Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14997 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14997 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/06/2025
Oggetto: accertamento in loco presso terzi
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22185/2018 R.G. proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso in forza di procura speciale in atti dall’avv. prof. NOME COGNOME (con indirizzo PEC: studio@pec.basilavecchia.it ) con domicilio eletto presso l’avv. NOME COGNOME (con indirizzo PEC: EMAIL)
-ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (con indirizzo PEC: EMAILavvocaturastatoEMAIL)
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo n. 49/03/2018 depositata in data 23/01/2018, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 16/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
–COGNOME NOME impugnava l’avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2009 notificatogli a seguito di PVC della GdF con il quale, a seguito di verifica su conti correnti bancari, era contestata la percezione di maggior reddito e conseguente iva da lavoro autonomo;
-la CTP adita accoglieva il ricorso facendo leva sulla violazione del termine di sessanta giorni previsto dall’art. 12, c. 7, l. n. 212 del 2000;
-l’Agenzia delle Entrate appellava la sentenza di primo grado; proponeva appello incidentale il contribuente;
-con la pronuncia ora gravata la CTR accoglieva l’appello dell’Ufficio e rigettava l’appello incidentale d i COGNOME;
-ricorre a questa Corte il contribuente con atto affidato a sei motivi di gravame e illustrato da memoria;
-l’Amministrazione Finanziaria resiste con controricorso;
Considerato che:
-va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità proposta da parte controricorrente; il ricorso per cassazione pone infatti al fondo questioni di diritto;
venendo ora al contenuto delle doglianze, il primo motivo censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. per essere la sentenza difforme dal giudicato formatosi tra le stessi parti sulla stessa questione a situazione di fatto invariata, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., per non avere la CTR tenuto in considerazione l’eccezione di giudicato con riguardo alla sentenza resa dalla CTP di Pescara n. 252/2/16 relativa all’avviso di accertamento notificato al contribuente con riguardo al periodo d’imposta 2011, prodotta in atti e divenuta cosa giudicata;
il secondo motivo si incentra sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 12 c. 7 della L. n. 212 del 2000 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la pronuncia impugnata ritenuto applicabile tale previsione -in ordine alla illegittimità dell’avviso di accertamento notificato ante tempus -unicamente nel caso di ‘verifiche in loco ‘;
i motivi possono esaminarsi congiuntamente, stante la stretta loro correlazione logico-giuridica e risultano privi di fondamento;
– questa Corte ha affermato che se è ben vero che quando «l’atto presupposto è unico, venuto meno lo stesso, l’effetto del giudicato formatosi sulla sentenza che ha determinato tale caducazione si estende a tutti gli anni coinvolti dalla stessa verifica in cui è avvenuto l’accesso» (cfr. Cass., V, n. 10456/2021, resa, tuttavia, in relazione al vizio dell’autorizzazione all’accesso domiciliare, presupposto per la verifica e l’accertamento relativo a più annualità, e coerentemente ritenuto il tipico caso di elemento che ha un’efficacia che va oltre il singolo periodo di imposta), non è men vero che «la preclusione del giudicato opera nel caso di giudizi identici -per soggetti, causa petendi e petitum – ma nei soli limiti dell’accertamento delle questioni di fatto e non anche in relazione alle conseguenze giuridiche (v. Cass. n. 20029/11; n. 5727/18; n. 26457/17, n. 14303/17; n. 20257/15; n. 21395/17)»; tale conclusione è stata anche di recente ribadita nei medesimi termini (da parte di Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 6405 del 11/03/2025, laddove è ininfluente Cass. n. 9996/25, citata in memoria, concernente ripresa a tassazione scaturente dal medesimo atto di compravendita di terreno, ma relativa ad anno successivo solo perché era stata pattuita dilazione nel pagamento del prezzo);
orbene, la questione su cui si era pronunciata la CTP, della sentenza resa dalla quale parte ricorrente invoca l’applicazione e l’efficacia estensiva del giudicato, non era una questione di fatto, ma la conseguenza giuridica di un fatto , concernente l’applicabilità del termine di cui all’art. 12 c. 7 della L. n. 212 del 2000 nel caso di
accesso nei locali della società presso i quali il contribuente presta la propria attività lavorativa;
il profilo di esame non può quindi ritenersi coperto da giudicato, tanto meno con effetto estensivo a periodi d’imposta diversi da quello oggetto di quello in scrutinio;
comunque, la questione di diritto concretamente posta, relativa alla applicabilità della tutela di cui all’art. 12 c. 7 della L. n. 212 del 2000 a favore del contribuente, che sanziona con la illegittimità gli avvisi di accertamento emessi in violazione del termine di sessanta giorni ivi indicato -articolata autonomamente in modo analitico nel secondo motivo di ricorso- è in ogni caso infondata;
