Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32111 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32111 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
Ricorso cassazione Sentenza impugnata Motivazione apparente in –Valutazione delle prove non condivisa -Esclusione. Motivi di ricorso -Rivalutazione delle risultanze istruttorie -Inammissibilità.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1009/2023 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO
(NUMERO_DOCUMENTO)
che la
rappresenta
e
difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della TOSCANA n. 740/2022 depositata il 26/05/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/10/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione Tributaria Regionale della Toscana ( hinc: CTR) con sentenza n. 740/2022 depositata in data 26/06/2022, nell’ambito del giudizio di riassunzione proposto dalla società contribuente successivamente all’ordinanza 19/08/2020, n. 17347 emessa da questa Corte – ha rigettato l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE e ha accolto l’appello incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate, dichiarando legittimo l’avviso di accertamento n. R5X03T100728 relativo all’anno d’imposta 2004 per un totale di Euro 694.128,00.
La vicenda, da cui è scaturita la sentenza della CTR, trae origine dall’avviso di accertamento emesso in ragione della non congruità dei corrispettivi di vendita dichiarati rispetto al valore di nove immobili venduti dalla RAGIONE_SOCIALE con la conseguente rettificazione dei ricavi.
A seguito dell’accoglimento parziale del ricorso originariamente proposto dal contribuente contro l’avviso di accertamento, la Commissione Tributaria Provinciale di Massa Carrara aveva rideterminato i ricavi non dichiarati nel minor importo di Euro 371.260, ritenendo corretto l’accertamento fondato solo in relazione
alle compravendite per le quali gli acquirenti avevano contratto mutui per importi superiori ai corrispettivi indicati negli atti o per le quali erano stati eseguiti prelievi ingiustificati (COGNOME–COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME). La sentenza con la quale la CTR aveva accolto l’appello principale di RAGIONE_SOCIALE e respinto l’appello incidentale dell’Agenzia delle entrate è stata cassata da questa Corte, con la successiva riassunzione del giudizio, nell’ambito del quale è stata emessa, in data 25/05/2022, la sentenza impugnata nel presente procedimento.
3. Questa Corte, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate (con ordinanza 17347 del 2020) aveva precisato che: « La CTR afferma un principio errato quando sostiene che i valori OMI sono “non validi e inutilizzabili” per l’accertamento, e, ancora più, “cancellati dal legislatore con legge n. 88/2009 su indicazione della Comunità Europea”. La legge n. 88 del 2009, in realtà, non li ha resi inutilizzabili, ma ha solo nuovamente attribuito il valore di presunzione semplice, anziché legale come era avvenuto tra il 2006 e la legge 88 del 2009, allo scostamento del reddito dichiarato da essi. »
Ha inoltre precisato che: « La CTR, quindi, parte da un presupposto errato, che vizia l’intera sentenza, affermando che lo scostamento dai valori OMI è del tutto inutilizzabile ai fini accertativi.
Successivamente analizza anche gli altri elementi (importo dei mutui, prelievi, valori normali), ed esclude che ognuno di essi sia univoco per fondare l’accertamento, ma anche in questa analisi la CTR non è convincente; sullo scostamento dal valore dei mutui fornisce una motivazione con cui sembra, in sostanza, negare in maniera assoluta valore a tale elemento, mentre la giurisprudenza afferma, al contrario, che lo scostamento del prezzo dichiarato dal valore del mutuo può anche fondare da solo l’accertamento.»
4. La CTR, in fase rescissoria, ha riscontrato come i valori di cessione dei singoli immobili fossero sensibilmente inferiori a quelli OMI e che l’attendibilità di questi ultimi fosse confermata da ulteriori indizi, come quelli relativi ai valori della banca dati FIAIP (superiori gli stessi valori OMI) e dai valori riscontrati in due perizie eseguite su incarico degli istituti bancari mutuanti. In una di tali perizie, ritenute dalla CTR particolarmente accurate, è stato rilevato come il fabbricato si trovasse in una zona interessata, negli ultimi anni, da un certo incremento urbanistico e da ritenere buona in termini di salubrità e di servizi pubblici, oltre che vicina al centro.
