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Accertamento presuntivo: quando è legittimo?

Una società del settore gaming ha contestato un accertamento presuntivo basato su dati dei concessionari e contabilità incompleta. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo legittimo l’operato dell’Agenzia delle Entrate. La sentenza chiarisce che in presenza di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, l’onere di fornire la prova contraria spetta al contribuente, che in questo caso non è riuscito a dimostrare una diversa ripartizione dei ricavi rispetto a quella presunta dall’ufficio.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento Presuntivo: La Cassazione Conferma la Legittimità sulla Base di Indizi Coerenti

L’accertamento presuntivo rappresenta uno degli strumenti più incisivi a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria per contrastare l’evasione fiscale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i principi che ne regolano la legittimità, specialmente in settori complessi come quello del gioco legale. La vicenda analizzata offre spunti fondamentali su come la mancanza di una contabilità trasparente e di prove contrarie possa portare alla conferma di una pretesa fiscale basata su indizi.

I Fatti di Causa: La Controversia Fiscale nel Settore del Gioco

Una società operante nella gestione di apparecchi da intrattenimento si è vista notificare un avviso di accertamento con cui venivano rideterminati i tributi IRES e IRAP per l’anno d’imposta 2012. L’Agenzia delle Entrate aveva ricostruito i ricavi della società in via presuntiva, basandosi su due elementi principali:
1. Le comunicazioni ricevute dai concessionari della rete telematica, che indicavano l’ammontare complessivo dei compensi generati dagli apparecchi gestiti dalla società.
2. Una grave anomalia contabile: i registri IVA della società riportavano annotazioni solo a partire dal 31 maggio 2012, nonostante alcuni apparecchi risultassero operativi per l’intero anno.

La società ha impugnato l’atto, ma la Commissione Tributaria Regionale ha dato ragione all’Ufficio. La controversia è così giunta dinanzi alla Corte di Cassazione.

L’Analisi della Corte di Cassazione sull’accertamento presuntivo

Il contribuente ha basato il proprio ricorso su due motivi principali. In primo luogo, ha sostenuto che gli elementi utilizzati dall’Agenzia non rispettassero i requisiti di “gravità, precisione e concordanza” previsti dalla legge per fondare un accertamento presuntivo. In secondo luogo, ha contestato la metodologia di ripartizione dei ricavi, ritenuta errata.

La Corte Suprema ha esaminato entrambi i motivi, rigettandoli e confermando la solidità dell’impianto accusatorio dell’Amministrazione Finanziaria.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha articolato la sua decisione su alcuni pilastri fondamentali del diritto tributario.

Sulla validità degli elementi presuntivi

I giudici hanno stabilito che gli elementi raccolti dall’Agenzia delle Entrate erano più che sufficienti per costituire una prova presuntiva valida. La combinazione tra i dati ufficiali trasmessi dai concessionari (un fatto noto e preciso) e l’evidente incompletezza delle scritture contabili del contribuente (un’ulteriore anomalia) costituiva un quadro indiziario dotato dei requisiti richiesti:
* Gravità: perché gli indizi indicavano una probabilità molto alta di redditi non contabilizzati.
* Precisione: perché i dati si riferivano a specifici apparecchi e a un ammontare definito di compensi.
* Concordanza: perché entrambi gli elementi puntavano nella stessa direzione, ovvero l’occultamento di parte dei ricavi.

Sull’onere della prova

Una volta che l’Amministrazione Finanziaria ha costruito una presunzione fondata su tali elementi, l’onere della prova si inverte e passa al contribuente. Spettava alla società, quindi, dimostrare l’infondatezza della ricostruzione. Tuttavia, l’azienda si è limitata a contestazioni generiche, affermando che la ripartizione dei proventi tra gestore ed esercente avveniva secondo “accordi variabili”, senza però fornire alcuna prova documentale (come contratti scritti) che attestasse una suddivisione diversa da quella del 50% presunta dall’Agenzia sulla base della prassi di settore. Questa mancanza di prova contraria è stata fatale per la difesa del contribuente.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per i Contribuenti

L’ordinanza in esame ribadisce un principio cruciale: la corretta e completa tenuta delle scritture contabili è la prima e più importante forma di difesa per un contribuente. Di fronte a un accertamento presuntivo, non basta negare, ma è indispensabile fornire prove concrete e documentate che smontino la ricostruzione dell’Ufficio. La decisione conferma che, in assenza di prove specifiche fornite dal contribuente, è legittimo per l’Amministrazione Finanziaria fare ricorso a dati di settore e prassi commerciali per fondare le proprie presunzioni. Per le imprese, la lezione è chiara: la trasparenza e la documentazione precisa dei rapporti commerciali non sono solo un obbligo formale, ma uno strumento essenziale per tutelarsi da contestazioni fiscali.

Quando l’Agenzia delle Entrate può utilizzare un accertamento presuntivo per determinare il reddito di un’azienda?
L’Agenzia può utilizzare un accertamento presuntivo quando dispone di elementi indiziari ‘gravi, precisi e concordanti’ che suggeriscono l’esistenza di redditi non dichiarati. Nel caso specifico, la comunicazione dei compensi da parte dei concessionari e le registrazioni contabili incomplete della società sono stati ritenuti elementi sufficienti.

Cosa deve fare un contribuente per contestare efficacemente un accertamento basato su presunzioni?
Il contribuente ha l’onere di fornire la ‘prova contraria’. Non è sufficiente una contestazione generica, ma occorre presentare prove documentali specifiche (come contratti o registrazioni contabili complete) che dimostrino l’infondatezza della pretesa dell’Amministrazione finanziaria e spieghino le discrepanze riscontrate.

In assenza di un contratto scritto, come può l’Agenzia delle Entrate determinare la ripartizione dei ricavi tra due soggetti?
In assenza di prove fornite dal contribuente, l’Agenzia può basare la sua presunzione sulla prassi di mercato o del settore. In questa ordinanza, la Corte ha ritenuto legittima l’applicazione di una ripartizione presunta del 50% dei compensi tra gestore ed esercente, poiché il contribuente non ha dimostrato l’esistenza di accordi diversi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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