis e sexies D.L. 331 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge 427 del 1993, 10, comma 3 bis legge 146/1998, in relazione all’art. 360, c. 1, n. 3 c.p.c.’.
8.1. ‘La giurisprudenza di legittimità ha affermato in numerose pronunce che devono trovare applicazione gli studi di settore più evoluti, se favorevoli al contribuente’. ‘Peraltro, sia nel ricorso introduttivo (pag. 9 ss) che nelle controdeduzioni in appello (pag. 12 ss.), il contribuente aveva dimostrato che applicando lo studio di settore più evoluto, ovvero quello per l’anno d’imposta 2013, ed utilizzando il medesimo criterio di calcolo seguito dall’Ufficio per determinare la quota di costo riferita all’anno accertato, si otteneva un risultato di congruità. Il contribuente al riguardo osservava: ‘L’accertamento impugnato è fondato esclusivamente sul calcolo matematico degli studi di settore, infatti l’Ufficio utilizza lo studio di settore per determinare , imputando tutti i costi per servizi, canoni d’affitto, noleggi e altri oneri di
gestione, al rigo F15 – costo per la produzione di servizi – adducendo che: . Accerta quindi un maggior reddito d’impresa pari ad € 85.098,00, dato dalla differenza tra i costi sostenuti dal contribuente e quelli che , e cioè: (202.998,00 117.900,00) = € 85.098,00. Ebbene, seguendo lo stesso criterio adottato dall’Ufficio, ma applicando lo studio di settore più evoluto. e cioè quello approvato per l’anno d’imposta 2013, mod. WDOIU, si ha il seguente sviluppo del calcolo di congruità: . Se vogliamo invece seguire il metodo adottato dall’Ufficio, , i costi residuali da riconoscere inerenti e realmente sostenuti dal contribuente risultano, dalla simulazione dello studio di settore pari ad € 200.686,00, c on il presumibile maggiore reddito di € 2.000,00 e mai come determinato dall’Ufficio di € 85.098,00”.
9. Il motivo è infondato.
Esso segue le sorti del gruppo dei motivi primo, secondo e quinto, con riferimento ai quali già s’è visto che l’accertamento non fonda sullo studio di settore.
Invero, l’Amministrazione, trovandosi dinanzi all”impossibilità’ come appurato dalla CTR -‘di verificare il contenuto dei registri IVA e le fatture’ per essere rimasto totalmente inevaso il questionario, con viepiù un ammontare di costi esposti superiore all’IVA dichiarata, ha preso le mosse dalla considerazione -invero esplicitata in avviso -per cui le ‘voci di costo e di ricavo dichiarate per il 2009 sono paragonabili a quelle del 2008’, onde, poi, in ragione dell’effettiva prosecuzione dell’attivit à nel 2009 in termini sovrapponibili al 2008, soltanto ausiliarsi con lo studio di settore per la quantificazione di
costi presumibilmente inerenti . Quel che dunque l’Amministrazione ha fatto è consistito ‘sic et simpliciter’ nella quantificazione presuntiva dei costi a fronte dell’inadempimento del contribuente al questionario, tenendo tuttavia conto, in una valutazione globale su base discrezionale, delle complessive condizioni dell’attività del contribuente, con particolare riguardo all’essersi questa attestata su una linea di continuità rispetto all’anno precedente: talché l’Amministrazione ha bensì fatto riferimento allo studio di settore, tuttavia soltanto per agganciare al dato dei ‘costi congrui’ l’esercizio di una discrezionalità -di per se stessa neppure sindacata -finalizzata, non, in positivo , alla determinazione del reddito , ma, in negativo , al riconoscimento necessariamente forfetizzato di una voce globale decrementativa del reddito .
In un simile contesto, la pretesa del contribuente, nel motivo, dell’applicazione della versione aggiornata dello studio è fuori asse: l’aggiornamento rileva quale parametro più affinato di valutazione dello scostamento , che tuttavia nella specie non viene affatto in conto .
Ora, il contribuente, che di per sé, in difetto di precisione, non allega che l’aggiornamento dispiega, già in astratto, un’efficacia adeguatrice specificamente del dato dei ‘costi congrui’, viepiù illustrandone il meccanismo logico nelle funzioni a base dello studio di settore rispettivamente meno e più recente, soprattutto, rimasto inadempiente al questionario, con la conseguente preclusione di cui all’art. 32, comma 4, DPR n. 600 del 1973, non rappresenta e non dimostra una maggiore adeguatezza rappresentativa, in concreto, di tale dato calcolato attraverso lo studio più recente, ossia Gerico 2014, al cospetto dell’entità dei costi forfettariamente attribuibili alla specifica attività esercitata nel 2009, oltretutto in un quadro di
continuità fattuale e contabile (con riferimento, quindi, anche ai costi) rispetto all’anno precedente.
In definitiva, il ricorso va integralmente rigettato, con le statuizioni consequenziali come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia le spese di lite, liquidate in euro 7.600, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 12 settembre 2024.