In merito a una compravendita aveva poi riscontrato come la differenza tra l’importo mutuato dalla banca e quello dichiarato nel contratto corrispondesse ai prelievi eseguiti dagli acquirenti sul conto corrente. Erano, poi, stati riscontrati i seguenti prelievi sui conti correnti degli altri acquirenti, in corrispondenza dell’atto d’acquisto:
-Euro 73.400 a fronte di un prezzo dichiarato di Euro 156.000 e un valore normale di Euro 257.432;
-Euro 53.000 a fronte di un prezzo dichiarato di Euro 158.080 e un valore normale di Euro 265.502;
-Euro 103.000 a fronte di un prezzo dichiarato di Euro 143.520 e un valore normale di Euro 248.442.
4.1. La CTR ha quindi tratto le proprie conclusioni evidenziando che: ‘ Con riferimento alla vendita COGNOME–COGNOME la piena attendibilità dei valori O.M.I. è puntualmente confermata dalle due perizie di cui si è detto.
L’esistenza di una sottofatturazione del prezzo della vendita RAGIONE_SOCIALECOGNOME è provata da una pluralità di indizi:
2.1. Sensibile differenza tra il prezzo dichiarato e il valore normale determinato sulla base dei valori O.M.I..
2.2. Sensibile differenza tra il prezzo dichiarato ed il valore stimato dal perito incaricato dalla banca.
2.3. Concessione di un mutuo superiore al prezzo dichiarato.
2.4. Prelevamento, in data anteriore e prossima al rogito, di somme che si ha fondato motivo di presumere versate in acconto del pagamento del prezzo. Il valore indiziario di tale fatto emerge dalla circostanza che analoghi prelevamenti sono risultati con riferimento agli acquirenti COGNOME e COGNOME per i quali -pure- sono stati indicati in atto prezzi di acquisto sensibilmente inferiori ai valori normali O.M.I., come sopra precisato. Per COGNOME ricorre anche la circostanza della concessione di un mutuo in misura superiore al prezzo dichiarato. »
Ha quindi ritenuto che la vendita di appartamenti appena costruiti a un prezzo inferiore a quello di mercato costituisse un comportamento antieconomico, non giustificato da quanto affermato dalla contribuente circa l’ubicazione degli immobili in una zona poco appetibile, trattandosi di circostanza smentita dalle perizie in atti.
Tutte le unità abitative erano ubicate nello stesso complesso edilizio e avevano le medesime caratteristiche costruttive e funzionali, con la conseguenza che è logico inferire che fossero state vendute a prezzi identici o molto vicini.
Inoltre, la pluralità di elementi indiziari che caratterizzava la vendita COGNOME–COGNOME non poteva non riverberarsi con riferimento alle altre vendite, considerato che si trattava di immobili aventi identiche caratteristiche e ubicate in un unico complesso edilizio, tenuto conto che anche nelle altre vendite ricorrevano prelievi sui conti correnti degli acquirenti in prossimità dei rogiti, senza che potesse assumere rilievo il fatto che alcuni prelievi fossero successivi a questi ultimi.
Avverso la sentenza della RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso in cassazione con dodici motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata contestata la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, primo comma, lett. d), D.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973, 54, secondo comma, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.).
1.1. La ricorrente ha evidenziato che il rilievo dato dalla sentenza impugnata ai dati FIAP per la ragione che « proprio per essere rivolti agli operatori del settore immobiliare manifestano un rilevante grado di attendibilità» non risulta condivisibile in quanto manifesta una chiara violazione e falsa applicazione degli artt. 39, primo comma, lett. d), D.P.R. n. 600 del 1973, 54, secondo comma, D.P.R. n. 633 del 1972, e degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. Si tratta, infatti, di dati che integrano un valore non di fatto, ma presunto, al pari dei dati OMI (Cass. 25/01/2019, n. 2155). La ricorrente evidenzia che si tratta di dati desunti da uno studio statistico su una pluralità di atti negoziali, i quali, proprio perché finalizzati ad estrarre un dato numerico di valore medio attraverso la rilevazione di prezzi riferibili ad immobili il più possibile omogenei, non possono di per sé garantire la sovrapponibilità con la specifica compravendita, potendo intervenire una pluralità di componenti peculiari nella condizione dell’immobile. Secondo la giurisprudenza di legittimità i dati FIAP possono, quindi, assumere rilievo solo nella misura in cui si combinino con altri elementi indiziari gravi, precisi e concordanti (Cass. 21/07/2021, n. 21128).
