Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3693 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3693 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/02/2025
AVVISO DI ACCERTAMENTO -IRPEF-IVA-IRAP 2006.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18016/2015 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio del prof. avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentato e difeso unitamente all’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale a margine del ricorso, -ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-controricorrente/ricorrente in via incidentale avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto n. 181/19/2015, depositata il 13 gennaio 2015; udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza in camera di consiglio del 13 novembre 2024 dal consigliere relatore dott. NOME COGNOME
– Rilevato che:
Con avviso di accertamento n. T6X01CM04186/2011, notificato il 27 dicembre 2011, l’Agenzia delle Entrate -Direzione provinciale di Treviso rettificava, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 39, comma 1, lett. d ) e 41bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nonché degli artt. 35 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 e 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, la dichiarazione presentata ai fini IREPF, IRAP ed IVA da COGNOME NOME (imprenditore individuale esercente l’attività di ‘costruzione di edifici residenziali e non residenziali’), in relazione all’anno d’imposta 2006, contestando la mancata dichiarazione di maggiori ricavi da cessioni di immobili per € 385.029,00, con conseguente rideterminazione delle imposte dovute.
Proposto ricorso dal contribuente, avverso tale avviso di accertamento, dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Treviso questa, con sentenza n. 85/05/2012, depositata il 18 ottobre 2012, in parziale accoglimento del ricorso rideterminava i maggiori ricavi non dichiarati in € 37.000,00.
Interposto gravame dall’Ufficio ed appello incidentale da parte del contribuente, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, con sentenza n. 181/19/2015, pronunciata il 4 novembre 2014 e depositata in segreteria il 13 gennaio 2015, ac coglieva parzialmente l’appello principale, confermando l’ammontare dei ricavi non dichiarati per le cessioni degli appartamenti siti in Trevignano in € 319.024,00, e rideterminando i maggiori ricavi per la cessione dell’immobile sito in Povegliano in € 11.000,00 (in luogo di € 66.005,00); rigettava inoltre l’appello incidentale del contribuente, e condannava quest’ultimo alla rifusione delle spese di lite .
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME, sulla base di nove motivi (ricorso notificato il 10 luglio 2015).
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate, che propone altresì ricorso incidentale sulla base di due motivi.
La discussione del ricorso è stata quindi fissata per l’adunanza in camera di consiglio del 27 gennaio 2023, ai sensi degli artt. 375, comma 2, e 380bis .1 c.p.c.; all’esito dell’udienza suddetta la Corte, su istanza del ricorrente, emetteva ordinanza interlocutoria, con la quale sospendeva la trattazione del ricorso fino al 10 luglio 2023, avendo il ricorrente presentato istanza di definizione agevolata ai sensi dell’art. 1, commi 186 ss., legge 29 dicembre 2 022, n. 197 .
Con decreto del 10 luglio 2024 è stata quindi fissata nuovamente la discussione del ricorso per l’adunanza in camera di consiglio del 13 novembre 2024, ai sensi degli artt. 375, comma 2, e 380bis .1 c.p.c.
– Considerato che:
Preliminarmente va rilevato che il ricorrente ha comunicato di non avere dato corso alla richiesta di definizione agevolata, in relazione alla presente controversia.
Procedendo quindi all’esame dei motivi di ricorso, la Corte osserva quanto segue.
2.1. Con il primo motivo il contribuente eccepisce violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 41 del d.P.R. n. 600/1973,
in relazione all’art. 53 Cost., nonché dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Rileva, in particolare, che i parametri presi in considerazione dalla C.T.R. per dimostrare la sussistenza di ricavi non dichiarati (in particolare, la circostanza che i mutui contratti dagli acquirenti fossero ben superiori rispetto al prezzo risultante dall’atto di compravendita) non potessero essere considerati elementi presuntivi gravi e precisi, sufficienti a giustificare l’accertamento dei maggiori ricavi, ma soltanto dei semplici indizi, che solo unitamente ad altri elementi di fatto avrebbero potuto generare presunzioni idonee a dimostrare il maggior reddito d’impresa.
Il motivo è infondato.
