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Accertamento presuntivo: onere della prova del Fisco

Un’impresa del settore giochi contesta un accertamento presuntivo basato su dati di terzi. La Cassazione rigetta il ricorso, confermando che spetta al contribuente fornire prova contraria specifica, come i contratti, per superare le presunzioni del Fisco. Viene inoltre negata la deducibilità di costi non provati nell’inerenza e effettività.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento presuntivo e onere della prova: la Cassazione fa il punto

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto tributario: l’accertamento presuntivo. La decisione offre importanti chiarimenti sull’onere della prova che grava sul contribuente quando il Fisco contesta ricavi non dichiarati basandosi su elementi indiziari, e sulla deducibilità dei costi aziendali. Analizziamo nel dettaglio i principi affermati dalla Suprema Corte.

Il caso: un accertamento presuntivo nel settore del gioco

Una società operante nel settore del gioco si è vista notificare un avviso di accertamento con cui l’Amministrazione Finanziaria rideterminava il reddito imponibile e l’IRAP per l’anno 2013. L’Ufficio aveva rilevato ricavi non dichiarati basandosi sulle informazioni trasmesse dai concessionari relative alle operazioni di gioco poste in essere dalla società.

Il contenzioso, dopo i primi due gradi di giudizio che avevano visto un esito sfavorevole per la società in appello, è giunto dinanzi alla Corte di Cassazione. La società ricorrente ha basato le proprie difese su tre motivi principali: l’inammissibilità dell’appello dell’Ufficio per carenza di specificità, l’illegittimità delle presunzioni utilizzate dal Fisco e l’erronea valutazione sulla non deducibilità di alcuni costi.

L’onere della prova nell’accertamento presuntivo: i motivi del ricorso

Il cuore della controversia ruota attorno alla validità dell’accertamento basato su presunzioni e alla ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente. Vediamo come la Cassazione ha analizzato i singoli punti sollevati dalla società.

La specificità dei motivi d’appello

Il primo motivo di ricorso contestava la decisione della Commissione Tributaria Regionale (CTR) di non aver dichiarato inammissibile l’appello dell’Agenzia delle Entrate. Secondo la società, l’atto di appello era generico.

La Cassazione ha respinto questa tesi, ribadendo un principio consolidato: nel processo tributario, l’appello ha un carattere “devolutivo pieno”. Ciò significa che la parte soccombente può anche solo riproporre le stesse argomentazioni già disattese in primo grado, senza che ciò renda l’appello generico. L’importante è che il giudice d’appello sia messo in condizione di comprendere il contenuto delle censure, e in questo caso la CTR aveva dimostrato di averle pienamente comprese e analizzate.

La prova contraria alle presunzioni del Fisco

Il secondo motivo, centrale nella vicenda, criticava la CTR per aver ritenuto valide le presunzioni del Fisco (gravi, precise e concordanti) senza considerare adeguatamente le prove contrarie fornite dalla società. L’accertamento si basava sulla percentuale di riparto dei ricavi comunicata dai concessionari.

La Suprema Corte ha dichiarato questo motivo inammissibile. Ha chiarito che il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito, volto a riesaminare le prove. La CTR aveva correttamente ritenuto che, a fronte degli elementi indiziari forniti dall’Ufficio, fosse onere della contribuente dimostrare una diversa realtà. La società avrebbe dovuto produrre i contratti specifici stipulati con i singoli esercenti per provare una diversa percentuale di riparto dei ricavi, ma si era limitata a depositare dichiarazioni sostitutive generiche, ritenute insufficienti a “inficiare la coerenza dell’accertamento”.

La deducibilità dei costi: prova di inerenza ed effettività

Infine, la società contestava il mancato riconoscimento della deducibilità di alcuni costi relativi a servizi forniti da una terza società. Secondo la ricorrente, tali costi erano inerenti all’attività d’impresa.

Anche questo motivo è stato giudicato inammissibile. La Corte ha evidenziato che la censura della società era scollegata dalla vera ratio decidendi della sentenza d’appello. La CTR non aveva negato la deducibilità basandosi sulla presunta anti-economicità dell’operazione, bensì sulla totale assenza di prova sia dell’inerenza sia dell’effettività del costo. Il giudice di merito aveva rilevato che non vi era prova del collegamento tra i servizi fatturati e l’attività dell’impresa, e che le modalità di acquisto e pagamento erano risultate “del tutto fumose”.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La decisione della Cassazione si fonda su principi consolidati. In primo luogo, in tema di accertamento presuntivo, una volta che l’Amministrazione Finanziaria ha fornito elementi indiziari dotati dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, l’onere di fornire la prova contraria si sposta sul contribuente. Tale prova non può essere generica, ma deve essere specifica e documentale, atta a dimostrare una realtà fattuale diversa da quella presunta.

In secondo luogo, la Corte ribadisce che il sindacato di legittimità non può comportare una nuova valutazione del materiale probatorio. Il compito della Cassazione è verificare la correttezza logico-giuridica del ragionamento del giudice di merito, non sostituire la propria valutazione a quella operata nei gradi precedenti.

Infine, in materia di deducibilità dei costi, non è sufficiente affermarne l’inerenza. Il contribuente deve fornire la prova rigorosa della loro effettività e del loro collegamento funzionale con l’attività produttiva di ricavi, specialmente quando le circostanze dell’operazione appaiono poco chiare.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame conferma la linea rigorosa della giurisprudenza in materia di accertamento tributario. Per il contribuente, ciò significa che, di fronte a un accertamento basato su presunzioni, è fondamentale predisporre una difesa basata non su mere affermazioni, ma su prove documentali concrete e specifiche (come i contratti, in questo caso). Allo stesso modo, per la deducibilità dei costi, è essenziale poter dimostrare in modo inequivocabile non solo la loro esistenza formale (la fattura), ma anche e soprattutto la loro effettiva sostanza economica e la loro funzione all’interno dell’attività d’impresa.

Quando un appello nel processo tributario è considerato sufficientemente specifico?
Un appello è considerato specifico quando consente al giudice del gravame di comprendere il contenuto delle censure, anche se si limita a riproporre le stesse argomentazioni già disattese dal giudice di primo grado. Questo perché l’appello tributario ha un carattere “devolutivo pieno”, finalizzato a un riesame della causa nel merito.

In caso di accertamento presuntivo, cosa deve fare il contribuente per contestare i ricavi non dichiarati?
Il contribuente ha l’onere di fornire una prova contraria specifica e documentale per superare le presunzioni gravi, precise e concordanti poste a base dell’accertamento. Secondo la sentenza, non sono sufficienti dichiarazioni generiche, ma è necessario produrre prove concrete, come i contratti, che dimostrino una realtà fattuale diversa da quella ricostruita dall’Amministrazione Finanziaria.

Per quale motivo la Corte ha ritenuto non deducibili i costi sostenuti dalla società?
La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito di negare la deducibilità perché la società non ha fornito la prova dell’inerenza e, soprattutto, dell’effettività di tali costi. La CTR aveva rilevato la mancanza di un collegamento tra i servizi fatturati e l’attività d’impresa e aveva definito “fumose” le modalità di acquisto e pagamento, concludendo per un difetto di prova a carico del contribuente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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