Con il secondo motivo di ricorso è stato contestato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.).
2.1. Nel caso in esame la CTR ha preso in esame quattro atti di acquisto, confrontando il valore dichiarato con il valore mutuato e i prelievi eseguiti dagli acquirenti in prossimità della vendita. Questi ultimi avevano giustificato i prelievi con spese personali, per mobilia, elargizioni ai figli ecc … Il fatto decisivo indicato nell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. di cui è stato omesso l’esame da parte della CTR è costituito dalle dichiarazioni degli acquirenti. A pag. 4445 la ricorrente dichiara che: « gli acquirenti avevano giustificato le movimentazioni bancarie in oggetto spiegando che prelevamenti erano stati utilizzati per spese personali
– quali acquisto di mobilia, pagamento viaggi, elargizioni a figli, acquisti personali, spese notarili, lavori nel giardino, etc. – e comunque mai avevano dichiarato che tali somme erano state utilizzate per il pagamento dell’immobile oggetto di compravend ita o, tantomeno, di aver elargito alla RAGIONE_SOCIALE maggiori somme rispetto al prezzo indicato in sede di stipula. Il fatto storico che gli acquirenti fossero stati chiamati a rendere informazioni ed avessero reso dichiarazioni, nonché il contenuto delle stesse, assume valore decisivo per il giudizio ove si consideri che – come sopra anticipato con riferimento alle n. 4 compravendite (stipulate dalla società con i signori COGNOME NOME – COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME – COGNOME NOME) l’Ufficio ha determinato la somma presuntivamente non fatturata sulla base della differenza tra l’importo indicato nell’atto di vendita e la sommatoria dell’importo concesso a mutuo all’acquirente con i prelevamenti dallo stesso effettuati in prossimità della stipula. In altri termini, gli accertatori hanno ritenuto che – oltre al mutuo, anche – le somme prelevate dagli acquirenti fossero state utilizzate per il pagamento di ciascuno dei quattro immobili acquistati. »
Ad avviso della ricorrente la CTR ha omesso di esaminare le dichiarazioni degli acquirenti, limitandosi a riscontrare i soli dati finanziari e temporali.
Con il terzo motivo di ricorso è stata contestata la violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. 31/12/1992, n. 546, dell’art. 132, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.).
3.1. La ricorrente contesta la motivazione apparente data dalla CTR, che, nel rigettare le argomentazioni di parte contribuente, ha concentrato la propria attenzione sul valore indiziario dei prelevamenti degli acquirenti, senza spiegare l’ iter logico che li avrebbe portati a ritenere del tutto prive di efficacia probatoria le dichiarazioni giustificative rese dagli acquirenti sulla natura di tali movimentazioni bancarie. Rileva, quindi, a pag. 49 del ricorso: « In altri termini, nonostante il thema decidendum (in considerazione del contraddittorio processuale richiamato nel precedente motivo di ricorso) comportasse la necessaria disamina delle dichiarazioni rese dagli acquirenti in ordine ai prelevamenti, risulta evidente come la motivazione della sentenza impugnata non esponga in alcun modo il ragionamento logico-giuridico che ha condotto i Giudici del rinvio ad escludere la rilevanza indiziaria delle dichiarazioni degli acquirenti .» Richiama, quindi, l’indirizzo di questa Corte « secondo cui ‘di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun
effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass., sez. un., 3/11/2016, n. 22232; v. pure Cass., sez. un., 5/04/2016, n. 16599).»