La C.T.R. ha ritenuto provata la sotto-fatturazione della vendita di immobili siti in Trevignano sulla base, in particolare, della circostanza per cui i mutui contratti dagli acquirenti fossero tutti ben superiori al prezzo risultante dall’atto di compravendita, nel mentre è notorio che gli istituti bancari, di regola, non erogano mutui per un importo superiore al valore commerciale del bene costituito in garanzia.
Orbene, già questo elemento, di per sé solo, sarebbe sufficiente a giustificare l’accertamento in questione, sulla base del principio per cui il convincimento del giudice può fondarsi anche su un solo elemento presuntivo, purché grave e preciso, dovendo il requisito della concordanza ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale ma non necessario concorso di più elementi presuntivi (Cass. 27 luglio 2018, n. 19987; Cass. 3 ottobre 2014, n. 20914); e, a tal proposito, è indubbio che, nel caso di specie, vi siano i requisiti della gravità e precisione, essendo, come detto, assolutamente
R.G. N. 18016/2015
Cons. est. NOME COGNOME
atipica l’erogazione, a titolo di mutuo, di una somma di importo superiore al valore commerciale del bene (cfr., sul punto, Cass. 20 marzo 2019, n. 7819, secondo la quale «L’accertamento di un maggior reddito d’impresa derivante dalla cessione di beni immobili può essere fondato anche soltanto sull’esistenza di uno scostamento tra il minor prezzo indicato nell’atto di compravendita e l’importo del mutuo erogato all’acquirente, ciò non comportando alcuna violazione delle norme in materia di onere della prova»).
Peraltro, nel caso di specie la C.T.R. ha preso in considerazione, al fine di giustificare la prova dei maggiori ricavi per la compravendita degli immobili siti in Trevignano, anche altri elementi, quali le dichiarazioni della acquirente sig.ra COGNOME NOME (che ha confessato di avere pagato una parte dell’immobile da lei acquistato in contanti), ed il valore a m/q. determinato per l’appartamento acquistato dalla stessa sig.ra COGNOME, in relazione al valore dichiarato degli altri appartamenti.
Orbene, in sede di legittimità è possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., ma ciò solo allorché ricorra il c.d. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso (Cass. 13 febbraio 2020, n. 3541), oppure qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti
che non sono invece rispondenti a quei requisiti (Cass. 30 giugno 2021, n. 18611).
Nel caso di specie, la C.T.R. ha valutato gli elementi di prova forniti dalle parti, ritenendo che, in base ad una serie di circostanze convergenti analiticamente indicate, il prezzo di vendita degli immobili siti in Trevignano fosse superiore a quello dichiarato negli atti di compravendita.
Trattasi di corretta applicazione dei principi in tema di presunzioni semplici, in presenza di indizi che sono stati ritenuti gravi, precisi e concordanti, ragion per cui non sussiste alcun vizio di sussunzione.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si eccepisce l’omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio, ed oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c.
Deduce, in particolare, il ricorrente che la C.T.R. non aveva preso in considerazione in alcun modo la questione posta nella comparsa di costituzione e risposta in appello, con riferimento al fatto che l’atto di appello dell’Ufficio non riportava specifici motivi di impugnazione, ma si limitava a riproporre le argomentazioni già esposte nella comparsa di costituzione in primo grado.
Anche tale motivo è infondato.
Innanzitutto, va rilevato che, nella specie, il ricorrente non indica un fatto storico-naturalistico preciso e decisivo, il cui esame sarebbe stato omesso da parte del giudice di secondo grado (cfr., in tal senso, da ultimo, Cass. 15 marzo 2024, n. 7085), ma lamenta, sostanzialmente, il mancato esame di una eccezione difensiva (inammissibilità dell’ impugnazione) sollevata con le proprie controdeduzioni in appello, e quindi, in
pratica, il vizio di violazione dell’art. 112 c.p.c. (omessa pronuncia su una specifica eccezione), in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), c.p.c.
Anche così riqualificato, il motivo è comunque infondato.
Ed invero, è noto che, nel processo tributario, la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi deve essere interpretata restrittivamente.
