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Accertamento presuntivo: il brogliaccio non basta

La Corte di Cassazione analizza un caso di accertamento presuntivo basato su un “brogliaccio” contabile. A seguito di un rinvio, la corte di merito aveva riqualificato il reddito da impresa a lavoro dipendente, ma senza motivare adeguatamente l’ammontare (quantum) della pretesa. La Suprema Corte ha cassato la sentenza per carenza motivazionale sul quantum, sottolineando che non basta identificare la natura del reddito, ma è necessario determinare e giustificare in modo rigoroso anche il suo esatto importo.

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Pubblicato il 22 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento presuntivo: un brogliaccio è prova sufficiente?

L’accertamento presuntivo è uno degli strumenti più efficaci a disposizione dell’Agenzia delle Entrate per contrastare l’evasione fiscale. Ma quali sono i limiti del suo utilizzo? Un semplice “brogliaccio” contabile, rinvenuto presso terzi, può da solo giustificare una pretesa fiscale? La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, torna sul tema, chiarendo un aspetto fondamentale: la necessità di una motivazione non solo sulla natura del reddito, ma anche e soprattutto sul suo ammontare (il quantum).

I Fatti di Causa: la Contabilità in Nero

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento per Iva, Irpef e Irap notificato a un contribuente per l’anno di imposta 1997. L’Amministrazione Finanziaria contestava la percezione di un reddito d’impresa non dichiarato, desumendolo da una contabilità in nero (un “brogliaccio”) scoperta durante una verifica presso due società terze operanti nel settore edile. Secondo le annotazioni, il contribuente risultava essere il beneficiario di ingenti pagamenti tra il 1997 e il 1999.

L’Iter Giudiziario e i Limiti dell’Accertamento Presuntivo

Il percorso giudiziario è stato lungo e complesso. Dopo un primo annullamento dell’atto da parte della Commissione Tributaria Provinciale, la questione è giunta fino in Cassazione una prima volta. In quella sede, la Suprema Corte aveva stabilito un principio importante: il giudice tributario, anche se ritiene errata la qualificazione del reddito operata dall’Ufficio (in quel caso, reddito d’impresa), non può limitarsi ad annullare l’atto, ma deve procedere a una nuova qualificazione (ad esempio, reddito da lavoro dipendente) e a rideterminare la pretesa entro i limiti della domanda.

La causa veniva quindi rinviata alla Commissione Tributaria Regionale, che, in applicazione di tale principio, riqualificava il reddito come da lavoro dipendente. Tuttavia, secondo il contribuente, la nuova sentenza era viziata da una grave carenza: ometteva completamente di motivare in merito all’entità del reddito accertato, ignorando le prove fornite (come assegni non a lui intestati) che contestavano l’effettiva percezione delle somme indicate nel brogliaccio.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del contribuente proprio su questo punto cruciale. I giudici hanno chiarito che il compito del giudice del rinvio non si esaurisce nella corretta qualificazione giuridica del reddito. La precedente sentenza di Cassazione, infatti, imponeva di verificare non solo la natura del reddito, ma anche la sua entità.

La sentenza impugnata, pur avendo correttamente riqualificato il reddito come da lavoro dipendente, aveva completamente tralasciato di spiegare come fosse giunta a determinare l’importo dovuto. Si è verificata una palese carenza motivazionale, poiché, a fronte di una specifica contestazione del contribuente sull’effettiva percezione delle somme, il giudice avrebbe dovuto esaminare le prove e argomentare in modo esauriente sul quantum della pretesa. La Corte sottolinea che, sebbene le indagini bancarie non precludano l’accertamento basato su altre fonti, esse possono e devono essere considerate per la quantificazione del reddito. La sentenza è stata quindi cassata con rinvio a un’altra sezione della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado, che dovrà ora colmare questo vuoto motivazionale.

Conclusioni: L’Importanza della Motivazione sul Quantum

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale nel diritto tributario: l’accertamento presuntivo, per essere legittimo, deve essere supportato da un impianto motivazionale solido e completo. Non è sufficiente che l’Amministrazione Finanziaria, e di conseguenza il giudice, individuino una fonte di reddito non dichiarata. È indispensabile che venga dimostrato, con argomentazioni logiche e basate sulle prove disponibili, anche l’esatto ammontare di tale reddito. Una motivazione carente sul quantum rende la sentenza nulla, garantendo al contribuente il diritto a una decisione trasparente e pienamente giustificata in ogni suo aspetto.

Un “brogliaccio” può essere usato come base per un accertamento presuntivo?
Sì, secondo la Corte, elementi come un brogliaccio possono essere utilizzati per fondare la prova presuntiva di un reddito non dichiarato, ma devono essere valutati nel complesso degli elementi probatori disponibili.

Cosa deve fare il giudice tributario se ritiene errata la qualificazione del reddito data dall’Agenzia delle Entrate?
Il giudice non deve semplicemente annullare l’avviso di accertamento. Ha il dovere di esaminare nel merito la pretesa, riqualificare correttamente la natura del reddito (ad esempio, da impresa a lavoro dipendente) e rideterminarne l’importo, sulla base delle prove e delle domande delle parti.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza pur ritenendo corretta la riqualificazione del reddito?
La sentenza è stata annullata per una grave carenza motivazionale. Il giudice del rinvio, pur avendo correttamente riqualificato la natura del reddito, ha omesso di spiegare come ha determinato l’ammontare (il quantum) del reddito stesso, nonostante le specifiche contestazioni e le prove prodotte dal contribuente su questo punto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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