Con il quarto motivo è stata contestata la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, primo comma, lett. d), D.P.R. n. 600 del 1973, 54, secondo comma, D.P.R. n. 633 del 1972, e degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. (ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.).
4.1. Ad avviso della ricorrente la sentenza impugnata contrasta -sempre in relazione a quanto evidenziato nei precedenti motivi di ricorso -anche con i principi che regolano l’accertamento analitico -induttivo. La CTR ha, infatti, ritenuto che i prelievi eseguiti dagli acquirenti in prossimità dei rogiti fossero destinati al pagamento di una parte non dichiarata del prezzo di vendita, in contrasto con quanto affermato dagli acquirenti stessi. In tal modo la CTR, dando rilievo all’elemento presuntivo in sé, non ha valutato l’elemento presuntivo, in senso contrario, costituito proprio dalle dichiarazioni degli acquirenti. È andata così contro quanto affermato da questa Corte che, in caso di accertamento analitico-induttivo, consente al contribuente di dare la prova contraria. Nel processo tributario, infatti, il divieto di prova testimoniale posto dall’art. 7 d.lgs. n. 546 del 1992 si riferisce a quella da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento. La CTR ha, quindi, errato laddove non ha spiegato perché le dichiarazioni rese dagli acquirenti non potessero essere considerate rilevanti.
Con il quinto motivo è stata contestata la violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 132, primo
comma, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.).
5.1. La ricorrente rileva come, a fronte della contestazione della contribuente, in ordine alla circostanza che i prelievi degli acquirenti fossero stati eseguiti successivamente alla data del rogito, la CTR ha rilevato che: « La circostanza che alcuni prelevamenti siano successivi al rogito è irrilevante. Infatti con riferimento alle quattro vendite in questione è stata accertata dall’Ufficio una sottofatturazione di € 371.260. Se invece – anche con riferimento a queste quatt ro vendite l’Agenzia avesse seguito il criterio di determinare il prezzo effettivo sulla base dei valori normali O.M.I. (come per gli altri cinque immobili) il risultato sarebbe stato maggiore di € 31.196 (come si desume dalla pag. 16 dell’avviso di accertamento).»
In sostanza, la circostanza che i prelievi fossero successivi al rogito è stata ritenuta irrilevante, in quanto, nell’ipotesi in cui avessero trovato applicazione i criteri OMI i maggiori ricavi accertati sarebbero stati, addirittura, superiori a ll’importo sottofatturato di Euro 371.260. Tale argomento secondo la ricorrente è palesemente illogico e tale da non consentire la ricostruzione del percorso argomentativo seguito dalla CTR.
Con il sesto motivo è stata contestata la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, primo comma, lett. d), D.P.R. n. 600 del 1973, 54, secondo comma, D.P.R. n. 633 del 1972, e degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.).
6.1. La ricorrente rileva che nei precedenti gradi di giudizio era stata contestata l’efficacia presuntiva delle perizie redatte dai periti incaricati dalle banche. A tal fine era stata prodotta la perizia giurata
del Geom. COGNOMEincaricato dalla società contribuente), dove era stato determinato il valore normale di ogni singola unità immobiliare. Era stata poi contestata la genericità delle perizie redatte su incarico delle banche evidenziando altresì come le stesse fossero solitamente abbastanza alte, proprio per facilitare l’erogazione dei mutui. L’Agenzia delle Entrate, al contrario, sosteneva che le perizie redatte su incarico delle banche fossero più affidabili, perché finalizzate all’erogazione dei finanziamenti. La CTR ha, tuttavia, recepito la tesi sostenuta dall’Agenzia delle Entrate. Il ragionamento presuntivo si rivela, tuttavia, fallace. Ad avviso della ricorrente: « prima della crisi economica del 2007-2008 (derivata dalla crisi dei Subprimes negli USA) che ha coinvolto il sistema bancario, gli istituti di credito erano ben disposti a concedere mutui/finanziamenti per importi superiori all’effettivo valore di mercato dell’immobile che si intendeva acquistare; tale comportamento incidendo anche sull’istruttoria delle relative pratiche e, quindi, sulle valutazioni di stima dei beni posti in garanzia dagli acquirenti, che conseguentemente venivano ad essere sopravvalutati .» Tanto più che i sig.ri COGNOME avevano giustificato i prelievi eseguiti in prossimità dell’acquisto per spese personali, acquisto di mobilia e giardino, escludendo, invece, che fossero impiegate per il pagamento dell’immobile. Inoltre, sia i signori COGNOME che i signori COGNOME, sentiti dall’Ufficio ‘ in merito alla modalità di acquisto ‘, non avevano mai dichiarato di aver elargito alla RAGIONE_SOCIALE maggiori somme rispetto al prezzo indicato in sede di stipula.