Dando per assodata la tassatività delle ipotesi di inammissibilità previste dal l’art. 53, comma 1, d.lgs. n. 546/1992, è principio pacifico che nel processo tributario la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dalla norma in parola, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 disp. prel. c.c., trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione ( ex plurimis , tra le più recenti, Cass. 15 gennaio 2019, n. 707; Cass. 21 luglio 2020, n. 15519); va quindi ribadito, conformemente alla giurisprudenza sezionale (v. Cass. 31 gennaio 2022, n. 2755; Cass. 15 gennaio 2019, n. 707; Cass. 5 ottobre 2018, n. 24641) che, nel processo tributario, anche nell’ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire ed a riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato già dedotte in primo grado, deve ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica richiesto dal l’art. 53 d.lgs. n. 546/1992 – che costituisce norma speciale rispetto all’art. 342 c.p.c. -atteso il carattere devolutivo pieno dell’appello, che è un mezzo d’impugnazione non limitato al
contro
llo di vizi specifici della sentenza di primo grado, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito (cfr., tra le altre, Cass. 29 febbraio 2012, n. 3064; Cass. 28 febbraio 2011, n. 4784; Cass. 30 dicembre 2016, nn. 27497 e 27498; Cass. 22 marzo 2017, n. 7369).
Pertanto, anche nell’ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire ed a riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato già dedotte in primo grado, deve ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica.
Ne consegue, dunque , che l’eccezione di inammissibilità dell’appello, pur se non esplicitamente esaminata dalla Corte regionale, era comunque infondata nel merito, il che determina anche l’infondatezza del motivo di ricorso in esame.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 13, 21 e 54 del d.P.R. n. 633/1972, nonché degli artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Deduce, in particolare, che la C.T.R., con riferimento agli immobili siti in Trevignano, aveva operato una erronea valutazione su presunzioni non dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, e che le dichiarazioni rilasciate dalla sig.ra NOME COGNOME si appalesavano come inconferenti, contraddittorie e non supportate da altri elementi che ne potessero confermare la validità.
Con riferimento alla compravendita dell’immobile in Povegliano, invece, il ricorrente censura l’accertamento dell’Ufficio, avendo questo applicato degli automatismi illegittimi e pretestuosi, tenuto conto anche del fatto che la zona nella quale era ubica to l’immobile non era centrale, ma
periferica, con valori in media tra € 760,00 ed € 870,00 al m/q., e quindi in sintonia con quanto dichiarato nell’atto di compravendita.
Il motivo è inammissibile, in quanto il ricorrente non deduce alcuna violazione di legge, ma si limita, sostanzialmente, a censurare la valutazione in punto di fatto operata dalla C.T.R., con riferimento all’applicazione delle presunzioni (che, come già detto, possono essere costituite anche da un solo elemento, qual è, nella specie, l’erogazione di mutui per un importo superiore al valore dichiarato negli atti di compravendita), ed alla valorizzazione delle dichiarazioni di COGNOME NOME, dalle quali è stato anche determinato il valore normale a m/q. delle unità immobiliari oggetto di compravendita.
Con riferimento alla compravendita dell’immobile di Povegliano, inoltre, il ricorrente rivolge le sue censure non già alla sentenza impugnata, bensì direttamente all’avviso di accertamento, nel mentre la C.T.R. aveva già rettificato l’importo dei maggiori ricavi accertati, riducendolo da € 66.005,00 ad € 11.600,00, proprio in applicazione dei valori medi (da € 760,00 ad € 870 al m/q.) richiamati dallo stesso ricorrente
2.4. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente eccepisce la nullità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c., nonché nullità della sentenza per inesistenza della motivazione o per motivazione apparente, in relazione all’ar t. 360, comma 1, num. 4), c.p.c., nonché, ancora, violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del
d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Deduce, in particolare, che la motivazione della sentenza impugnata era contraddittoria ed apparente, con riferimento alla determinazione dei valori di riferimento degli immobili oggetto di compravendita, stante anche l’insufficienza, all’uopo, dei valori OMI.
