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Accertamento redditometrico: la prova della donazione

La Corte di Cassazione ha esaminato un caso di accertamento redditometrico a carico di un contribuente che aveva ricevuto una somma di denaro dal fratello, sostenendo fosse una donazione. La Corte ha rigettato il ricorso, confermando la decisione di appello. È stato stabilito che il contribuente non aveva fornito prove sufficienti a dimostrare la natura di liberalità della somma, sottolineando che l’onere della prova grava su di lui. Il giudizio è stato dichiarato parzialmente estinto per un’annualità a seguito di definizione agevolata.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento Redditometrico e Donazioni: La Cassazione Chiarisce l’Onere della Prova

L’accertamento redditometrico è uno degli strumenti più incisivi a disposizione dell’Agenzia delle Entrate per contrastare l’evasione fiscale. Ma cosa succede quando la maggiore capacità di spesa rilevata dal Fisco deriva da una somma di denaro ricevuta in regalo, come una donazione tra fratelli? Con la recente Ordinanza n. 5941/2024, la Corte di Cassazione è tornata su questo tema, delineando con precisione i confini dell’onere probatorio a carico del contribuente e i limiti del sindacato di legittimità.

I Fatti di Causa

Un contribuente riceveva dall’Agenzia delle Entrate due avvisi di accertamento per gli anni 2007 e 2008, basati sull’applicazione del cosiddetto “redditometro”. Il Fisco aveva rilevato una discordanza tra il reddito dichiarato e la capacità di spesa manifestata, rettificando di conseguenza l’imponibile. Il contribuente impugnava gli atti, sostenendo che la maggiore disponibilità economica derivava da una somma di 60.000 euro ricevuta dal fratello a titolo di liberalità, fornendo a supporto gli estratti del conto corrente.

Il giudizio di primo grado dava ragione al contribuente. Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale ribaltava la decisione, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle Entrate. I giudici di secondo grado ritenevano che la documentazione bancaria prodotta fosse “del tutto inadeguata ed insufficiente” a provare la natura gratuita del versamento e che il contribuente non avesse assolto l’onere della prova su di lui gravante.

Il caso approdava così in Corte di Cassazione. Nel frattempo, la controversia relativa all’anno 2008 veniva chiusa tramite una definizione agevolata, lasciando alla Corte il compito di decidere solo sull’annualità 2007.

Le censure mosse dal contribuente nell’accertamento redditometrico

Il contribuente, nel suo ricorso, sollevava diverse critiche alla sentenza d’appello, tra cui:

1. Violazione di norme procedurali: Sosteneva che l’Agenzia delle Entrate avesse introdotto in appello una tesi nuova (la presunta esistenza di un rapporto societario tra i fratelli), configurando una inammissibile “mutatio libelli”.
2. Falsa applicazione dell’art. 38 del D.P.R. 600/73: Contestava l’applicazione della norma sull’accertamento sintetico, ritenendola in contrasto con la normativa sulle donazioni tra fratelli.
3. Errata motivazione e travisamento dei fatti: Lamentava che i giudici d’appello non avessero correttamente valutato le prove fornite, in particolare la documentazione bancaria che attestava la dazione di denaro.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, ritenendolo in parte infondato e in parte inammissibile. Le motivazioni della decisione sono un importante compendio di principi processuali e sostanziali in materia tributaria.

In primo luogo, la Corte ha escluso che l’Agenzia delle Entrate avesse introdotto una domanda nuova in appello. I giudici hanno chiarito che il divieto di “nuove eccezioni” non si estende alle mere difese. L’Agenzia, quindi, era legittimata a specificare e articolare meglio in appello le sue contestazioni, già genericamente sollevate in primo grado, senza violare alcuna norma processuale.

In secondo luogo, la Corte ha ribadito un principio fondamentale del ricorso per cassazione post-riforma del 2012: il vizio di “errata motivazione” non è più deducibile se non nei casi estremi di motivazione assente, apparente o totalmente contraddittoria. Allo stesso modo, il “travisamento del fatto” non è un motivo di ricorso per cassazione, ma un motivo di revocazione. Il fulcro del ragionamento della Corte è che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti o di valutare nuovamente le prove, compito che spetta esclusivamente ai giudici di merito (primo e secondo grado). La Commissione Tributaria Regionale aveva valutato gli estratti conto e li aveva giudicati “insufficienti” a provare la donazione; questa valutazione, essendo una valutazione di fatto e non essendo viziata da palesi illogicità, era insindacabile in sede di legittimità.

Infine, la Corte ha ritenuto che il ricorso del contribuente si risolvesse, in sostanza, in una generica critica alla sentenza impugnata, mescolando questioni di fatto e di diritto e chiedendo un inammissibile riesame della causa.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento offre due importanti lezioni. La prima è di natura processuale: il ricorso in Cassazione deve essere fondato su precise violazioni di legge e non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sui fatti. La seconda, di natura sostanziale, è cruciale per chiunque affronti un accertamento redditometrico: di fronte a una contestazione del Fisco, l’onere di provare che le maggiori somme disponibili hanno un’origine non tassabile (come una donazione, una vincita o un risarcimento) grava interamente sul contribuente. Come dimostra questo caso, non basta produrre un estratto conto: è necessario fornire prove chiare, univoche e convincenti, capaci di superare il vaglio critico del giudice, che ha il potere discrezionale di ritenerle adeguate o, come in questa vicenda, insufficienti.

Un estratto conto è sempre una prova sufficiente per dimostrare una donazione e contrastare un accertamento redditometrico?
No. Secondo la Corte, la valutazione dell’idoneità della prova è rimessa al giudice di merito. In questo caso, i giudici d’appello hanno ritenuto gli estratti conto “del tutto inadeguati ed insufficienti” e la Cassazione ha confermato che tale valutazione sui fatti non è sindacabile in sede di legittimità.

L’Agenzia delle Entrate può specificare le sue difese nel giudizio di appello?
Sì. La Corte ha chiarito che il divieto di proporre nuove eccezioni in appello riguarda solo le eccezioni in senso stretto (es. prescrizione) e non le mere difese. Pertanto, l’Amministrazione Finanziaria può argomentare in modo più specifico in secondo grado le contestazioni già sollevate genericamente nel primo giudizio.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove, come la documentazione bancaria?
No. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione delle norme di diritto, non di riesaminare i fatti o di valutare nuovamente le prove. Una tale richiesta rende il ricorso inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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