7. Con il settimo motivo di ricorso è stata contestata la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, primo comma, lett. d), D.P.R. n. 600 del 1973, 54, secondo comma, D.P.R. n. 633 del 1972, e degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.).
7.1. Con tale motivo la ricorrente contesta la sentenza impugnata laddove afferma che « Con riferimento alla compravendita DELLA COGNOME, va segnalato anche che: 1. Il mutuo è stato concesso per € 170.000 e cioè per un importo sensibilmente superiore al corrispettivo che dall’atto risulta pagato per l’appartamento ed accessori, pari a € 133.120 al lordo dell’IVA. … 2. L’esistenza di una sottofatturazione del prezzo della vendita DELLA COGNOME è provata da una pluralità di indizi: … 2.3. Concessione di u n mutuo superiore al prezzo dichiarato. … Per COGNOME ricorre anche la circostanza della concessione di un mutuo in misura superiore al prezzo dichiarato.»
La ricorrente afferma come tale ragionamento presuntivo sia errato e che violi le norme poste a fondamento del motivo di ricorso evidenziando, anche in relazione a tale motivo, che: « prima della crisi economica del 2007-2008 (derivata dalla crisi dei Subprimes negli USA) che ha coinvolto il sistema bancario, gli istituti di credito erano ben disposti a concedere mutui/finanziamenti per importi superiori all’effettivo valore di mercato dell’immobile che si intendeva acquistare ». Rileva, inoltre, come i signori COGNOMECOGNOME e COGNOME ovvero gli acquirenti che avevano contratto mutuo per importi superiori al prezzo indicato negli atti di compravendita, avevano giustificato i prelevamenti effettuati in prossimità della stipula spiegando che gli stessi erano stati utilizzati per spese personali – quali acquisto di mobilia e lavori nel giardino e comunque mai avevano dichiarato che tali somme erano state utilizzate per il pagamento dell’immobile oggetto di compravendita.
8. Con l’ottavo motivo è stata contestata la violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 132, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. e
dell’art. 111 Cost. (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.).
8.1. La ricorrente -ritenendo che la violazione delle norme appena richiamate integri un’ipotesi di motivazione apparente evidenzia come, a sostegno dell’avviso di accertamento, l’amministrazione finanziaria avesse contestato l’antieconomicità dell’attività di impresa in relazione ai ricavi, al volume d’affari e al reddito d’impresa. La CTR nella sente nza impugnata ha sostenuto che: « Costituisce un comportamento antieconomico vendere appartamenti appena costruiti ad un prezzo sensibilmente inferiore ai prezzi di mercato, soprattutto in un periodo di espansione del mercato immobiliare. Ciò rappresenta, sulla base delle giurisprudenza richiamata dall’Ufficio, un elemento indiziario grave e preciso, in grado di legittimare l’accertamento dell’ufficio. 4. Oltretutto la circostanza che i prezzi di acquisto siano inferiori ai valori di mercato è riconosciuta dalla stessa società, che la giustifica con caratteristiche non appetibili della zona. Tale affermazione è però smentita da quanto riferito nella perizia sopra citata.»
8.2. L’argomentazione della CTR, secondo cui l’antieconomicità dell’attività svolta si ricaverebbe dalla circostanza che gli immobili siano stati venduti a un prezzo inferiore rispetto a quello di mercato, senza tenere conto della differenza tra costi e ricavi effettivamente conseguiti dalla società nel corso della propria attività, è tuttavia illogica.