Anche tale motivo è infondato.
Al di là dei numerosi richiami normativi operati in rubrica, va rilevato, innanzitutto, che il ricorrente, anche in tal caso, pur evocando la fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c., in realtà non indica alcun fatto storico la cui valutazione sarebbe stata omessa dalla Corte regionale.
Come è noto, il sindacato di legittimità sulla motivazione è circoscritto alla verifica del rispetto del c.d. minimo costituzionale, nel senso che l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce – con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza – nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile. Infatti, dopo la riformulazione dell’art. 360, comma 1, num. 5), cod. proc. civ. , non è più consentito censurare in sede di legittimità la contraddittorietà
o l’insufficienza della motivazione, essendo evidente che ammettere, in sede di legittimità, la verifica della sufficienza o della razionalità della motivazione in ordine alle quaestiones facti significherebbe consentire un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito (da ultimo, Cass. 28 aprile 2023, n. 11263; Cass. 7 aprile 2023, n. 9543).
A tal proposito, la violazione del principio del c.d. minimo costituzionale è individuabile nei soli casi – che si tramutano in vizio di nullità della sentenza per difetto del requisito di cui all’articolo 132, comma 2, num. 4), c.p.c., e, nel processo tributario, all’art. 36, comma 2, num. 4), d.lgs. n. 546/1992 -di «mancanza assoluta di motivi sotto il profilo materiale e grafico», di «motivazione apparente», di «contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili» e di «motivazione perplessa od incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza della mera «insufficienza» o «contraddittorietà» della motivazione (Cass. 18 agosto 2023, n. 24808).
Nel caso di specie, tale minimo costituzionale appare comunque raggiunto, in quanto la C.T.R., sia pure in maniera sintetica, ha chiaramente dato conto dei criteri attraverso i quali ha determinato il valore commerciale degli immobili oggetto di compravendita, richiamando, per gli immobili in Trevignano, la presunzione derivante dalla circostanza che gli istituti di credito, normalmente, non erogano mutui per importo superiore al valore degli immobili oggetto di garanzia reale, nonché le dichiarazione di una delle acquirenti dei suddetti immobili, e, per l’immobile in Povegliano, i valori OMI normalmente espressi per la relativa tipologia.
La sentenza è quindi pienamente motivata sia in punto di fatto che in punto di diritto.
2.5. Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212, nonché dell’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Rileva, in particolare, che nel caso di specie egli era stato sottoposto ad una vera e propria attività di verifica da parte dell’Ufficio, e che quest’ultimo aveva violato il citato art. 12 della legge n. 212/2000, non avendo informato il contribuente delle ragioni di tale verifica.
Il motivo è totalmente infondato.
Nel caso di specie non è stata operata alcuna verifica fiscale ex art. 52 d.P.R. n. 633/1972, o ex art. 33 d.P.R. n. 600/1973 (e quindi con accesi, ispezioni o verifiche), ma si è effettuato un accertamento c.d. ‘a tavolino’, sulla base del controllo della dichiarazione dei redditi del contribuente; non sono quindi applicabili, nella specie, le g aranzie previste dall’art. 12 della legge n. 212/2000.
2.6. Con il sesto motivo il Manchera deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 41 -bis d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Sostiene, in particolare, che la rettifica ex art. 41bis d.P.R. n. 600/1973 postulerebbe il possesso, da parte degli Uffici, di elementi certi da cui desumere errori od omissioni di elementi reddituali, ai quali dovrebbero ritenersi estranee le ricostruzioni induttive da cui traggono origine le presunzioni ex art. 39 dello stesso d.P.R.
Anche tale motivo è completamente destituito di fondamento.
Dal tenore letterale dell’art. 41 -bis d.P.R. n. 600/1973, infatti, non si evince in alcun modo che il c.d. accertamento parziale possa essere legittimamente emesso soltanto in presenza di elementi istruttori dimostrativi ex se dell’esistenza di redditi sottratti ad imposizione, con conseguente impossibilità per l’Ufficio di ricorrere allo strumento in questione allorquando la sussistenza di componenti positivi non dichiarati emerga soltanto in via presuntiva.
