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Accertamento presuntivo: il valore del preliminare

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6546/2025, ha annullato la decisione di una Commissione Tributaria Regionale che aveva illegittimamente favorito un contribuente in un caso di accertamento presuntivo. La Suprema Corte ha ribadito che il prezzo indicato in un contratto preliminare di compravendita immobiliare costituisce un elemento presuntivo di primaria importanza. Spetta al contribuente, e non all’Agenzia delle Entrate, l’onere di provare con elementi concreti le ragioni di un prezzo inferiore nel contratto definitivo. La sentenza è stata annullata anche per motivazione illogica, in quanto il giudice di merito si era pronunciato su una questione (IVA) diversa da quella oggetto del contendere (ricavi non dichiarati).

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento Presuntivo e Valore del Contratto Preliminare: La Lezione della Cassazione

L’accertamento presuntivo rappresenta uno degli strumenti più incisivi a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria per contrastare l’evasione fiscale. Tuttavia, il suo utilizzo deve seguire regole precise, specialmente per quanto riguarda la valutazione delle prove e la ripartizione dell’onere probatorio tra Fisco e contribuente. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 6546 del 2025, offre chiarimenti fondamentali sul valore del contratto preliminare nelle compravendite immobiliari e sulla coerenza logica che deve sorreggere ogni decisione giudiziaria.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un avviso di accertamento per IRPEF, IRAP e IVA notificato a un contribuente in relazione a due distinte operazioni immobiliari avvenute nel 2011.

La prima operazione riguardava la vendita di un immobile. Le parti avevano stipulato un contratto preliminare per un prezzo di 130.000 euro, ma l’atto di vendita definitivo riportava un corrispettivo di soli 90.000 euro. L’Agenzia delle Entrate, sospettando l’occultamento di parte del prezzo, aveva recuperato a tassazione la differenza di 40.000 euro.

La seconda operazione, più complessa, era stata strutturata come una permuta parziale. Il contribuente riceveva un terreno edificabile in cambio di tre appartamenti di valore superiore. L’operazione era stata formalizzata attraverso due distinti atti di vendita, ma secondo il Fisco il contribuente aveva omesso di dichiarare ricavi per 250.000 euro, corrispondenti alla differenza di valore tra i beni scambiati.

La Decisione della Commissione Tributaria Regionale

In secondo grado, la Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva dato ragione al contribuente, annullando l’accertamento. Per la prima operazione, i giudici avevano ritenuto giustificata la riduzione del prezzo a causa di un ritardo nella consegna dell’immobile, senza però che il contribuente fornisse prove concrete a sostegno di tale affermazione. Per la seconda operazione, la CTR aveva concluso che i due atti di vendita separati erano legittimi e che l’IVA era stata correttamente assolta, ignorando di fatto la contestazione principale dell’Agenzia, che verteva sui ricavi non dichiarati ai fini delle imposte dirette.

L’Accertamento Presuntivo nel Ricorso per Cassazione

L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza della CTR dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando principalmente due vizi.

In primo luogo, ha sostenuto la violazione delle norme sull’accertamento presuntivo e sull’onere della prova. Secondo il Fisco, la CTR aveva erroneamente svalutato il forte valore indiziario del contratto preliminare, che indicava un prezzo superiore a quello definitivo, e aveva di fatto invertito l’onere della prova, pretendendo dall’Ufficio una prova ‘certa’ dell’incasso maggiore, anziché chiedere al contribuente di giustificare la discrepanza.

In secondo luogo, ha eccepito la nullità della sentenza per motivazione illogica e per vizio di extrapetizione. La CTR, infatti, si era pronunciata sulla regolarità del trattamento IVA, un aspetto non contestato per l’annualità in questione, tralasciando completamente il cuore della ripresa fiscale, ovvero l’omessa dichiarazione di ricavi.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto entrambi i motivi di ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza impugnata.

Sulla Valutazione delle Presunzioni

I giudici di legittimità hanno riaffermato un principio cardine del diritto tributario: l’accertamento può fondarsi su presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. Il giudice di merito ha il dovere di valutare analiticamente tutti gli elementi indiziari forniti dall’Amministrazione. Solo se questi elementi, considerati nel loro complesso, raggiungono la soglia di prova presuntiva, scatta per il contribuente l’onere di fornire la prova contraria.

Nel caso specifico, la CTR ha errato non considerando la portata indiziaria del prezzo pattuito nel contratto preliminare. La differenza di 40.000 euro rispetto al rogito definitivo costituiva un solido indizio di un maggior corrispettivo. La giustificazione fornita dal contribuente (il ‘ritardo nella consegna’) è stata accettata acriticamente, come una mera affermazione, senza alcun supporto probatorio. In questo modo, la CTR ha illegittimamente invertito l’onere della prova, gravandolo sull’Amministrazione anziché sul contribuente.

Sulla Nullità per Motivazione Illogica

Per quanto riguarda la seconda operazione, la Corte ha rilevato una ‘palese incongruenza’ nella motivazione della CTR. La contestazione del Fisco riguardava i ricavi non dichiarati nel 2011, mentre la sentenza si era concentrata sulla correttezza del versamento dell’IVA, peraltro relativa all’anno d’imposta 2010. Questa motivazione, del tutto slegata dall’oggetto del contendere, rende la sentenza nulla per vizio di extrapetizione e per illogicità manifesta.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione ribadisce con forza alcuni principi fondamentali. Primo, il contratto preliminare non è un pezzo di carta senza valore, ma un atto che, in un contenzioso fiscale, assume un’elevata valenza probatoria. Una successiva riduzione del prezzo nel contratto definitivo deve essere supportata da prove oggettive e concrete fornite dal contribuente. Secondo, il processo di valutazione delle presunzioni da parte del giudice deve essere rigoroso e analitico, non può basarsi su mere affermazioni di parte. Infine, la motivazione di una sentenza deve essere sempre coerente con le questioni sollevate dalle parti; in caso contrario, la decisione è nulla. Per i contribuenti, la lezione è chiara: ogni operazione economica, specialmente se complessa, deve essere documentata in modo trasparente e ogni eventuale anomalia, come una variazione di prezzo tra preliminare e definitivo, deve poter essere giustificata in modo inoppugnabile.

Un accertamento fiscale può basarsi solo su presunzioni?
Sì, la legge lo consente a condizione che le presunzioni siano ‘gravi, precise e concordanti’. L’Amministrazione Finanziaria non è tenuta a fornire prove ‘certe’, ma un quadro indiziario solido e coerente.

Che valore ha il prezzo indicato in un contratto preliminare rispetto a quello del contratto definitivo?
Ha un forte valore indiziario. Se il prezzo nel contratto definitivo è inferiore, spetta al contribuente l’onere di provare, con elementi concreti e non con semplici affermazioni, le ragioni di tale diminuzione. In assenza di tale prova, l’Agenzia può legittimamente presumere che sia stato incassato il prezzo maggiore indicato nel preliminare.

Cosa succede se un giudice tributario motiva la sua decisione su una questione diversa da quella contestata?
La sentenza è nulla. Il giudice deve decidere solo sulle questioni che le parti hanno sottoposto al suo esame. Una motivazione che si concentra su aspetti non contestati o irrilevanti per la causa (come l’IVA di un anno diverso a fronte di una contestazione sui ricavi) è considerata illogica e viziata da ‘extrapetizione’.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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