le garanzie di cui all’art. 12 legge n. 212/2000 si riferiscono espressamente agli accessi, ispezioni e verifiche fiscali eseguiti “nei locali destinati all’esercizio di attività, industriali, agricole, artistiche o professionali, che debbono appunto essere giustificati da “esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo” (art. 12 c.1 L. n. 212 del 2000), con la conseguenza che tali garanzie operano esclusivamente nella predetta ipotesi; il tenore letterale della norma e la considerazione della sua ratio consentono di riconoscere che il diritto al contraddittorio preventivo ex art. 12, commi 1 e 7 cit., non spetta indistintamente ed in via generale a tutti i contribuenti coinvolti nell’accertamento, ma soltanto allo specifico contribuente che sia stato raggiunto da accessi, ispezioni e verifiche presso i locali aziendali (Cass. n. 18854/20, secondo cui stante l’autonomia della posizione del socio rispetto a quella della società, in caso di accertamento eseguito nei confronti dell’ente è irrilevante, ai fini della legittimità dell’accertamento, la mera priorità temporale della notifica del relativo avviso al socio, rispetto a quella relativa alla società sottoposta a verifica, dovendo per questa essere rispettato il suddetto termine di 60 giorni; principio, questo, a maggior ragione applicabile nel caso in esame, in cui , a fronte dell’accesso presso la sede della
società, l’Agenzia ha considerato le entrate di COGNOME come incassi al nero per lo svolgimento di attività di lavoro autonomo);
-non solo: l’accesso, ispezione e verifica dei locali destinati all’esercizio di una attività e la successiva autorizzazione all’espletamento delle indagini bancarie ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 costituiscono procedimenti distinti, sicché la questione del se l’accertamento sia fondato sulle sole risultanze bancarie o sia misto, ossia fondato anche sulla documentazione acquisita in sede di accesso, ispezione o verifica, deve essere prioritariamente accertata dal giudice di merito, dal momento che il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente trova applicazione solo nel secondo caso, ferma restando, per il tributo armonizzato, la valutazione del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, alla luce della cd. prova di resistenza (Cass. n. 18413/21);
-nel caso in esame, il giudice d’appello ha svolto entrambi gli accertamenti: per un verso, ha affermato che ‘Dalla documentazione in atti emerge che l’avviso di accertamento emesso a carico del sig. COGNOME si basa sulle sole risultanze delle indagini finanziarie che non vengono eseguite in locali adibiti ad abitazione per i quali è prevista l’autorizzazione da parte del PM…’; per altro verso, ha reiteratamente sottolineato che ‘l’accertamento è frutto di indagini bancarie a carico di un contribuente, il COGNOME che non è il soggetto presso la cui azienda o attività, si sono svolte le indagini di verifica della G. di F., ma è soggetto ‘terzo’ rispetto a quello che, come emerge chiaramente dall’intero compendio documentale, era stato verificato, ovvero il sig. COGNOME NOME -recte COGNOME NOME, e dalle cui indagini era emersa la posizione del sig. COGNOME;
-le suddette garanzie andavano per conseguenza apprestate esclusivamente a favore del contribuente verificato ( in loco ) e non anche del terzo (quale è il COGNOME, rispetto ai soggetti RAGIONE_SOCIALE e COGNOME COGNOME, legale rappresentante della
società oltre che i famigliari di questi, sottoposti all’attività di accesso, ispezione e verifica) a carico del quale possano emergere dalla detta verifica dati, informazioni od elementi utili per la emissione di un avviso di accertamento nei suoi confronti. Ed infatti l’art. 54, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 espressamente prevede che l’Ufficio possa procedere a rettifica, indipendentemente dalla previa ispezione del contribuente, qualora l’esistenza di operazioni imponibili risulti da verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti, nonché da altri atti e documenti in suo possesso, mentre non rilevano eventuali violazioni delle regole relative alla fase di accertamento perché eventuali irregolarità possono essere fatte valere solo da chi ha subito l’accesso; dall’altro, l’avviso di accertamento non richiede un’autonoma attività istruttoria, il cui svolgimento contrasterebbe con i principi di economicità ed efficienza dell’attività amministrativa, nonché con le norme specifiche che, in materia tributaria, disciplinano l’istruttoria e la motivazione degli atti impositivi – art. 12 della legge n. 212 del 2000 – e consentono all’Amministrazione di avvalersi dell’attività di altri organi – artt. 51 e 52 del d.P.R. n. 633 del 1972 (Cass. V sez. 11 giugno 2009 n. 13486), con la conseguenza che le dichiarazioni rilasciate da terzi, le risultanze delle indagini condotte nei confronti di altre società, gli atti trasmessi dalla guardia di finanza, risultanti dall’attività di polizia giudiziaria se contenuti negli atti (come il processo verbale di constatazione) allegati all’avviso di rettifica notificato o trascritti essenzialmente nella motivazione dello stesso, costituiscono parte integrante del materiale indiziario e probatorio, che il giudice tributario di merito è tenuto a valutare dandone adeguato conto nella motivazione della sentenza (Cass. V sez. 23 febbraio 2010 n. 4306);