Vero è che l’accertamento parziale può essere effettuato allorquando «risultino elementi» che consentono di stabilire l’esistenza di redditi non dichiarati, e quindi sia che si tratti di elementi certi, sia che si tratti di elementi presuntivi, che, allorquando siano gravi, precisi e concordati, hanno valore di prova.
Da ciò deriva la palese infondatezza della censura in esame. 2.7. Con il settimo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 55 del d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Rileva il ricorrente che, con riferimento alla determinazione del valore dell’immobile in Povegliano, vi era stato un illegittimo utilizzo delle presunzioni contenuto nell’art. 39 d.P.R. n. 600/1973, in quanto non vi erano i presupposti per l’accertamento induttivo, nonché l’inosservanza dei principi in tema di onere della prova, che incombeva all’Amministrazione .
Anche tale motivo è infondato.
Vero è che con l’art. 24, comma 5, della legge 7 luglio 2009, n. 88, sono state abrogate le disposizioni introdotte all’art. 39, comma 1, lett. d ), d.P.R. n. 600/1973, in forza dell’art. 35, comma 3, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, che consentivano agli Uffici erariali di
effettuare delle rettifiche dei valori di vendita dei corrispettivi dichiarati per i trasferimenti immobiliari sulla base del c.d. ‘valore normale’ degli immobili, come determinato ai sensi dell’art. 9, comma 3, del d.P.R. n. 917/1986.
Va tuttavia rilevato che, con specifico riferimento all’immobile di Povegliano, non si applica il riferimento al valore normale citato, in quanto la compravendita ha avuto luogo con atto stipulato in data 8 maggio 2006, e quindi prima dell’entrata in vigore delle modifiche introdotte con il d.l. n. 223/2006.
In ogni caso, la C.T.R., con riferimento alla determinazione del valore dell’immobile sito in Povegliano, non ha fatto riferimento al ‘valore normale’ ex art. 9, comma 3, d.P.R. n. 917/1986, ma ha operato un accertamento equitativo, richiamando la media dei valori OMI.
Consegue che non sussiste la lamentata violazione di legge. 2.8. Con l’ottavo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 13 e 21 del d.P.R. n. 633/1972, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Evidenzia il ricorrente che le violazioni invocate dall’Ufficio non erano mai state commesse, e che l’attività accertativa era stata posta in essere in contrasto con l’art. 13 cit., in assenza di elementi che giustificassero un prezzo di compravendita diverso da quello risultante dagli atti notarili.
Anche tale motivo è infondato, in quanto l’Ufficio, con l’accertamento in esame ha semplicemente accertato una base imponibile maggiore di quella risultanti dagli atti di cessione dei beni, sulla base degli artt. 51 ss. d.P.R. n. 633/1972.
2.9. Con il nono motivo di ricorso, infine, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 16 e 17 del d.lgs. n. 472/1997, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Deduce, in particolare, che erroneamente la C.T.R. aveva ritenuto infondata, per genericità, l’eccezione di illegittimità delle sanzioni irrogate, dovendosi fare comunque riferimento alla carenza di motivazione nell’irrogazione delle sanzioni .
Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto non è riportato, nel ricorso, lo specifico motivo di appello incidentale il cui contenuto è stato ritenuto generico dalla Corte regionale.
In ogni caso, va rilevato che, in tema di sanzioni amministrative tributarie, l’obbligo di motivazione dell’atto di contestazione della sanzione collegata al tributo, imposto dall’art. 16, comma 2, d.lgs. n. 472 del 1997, opera soltanto quando essa sia irrogata con atto separato e non contestualmente e unitamente all’atto di accertamento o di rettifica, in quanto, in quest’ultimo caso, viene assolto per relationem se la pretesa fiscale è definita nei suoi elementi essenziali (Cass. 22 maggio 2024, n. 14259; Cass. 4 maggio 2021, n. 11610).
Consegue il rigetto integrale del ricorso principale proposto da COGNOME NOMECOGNOME
Venendo ora ad esaminare il ricorso incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate, esso è affidato a due motivi.
