Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21911 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21911 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 30/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19663/2016 R.G. proposto da :
PROFESSIONE RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE , che la rappresenta e difende
-ricorrente-
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO), che la rappresenta e difende
-resistente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA LOMBARDIA n. 1108/11/16 depositata il 26/02/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza n. 1108/11/16 del 26/02/2016, la Commissione tributaria regionale della Lombardia (di seguito CTR) accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate (di seguito AE)
avverso la sentenza n. 1011/26/15 della Commissione tributaria provinciale di Milano (di seguito CTP), che aveva accolto il ricorso di RAGIONE_SOCIALE (di seguito PSI) nei confronti di un avviso di accertamento per IRES, IRAP e IVA relative all’anno d’imposta 2006.
1.1. Come emerge dalla sentenza impugnata, l’avviso di accertamento riguardava due riprese concernenti altrettante fatture, l’una per costi non sufficientemente documentati e l’altra per incompetenza; inoltre, l’Ufficio procedeva alla rideterminazione del reddito imponibile sul presupposto della antieconomicità della gestione.
1.2. La CTR accoglieva l’appello di AE evidenziando che: a) «la contribuente non presentato documentazione probante la fondatezza delle proprie contestazioni circa la carenza documentale rilevata dall’Ufficio in violazione del disposto ex art. 21, d.P.R. 633/1972», relativamente al costo rappresentato dalla fattura n. 20 del 22/03/2007 emessa da COGNOME; b) la contribuente non aveva presentato documentazione circa la non competenza del costo rappresentato dalla fattura n. 12 del 02/08/2006 emessa da NOME COGNOME in violazione del disposto di cui all’art. 109 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi TUIR); c) PSI non aveva giustificato «la carenza della dicitura evidenziata dall’Ufficio, relativamente ai maggiori ricavi accertati, per cui fondate l’ipotesi dell’Ufficio circa l’omissione di contabilizzazione delle provvigioni percepite dagli acquirenti, nonché la rideterminazione dei ricavi ex art. 39, comma 1, lett. d) e comma 2, lett. d bis) d.P.R. 600/1973».
PSI impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
AE si costituiva al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione orale ai sensi dell’art. 370 primo comma, cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso per cassazione di PSI è affidato a cinque motivi, di seguito riassunti.
1.1. Con il primo motivo di ricorso, riguardante la contestata antieconomicità della gestione, si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 41 bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (decreto IVA), degli artt. 4, 5, 11, 24 e 25 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, degli artt. 2727 e 2729 cod. civ. e dell’art. 53 Cost., per avere la CTR ritenuto legittimo il ragionamento presuntivo dell’atto impositivo, che ha contestato l’antieconomicità della gestione senza tenere conto della circostanza che la società sia stata in liquidazione per circa la metà dell’anno 2006 e senza tenere conto che nessun compenso avrebbe potuto esserle riconosciuto da un soggetto nei confronti del quale non sarebbe stato sottoscritto alcun accordo.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, riguardante la medesima ripresa, si contesta in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla circostanza che la società contribuente è stata messa in liquidazione, con conseguente compromissione del normale risultato economico.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, per avere la CTR irrogato una sanzione che non tiene conto dello ius
superveniens , essendo le sanzioni comminate per la dichiarazione infedele inferiore a euro 30.000,00 più miti.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, riguardante la ripresa relativa alla fattura di COGNOME, si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 109 del TUIR, dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, degli artt. 2727 e 2729 cod. civ. e dell’art. 53 Cost., per avere la CTR erroneamente disconosciuto la deducibilità del costo.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso, riguardante la ripresa relativa alla fattura emessa da NOME COGNOME si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 109 e 163 del TUIR, dell’art. 67 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 53 Cost., per avere la CTR avallato una ripresa che si rivela eccessivamente penalizzante per la società contribuente, che comunque ha affrontato il relativo costo.
I primi due motivi, riguardando la rideterminazione del reddito fondata sulla antieconomicità della gestione, possono essere esaminati congiuntamente e vanno disattesi.
2.1. È noto che l’accertamento tributario, sia con riferimento all’imposizione diretta che all’IVA, può fondarsi anche su presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma esclusivamente per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, ove ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della
prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli artt. 2727 e ss. e 2697, secondo comma cod. civ. (cfr. Cass. n. 14237 del 07/06/2017; Cass. n. 9784 del 23/04/2010).