Con il nono motivo di ricorso è stata contestata la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, primo comma, lett. d), D.P.R. n. 600 del 1973, 54, secondo comma, D.P.R. n. 633 del 1972, e degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.).
9.1. Ad avviso della ricorrente la sentenza impugnata contrasta anche con le disposizioni che regolano gli accertamenti analiticoinduttivi, dal momento che la CTR avrebbe valutato l’antieconomicità dell’attività della società contribuente in relazione alle vendite avvenute a valori non corrispondenti, senza tener conto della differenza tra costi e ricavi.
Con il decimo motivo è stata contestata la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, primo comma, lett. d), D.P.R. n. 600 del 1973, 54, secondo comma, D.P.R. n. 633 del 1972, e degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.).
10.1. La ricorrente evidenzia che con riferimento a un primo gruppo di quattro compravendite la somma presuntivamente non fatturata è stata determinata sulla base della differenza tra l’importo indicato nell’atto di vendita e la sommatoria dell’importo concesso a mutuo all’acquirente con i prelevamenti dallo stesso effettuati in prossimità della stipula.
Per un secondo gruppo di cinque compravendite l’ufficio ha rideterminato il « prezzo reale delle vendite tramite l’applicazione del valore normale determinato in base ai valori OMI, in quanto appare verosimile che la società abbia praticato prezzi simili, trattandosi di immobili aventi le medesime caratteristiche.»
10.2. La CTR ha rilevato che: « 5. Tutte le unità compravendute -appartamenti più cantine e posti auto -sono ubicate nello stesso complesso edilizio e hanno le medesime caratteristiche costruttive e funzionali, talché è logico inferire che siano state vendute a prezzi identici o molto vicini.
5.1. E’ pertanto infondata la censura della società che lamenta che l’Ufficio avrebbe illegittimamente esteso le risultanze accertative
delle quattro cessioni sopra indicate alle altre cinque con riferimento alle quali non ha svolto attività istruttoria.»
5.2. La pluralità di elementi indiziari relativi alla vendita DELLA COGNOMERAGIONE_SOCIALECOGNOME non può non riverberarsi anche con riferimento alle altre vendite, atteso che si tratta di immobili aventi identiche caratteristiche e ubicate in un unico complesso edilizio, tenuto anche conto che gli indizi relativi ai prelevamenti e all’importo dei mutui ricorrono anche per altri immobili. Ritenere il contrario sarebbe contrario a qualsiasi logica di gestione societaria secondo normali criteri di economicità. »
Tale motivazione, ad avviso della ricorrente, viola il divieto di doppia presunzione: la CTR ha ritenuto fondata la presunzione di maggiori ricavi derivanti dalle vendite di cinque immobili – il cui corrispettivo è stato determinato sulla base dei valori OMI – sebbene detti valori OMI siano di per sé elementi non sufficienti a giustificare l’accertamento e l’attendibilità degli stessi derivasse da ulteriori elementi presuntivi (presunzioni semplici).
Con l’undicesimo motivo di ricorso è stato contestato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.).
11.1. La ricorrente contesta l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto di dover porre i valori OMI a fondamento dell’accertamento dei maggiori ricavi in relazione agli immobili il cui acquisto non era stato finanziato media nte l’erogazione di un mutuo. Inoltre, per l’acquisto RAGIONE_SOCIALE, sebbene non fosse stato erogato un mutuo era stato comunque erogato un finanziamento di Euro 110.000, a fronte di un prezzo di acquisto pari a Euro 119.000.
11.2. Contesta, quindi, che con riferimento al secondo gruppo di cinque compravendite, non sussistevano gli elementi presuntivi (afferenti i mutui e i prelevamenti degli acquirenti) adottati dall’Ufficio per determinare i maggiori corrispettivi in relazione al primo gruppo di quattro compravendite.
Con il dodicesimo motivo di ricorso è stata contestata la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, primo comma, lett. d), D.P.R. n. 600 del 1973, 54, secondo comma, D.P.R. n. 633 del 1972, e degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.).