4.1. Con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate eccepisce violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 132, comma 1, num. 4), c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 36, comma 2, num. 4), d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), c.p.c.
Deduce, in particolare, che con riferimento alla parte della sentenza impugnata riguardante l’immobile sito in Povegliano (per il quale la C.T.R. ha confermato la riduzione del maggiore
ricavo accertato da € 66.005,00 ad € 11.600,00), la motivazione della sentenza appare contraddittoria (in quanto la C.T.R., da un lato, riconosce la piena legittimità dell’operato dell’Ufficio e, dall’altro, la esclude, riducendo l’entità dei maggiori ricavi non dichiarati) ed apodittica, avendo la Corte regionale omesso di esplicitare le ragioni della condivisione del dictum della C.T.P., alla luce dei motivi di appello formulati dall’Ufficio.
Il motivo è in parte inammissibile, ed in parte infondato.
Con riferimento al profilo della contraddittorietà della motivazione, e noto che il vizio in questione non è più denunciabile con ricorso per cassazione, e quindi in parte qua il motivo inammissibile.
Per il resto, la motivazione della sentenza impugnata non può certo ritenersi apodittica, avendo la C.T.R. esplicitato chiaramente i motivi per i quali ha ridotto la pretesa impositiva originariamente avanzata dall’Ufficio, avendo fatto riferimento, con riferimento alla determinazione del valore dell’immobile, da un lato a valori equitativi e, dall’altro, ai valori medi OMI.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso incidentale si eccepisce, invece, violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 23, 53, 97 e 111 Cost.; 113 e 114 c.p.c.; 1, comma 2, d.lgs. n. 546/1992; 2727 e 2729 c.c.; 39, comma 1, lett. d ) e 41bis d.P.R. n. 600/1973; 54, comma 5, d.P.R. n. 633/1972; 8 e 25 d.P.R. d.lgs. n. 446/1997 , in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Rileva, in particolare, che la c.d. equità sostitutiva, richiamata dalla C.T.R. nel determinare il valore commerciale dell’immobile sito in Povegliano, non era applicabile nel caso di specie, in quanto il d.lgs. n. 546/1992 non contiene alcuna disposizione che consenta al giudice tributario di risolvere le controversie sottopostegli mediante l’applicazione di tale criterio.
Il motivo in questione è fondato.
L’art. 113, comma 1, c.p.c., invero, prevede che il giudice, nel decidere la controversia, deve seguire le norme di diritto, «salvo che la legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità».
L’attribuzione di tale potere non è previsto in materia tributaria, e peraltro non appare sufficiente, a tal fine, neanche il mero richiamo ai valori OMI. Infatti, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora sia contestata una plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione a titolo oneroso di un’unità immobiliare, l’onere di fornire la prova che l’operazione è parzialmente (quanto al prezzo di vendita) simulata, spetta all’Amministrazione finanziaria, la quale adduca l’esistenza di maggiori ricavi, e può essere adempiuto, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d ), d.P.R. n. 600/1973, anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, rimanendo a carico del contribuente l’onere di superare la presunzione di corrispondenza tra il valore di mercato ed il prezzo incassato. Quindi nei trasferimenti immobiliari è legittima la rettifica dei corrispettivi dichiarati , pur tuttavia non sono all’uopo sufficienti i soli valori OMI, dovendosi essi necessariamente combinare con altri elementi (Cass. 25 gennaio 2019, n. 2155).
In conclusione, pertanto, il ricorso principale deve essere rigettato, mentre il ricorso incidentale deve essere accolto limitatamente al secondo motivo, rigettato il primo.
La sentenza impugnata deve quindi essere cassata, in relazione al motivo di ricorso incidentale accolto, con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Stante il rigetto del ricorso principale, ricorrono le condizioni per dichiarare il ricorrente COGNOME Stefano tenuto al pagamento di un importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso principale; accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, e rigetta il primo motivo dello stesso ricorso incidentale.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia per nuovo giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per dichiarare il ricorrente principale COGNOME Stefano tenuto al pagamento di un importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Così deciso in Roma, il 13 novembre 2024.