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Accertamento presuntivo: sì alla deduzione forfettaria

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso di alcuni contribuenti contro un accertamento presuntivo dell’Agenzia delle Entrate. L’ordinanza stabilisce che il giudice di merito ha errato nel non verificare una possibile duplicazione d’imposta e nel negare la deduzione forfettaria dei costi a fronte dei maggiori ricavi presunti, principi fondamentali per un corretto accertamento tributario.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento presuntivo: la Cassazione apre alla deduzione dei costi

L’accertamento presuntivo basato sui movimenti bancari è uno degli strumenti più potenti a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria. Tuttavia, il suo utilizzo deve rispettare principi di equità e logica, come ribadito da una recente ordinanza della Corte di Cassazione. Il caso in esame riguarda un avviso di accertamento per imposte dirette e IVA notificato a un imprenditore (e poi ai suoi eredi), fondato su presunte vendite non fatturate e su ‘colossali’ versamenti in contanti sui conti correnti. La vicenda, giunta per la seconda volta in Cassazione, offre spunti cruciali sulla duplicazione d’imposta e sulla deducibilità dei costi.

I Fatti di Causa

La controversia ha origine da un avviso di accertamento per l’anno 1998, basato su due verbali della Guardia di Finanza. I giudici di primo e secondo grado avevano inizialmente dato ragione al contribuente. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in Cassazione, ottenendo un primo annullamento con rinvio, poiché la Corte ha ritenuto l’avviso di accertamento sufficientemente motivato.

Il giudice del rinvio ha quindi ribaltato la decisione, ritenendo legittimo l’accertamento dell’Agenzia. Secondo la Corte territoriale, le ingenti somme versate in contanti e le presunte vendite in nero costituivano presunzioni sufficienti a giustificare la pretesa fiscale, senza che i contribuenti avessero fornito prove contrarie adeguate. Contro questa nuova sentenza, gli eredi del contribuente hanno proposto un nuovo ricorso in Cassazione, lamentando due errori fondamentali.

L’illegittima duplicazione d’imposta

Il primo motivo di ricorso accolto dalla Cassazione riguarda la violazione del divieto di doppia imposizione. I contribuenti avevano eccepito, sin dal primo grado, che per lo stesso anno d’imposta (1998) erano stati emessi due diversi avvisi di accertamento: uno basato su ricavi non contabilizzati e l’altro, quello in causa, basato principalmente sui controlli bancari. La stessa Agenzia delle Entrate, nelle sue difese iniziali, aveva ammesso l’esistenza dei due atti, paventando la necessità di tenerne conto per evitare una duplicazione.

La Corte di Cassazione ha censurato duramente il giudice del rinvio per aver completamente ignorato questa eccezione. Sussiste una duplicazione d’imposta quando lo stesso tributo viene applicato più volte sul medesimo presupposto. Il giudice aveva il dovere di verificare questa circostanza, che, se provata, avrebbe reso illegittima una parte della pretesa fiscale. L’omessa verifica su un punto così decisivo ha costituito un vizio insanabile della sentenza impugnata.

Il corretto accertamento presuntivo e la deduzione dei costi

Il secondo e altrettanto importante motivo di ricorso accolto riguarda la determinazione del reddito. I contribuenti sostenevano che, anche ammettendo l’esistenza di maggiori ricavi, il giudice avrebbe dovuto detrarre i costi correlati, determinando così il reddito imponibile e non tassando i ricavi lordi.

La Cassazione ha dato piena ragione ai ricorrenti, richiamando un principio consolidato, rafforzato da recenti pronunce della Corte Costituzionale. Quando l’Amministrazione Finanziaria presume l’esistenza di ricavi non dichiarati (ad esempio, da versamenti bancari non giustificati), è illogico e contrario ai principi di capacità contributiva non riconoscere anche l’esistenza dei costi necessari per produrre tali ricavi. Pertanto, il contribuente ha sempre diritto a opporre una deduzione percentuale forfettaria dei costi di produzione. Il giudice del rinvio ha errato nell’escludere a priori qualsiasi incidenza dei costi, tassando di fatto i ricavi lordi come se fossero reddito netto.

le motivazioni

Le motivazioni della Suprema Corte si fondano su due pilastri giuridici. In primo luogo, il dovere del giudice di esaminare tutte le eccezioni sollevate dalle parti, specialmente quelle, come la duplicazione d’imposta, che possono inficiare la legittimità stessa dell’atto impositivo. Ignorare tale eccezione equivale a una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

In secondo luogo, la Corte riafferma un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme sull’accertamento. La presunzione legale di ricavi derivante da prelevamenti o versamenti non giustificati non è assoluta. Il contribuente può vincerla non solo con la prova analitica contraria, ma anche eccependo l’incidenza di costi, la cui esistenza è intrinsecamente legata alla produzione di ricavi. Tassare il ricavo lordo violerebbe il principio di capacità contributiva, poiché il reddito imponibile è, per definizione, il risultato di ricavi meno costi.

le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha accolto il terzo e il quarto motivo di ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado in diversa composizione. Il nuovo giudice dovrà riesaminare il caso attenendosi a due principi fondamentali: primo, verificare l’effettiva esistenza di una duplicazione d’imposta derivante dai due avvisi di accertamento concorrenti; secondo, procedere a una nuova determinazione del reddito, applicando una deduzione forfettaria dei costi ai maggiori ricavi eventualmente accertati. Questa decisione rafforza le garanzie del contribuente di fronte all’accertamento presuntivo, assicurando una tassazione più equa e aderente alla reale capacità economica.

Cosa succede se vengono emessi due avvisi di accertamento per lo stesso anno e la stessa imposta?
Si verifica una ‘duplicazione d’imposta’, una situazione illegittima. Il giudice ha il dovere di verificare tale circostanza sollevata dal contribuente, poiché potrebbe rendere nullo in parte o in toto l’atto impositivo. La stessa Amministrazione Finanziaria deve tenerne conto per evitare di richiedere due volte lo stesso tributo.

Quando l’Agenzia delle Entrate presume maggiori ricavi da versamenti bancari, il contribuente può dedurre i costi?
Sì. La Corte di Cassazione, in linea con la Corte Costituzionale, ha stabilito che a fronte di ricavi presunti, il contribuente imprenditore ha sempre diritto di opporre una deduzione percentuale forfettaria dei costi di produzione. È illogico presumere l’esistenza di ricavi senza considerare i costi necessari per generarli.

Una contabilità formalmente corretta è sufficiente per evitare un accertamento presuntivo?
No. Secondo la sentenza, anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, l’Amministrazione Finanziaria può procedere a un accertamento analitico-induttivo se ritiene la contabilità complessivamente inattendibile sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, come ad esempio ingenti e ingiustificati movimenti bancari in contanti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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