12.1. In merito a tale motivo, ad avviso della ricorrente, la CTR ha illegittimamente esteso l’efficacia delle presunzioni, riscontrate in ordine al primo gruppo di quattro compravendite, anche con riferimento al secondo gruppo di cinque compravendite, sebbene non sussistessero, per queste ultime, gli elementi presuntivi (afferenti i mutui e i prelevamenti degli acquirenti) adottati dall’Ufficio per determinare i maggiori corrispettivi in relazione alle prime quattro compravendite.
La controricorrente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, in quanto i singoli motivi in cui esso si articola, per un verso, si appuntano sui singoli elementi indiziari addotti dall’Ufficio, tentando di frammentare un quadro indiziario che la CTR ha correttamente valutato unitariamente; per altro verso, non denunciano alcuna illogicità di carattere generale o interna alla specifica disciplina di settore.
Nel complesso, dunque, il ricorso sollecita una rivalutazione delle prove suggerendo inferenze probabilistiche semplicemente diverse da quella che si dice applicata dal giudice di merito, senza spiegare e dimostrare perché quelle da costui applicate abbiano esorbitato dai paradigmi dell’art. 2729, comma 1, cod. civ.
14. Passando all’esame dei motivi di ricorso, il terzo, il quinto e l’ottavo motivo -incentrati sulla violazione dell’art. 36, secondo comma, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 132, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. sono infondati. In tutti e tre e motivi appena richiamati viene contestato, attraverso i parametri normativi evocati a loro fondamento, il vizio di motivazione apparente.
In particolare, con il terzo motivo la ricorrente contesta che la sentenza impugnata: « sia incorsa nel vizio di motivazione apparente nei capi ove ha ritenuto fondato l’accertamento (e quindi che tali somme potessero rappresentare corrispettivi versati alla società cedente e da quest’ultima non dichiarati) senza spiegare le ragioni e l’iter logico che l’ha portata ad escludere la rilevanza indiziaria delle dichiarazioni rese dagli acquirenti. »
Con il quinto motivo è stato contestato che la sentenza impugnata: « sia incorsa nel vizio di motivazione apparente (illogica ed incomprensibile) nei capi ove ha ritenuto irrilevante la circostanza di fatto secondo cui alcuni prelevamenti erano successivi al rogito, motivando che dall’accertamento condotto dall’Ufficio era emersa la sottofatturazione di € 371.260,00 (ovvero, la differenza tra la somma dei mutui con i prelevamenti effettuati degli acquirenti ed il prezzo di vendita dichiarato) e che se l’Agenzia avesse adottato i valori OMI sarebbe giunta a contestare in capo al venditore la mancata fatturazione di un importo più elevato. »
Con l’ottavo motivo di ricorso è stato contestato che la sentenza impugnata « sia incorsa nel vizio di motivazione apparente nei capi ove ha ritenuto fondato l’accertamento ritenendo che il comportamento di tale società fosse antieconomico in ragione della vendita degli immobili ad un prezzo inferiore al presunto valore di
mercato e non sulla base della differenza tra costi e ricavi effettivamente conseguiti dalla società nel corso della propria attività economica. »
Questa Corte, con orientamento costante, ha tuttavia precisato che: « Ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto affetta da tale vizio la sentenza impugnata che aveva dichiarato inammissibile l’appello perché tardivo, senza indicare la documentazione esaminata e la valenza probatoria della stessa ai fini della decisione assunta). » (Cass., 23/05/2019, n. 13977).
Nel caso di specie è pienamente comprensibile il percorso logico che ha condotto il giudice di secondo grado alla decisione impugnata, come dimostra la proposizione di ben dodici motivi di ricorso, con i quali la ricorrente censura le varie argomentazioni con le quali è stata motivata la sentenza impugnata. Le contestazioni oggetto del terzo, del quinto e dell’ottavo motivo di ricorso non riguardano , quindi, lacune relative alla propalazione dell’ iter motivazionale seguito dal giudice di secondo grado, quanto piuttosto valutazioni meramente non condivise dalla parte ricorrente. Come tali sono inidonee a determinare la violazione dei parametri normativi posti a fondamento dei motivi di ricorso in esame e l’auspicato esito invalidante del provvedimento impugnato.