2.2. Inoltre, va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, « In tema di accertamento tributario, ove la contabilità risulti formalmente regolare, ma si riveli intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, in applicazione dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 300 del 1973, l’Amministrazione finanziaria può desumere in via induttiva – sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti – il reddito del contribuente, utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, lasciando al contribuente l’onere di fornire la prova contraria mediante la dimostrazione della correttezza delle proprie dichiarazioni » (così, da ultimo, Cass. n. 24578 del 09/08/2022; si vedano, altresì, Cass. n. 21128 del 22/07/2021; Cass. n. 6918 del 20/03/2013).
2.2.1. In proposito è stato, altresì, evidenziato che l’antieconomicità del comportamento del contribuente può desumersi anche da un unico elemento presuntivo, purché preciso e grave (Cass. n. 27552 del 30/10/2018).
2.3. Nel caso di specie, la CTR si è puntualmente conformata ai superiori principi di diritto, valutando dapprima come legittime le presunzioni fornite dall’Ufficio in ragione della sussistenza di un’antieconomicità della gestione dovuta ad eccessività di componenti negativi di reddito ovvero a compressione di elementi positivi (come testimoniato, in ipotesi, dalla mancata fatturazione di una provvigione).
2.3.1. Successivamente ha evidenziato che la società contribuente non ha fornito alcuna prova contraria idonea a mettere in discussione la presunzione ricavabile dalla ricordata antieconomicità.
2.4. Trattasi di un accertamento di fatto che non può essere messo in discussione dalla proposizione di un vizio di violazione di legge. Del resto, PSI tende ad accreditare una diversa valutazione del medesimo fatto (costituito dalla antieconomicità della gestione) già esaminato dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 331 del 13/01/2020; Cass. n. 19547 del 04/08/2017; Cass. n. 24679 del 04/11/2013; Cass. n. 27197 del 16/12/2011; Cass. n. 2357 del 07/02/2004) , a nulla rilevando l’eventuale pretermissione, nel ragionamento svolto, di alcune circostanze.
2.5. Ne consegue che le censure proposte da parte ricorrente sono entrambe inammissibili.
Il terzo motivo, con cui si chiede il riconoscimento dello ius superveniens in materia di sanzioni, è inammissibile.
3.1. La disciplina delle sanzioni più favorevole alla società contribuente è stata introdotta con l’art. 15 del d.lgs. n. 158 del 2015, il quale ha inciso, a far data dal 01/01/2016, sul regime sanzionatorio previsto dagli artt. 1, 6 e 9 del d.lgs. n. 471 del 1997.
3.2. Tuttavia, non risulta che PSI abbia chiesto l’applicazione delle sanzioni nella prima difesa utile nella quale avrebbe potuto porre la questione (memoria ex art. 32 del d.lgs. n. 546 del 1992 ovvero discussione orale) , tenuto conto dell’entrata in vigore della lex mitior
nel corso del giudizio di secondo grado e in data antecedente all’udienza di trattazione della causa (tenutasi il 05/02/2016).
3.3. Ne consegue che la questione, proposta per la prima volta in sede di giudizio di legittimità, è preclusa.
Il quarto motivo, concernente la ripresa COGNOME è inammissibile.
4.1. Il giudice di appello, esprimendo la propria legittima valutazione di merito, ha ritenuto che la fattura emessa da COGNOME non contenga tutti gli elementi idonei a giustificare la deduzione del relativo costo.
4.2. In proposito il ricorrente, da un lato, non ha ritenuto di dover riprodurre la fattura contestata ai fini della necessaria autosufficienza del ricorso (Cass. S.U. n. 8950 del 18/03/2022; Cass. n. 12481 del 19/04/2022); dall’altro, pur deducendo apparentemente, una violazione di legge, mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 3340 del 05/02/2019; Cass. n. 640 del 14/01/2019; Cass. n. 24155 del 13/10/2017; Cass. n. 8758 del 04/07/2017; Cass. n. 8315 del 05/04/2013).
Il quinto motivo, riguardante la ripresa COGNOME, è infondato.
5.1. Invero, come già evidenziato da questa Corte, « il recupero dei costi in base al criterio di competenza temporale non determina una duplicazione di imposta in quanto la dichiarazione del costo in una determinata annualità consente l’accertamento dell’Ufficio sulla base del corretto impiego di detto criterio, non essendo consentito al contribuente di scegliere il periodo in cui registrare le passività secondo la propria convenienza, così da alterare i risultati economici dell’esercizio, mentre, in caso di effettivo pagamento per due volte della medesima imposta, dispone dei rimedi ordinamentali della
dichiarazione integrativa e del rimborso » (Cass. n. 15019 del 15/07/2020).
In conclusione, il ricorso va rigettato.
6.1. Nulla per le spese in ragione del mancato svolgimento di attività difensiva da parte di AE.
6.2. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 12/02/2025.