14.1. Tutti gli altri motivi di ricorso sono inammissibili in quanto con gli stessi la parte ricorrente veicola una diversa valutazione delle
risultanze istruttorie. A tal fine occorre richiamare quanto precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo le quali: « È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito. (Principio affermato dalla S.C. con riferimento ad un motivo di ricorso che, pur prospettando l’omesso esame di risultanze probatorie, in realtà tendeva ad una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti dai quali era originata la condanna disciplinare di un avvocato).» (Cass., Sez. U, 27/12/2019, n. 34476).
14.2. La motivazione della CTR nel vagliare la pretesa dell’amministrazione finanziaria che ha contestato maggiori ricavi alla contribuente, muovendosi nel solco delineato nella fase rescindente da Cass. n. 17347 del 2020 ha preso le mosse dai dati OMI (che rilevavano dei valori superiori a quelli ricavabili dagli importi dichiarati nei rogiti di acquisto), per valutarne l’idoneità a consentire la prova del cd. fatto ignoto ( i.e. presenza di maggiori ricavi della società contribuente) nell’ambito di un quadro probatorio più ampio.
In tale contesto le divergenze tra valori dichiarati e i valori OMI sono state valutate alla luce di altri elementi di natura indiziaria come i dati FIAP (entrati nell’argomentazione della sentenza impugnata non come dato dirimente, ma come dato indiziario da saldare con gli altri elementi posti alla base del ragionamento presuntivo), le perizie redatte su incarico della banca, i prelievi eseguiti dagli acquirenti in prossimità dei rogiti d’acquisto. Ha quindi ritenuto che da tali elementi le divergenze dei dati OMI -che, si ripete, il giudice della fase rescissoria era tenuto a valutare al fine di verificarne il grado di
inferenza probatoria unitamente agli altri elementi atti -potessero consentire di affermare la correttezza dell’accertamento di maggiori ricavi da parte dell’amministrazione finanziaria.
14.3. È bene precisare che tale attività di valutazione delle prove e delle risultanze istruttorie è rimessa al giudice di merito ed è avulsa dal sindacato del giudice di legittimità. Di conseguenza, è rimessa al giudice di merito anche la valutazione delle giustificazioni fornite dagli acquirenti in relazione ai prelievi. Non è infatti sufficiente ad escludere la mancata destinazione degli importi prelevati per il pagamento delle maggior prezzo rispetto a quello dichiarato la semplice affermazione dell’acquirente. Nella specie a fronte di prelievi per importi, invero, considerevoli emergono, da quanto riportato nello stesso ricorso in cassazione, giustificazioni alquanto generiche (spese personali, mobilia, erogazioni ai figli) che portano a ritenere non illogica la valutazione compiuta dalla CTR.
14.4. Lo stesso è a dirsi in ordine alla valutazione delle perizie eseguite su incarico della banca (in relazione alle quali il giudice della fase rescissoria ha motivato l’apprezzamento dell’idoneità probatoria in relazione all’ubicazione nella zona). Anche sotto tale profilo il rilievo prevalente rispetto alle diverse risultanze della perizia prodotta dalla società contribuente non presenta elementi di illogicità.
14.5. Non solo è da escludere, quindi, la violazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., ma anche quella dell’art. 39, primo comma, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973.
14.6. È da ritenere, poi, come non sussista un’indebita applicazione della cd. praesumptio de presumpto in ordine all’applicazione dei valori OMI agli immobili il cui acquisto non è stato accompagnato dall’erogazione di un mutuo. Difatti, nel caso di specie il criterio seguito dalla CTR consegue all’ubicazione degli immobili
interessati dall’accertamento all’inserimento in un medesimo comprensorio abitativo e alla similarità delle caratteristiche che li accomunano.
Il ricorso deve essere, quindi, rigettato, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 10.700,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 22/10/2024.