– né con riguardo alla ripresa per iva la censura di difetto di contraddittorio assume comunque consistenza, posto che, da un lato, il ricorrente dà conto nella narrativa del ricorso di interlocuzioni con l’Agenzia, alla quale ha fornito ‘dati e notizie relativamente alle
operazioni in entrata sui propri conti, anche in relazione all’anno 2009′ e, dall’altro, non ha indicato circostanze utili ai fini della prova di resistenza; il contribuente deve difatti assolvere l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere;
e la stessa Corte costituzionale, con la pronuncia citata in memoria, ha evidenziato che, di fronte alla molteplicità di strutture e di forme che il contraddittorio endoprocedimentale ha assunto e può assumere in ambito tributario, spetta al legislatore, nel rispetto dei principi costituzionali, il compito di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco, in particolare assegnando adeguato rilievo al contraddittorio con i contribuenti (Corte Cost. n. 47 del 2023); laddove la norma sopravvenuta, pure citata in memoria, non è applicabile, come lo stesso contribuente riconosce;
il terzo motivo, proposto in via subordinata, denuncia la nullità della sentenza per motivazione inesistente e meramente apparente, in quanto contraddittoria ed illogica in relazione all’art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c. per a vere il giudice d’appello dapprima riconosciuto la diretta derivazione dell’atto di accertamento dall’attività di verifica in loco, e poi affermato l’esatto contrario, ossia che l’accertamento sarebbe del tutto autonomo;
il motivo è infondato;
invero, la CTR si è limitata ad affermare che dalla verifica compiuta nei confronti di un soggetto terzo, ossia NOME COGNOME ‘era emersa la posizione del sig. COGNOME nei confronti del quale sono state poi svolte le indagini finanziarie;
-nel compiere tale operazione di valutazione del fatto e interpretazione del diritto, la sentenza impugnata ha nel concreto reso manifeste le ragioni della sua decisione, che così come espresse si collocano al di sopra del c.d. ‘minimo costituzionale’;
come chiarito dalla menzionata pronuncia dalle Sezioni Unite (con sentenza n. 8053/14), la riformulazione dell’art. 360, primo comma,
Cons. Est. NOME COGNOME
n. 5, c.p.c. (disposta dall’art. 54, d.L. 22 giugno 2012 n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012 n. 134), deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Rilevano in tal senso, oltre alla suindicata motivazione apparente nel senso sopra indicato, anche quella caratterizza da contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili o la motivazione viziata da un’insanabile incoerenza tra premesse e conclusioni, come tale integrante una motivazione illogica. Resta, invece, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (v., su tali principi, tra le tante, Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881; Cass., Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16599; Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. Sez. U., 24 marzo 2017, n. 7667; Cass., Sez. U., 9 giugno 2017, n. 14430; Cass., Sez. U., 19 giugno 2018, n. 16159; Cass., Sez. U., 18 aprile 2018, n. 9558 e Cass., Sez. U., 31 dicembre 2018, n. 33679; Cass., Sez. T., 29 luglio 2024, n. 21174). Il giudice del merito non deve d’altronde dar conto di ogni argomento difensivo sviluppato dalla parte, non è tenuto cioè a discutere ogni singolo elemento o a argomentare sulla condivisibilità o confutazione di tutte le deduzioni difensive, essendo, invece, necessario e sufficiente, in base all’art. 132, secondo comma, num. 4, c.p.c., che questi esponga gli elementi in fatto e di diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo in tal modo ritenersi disattesi, per implicito, tutti gli argomenti non espressamente esaminati, ma considerati subvalenti rispetto alle ragioni della decisione (cfr. Cass., Sez. T, 19 maggio 2024, n. 12732; Cass., Sez.
VI/T, 2 febbraio 2022, n. 3108, che richiama Cass., Sez. II, 25 giugno 2020, n. 12652; Cass., Sez. T., 24 giugno 2021, n. 18103);
il quarto motivo, proposto in via di subordine rispetto al terzo motivo che lo precede, si incentra sull’omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. per avere la CTR omesso di esaminare una circostanza decisiva, vale a dire che l’accertamento in questione risulta emesso all’esito delle operazioni di verifica svolte dalla GdF presso i locali ove COGNOME presta la propria attività lavorativa alle dipendenze della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e che quindi l’avviso di accertamento in questione risulta emesso a seguito di verifiche in loco e non ‘a tavolino’;
alla luce della decisione in ordine al primo e al secondo motivo di ricorso, la censura qui proposta risulta infondata;
-invero, nessun elemento di fatto è stato trascurato dal giudice del merito, poiché il profilo relativo alla qualificazione dei locali della società RAGIONE_SOCIALE e di Zampacorta Dino come luogo ove era -anche svolta l’attività di COGNOME ritenuto lavoratore autonomo -è profilo di diritto, non mero fatto storico;
detta qualificazione, proposta quale difesa del contribuente, deriva invero dall’interpretazione (non condivisa da questo Collegio nei termini in cui viene posta a base delle censure) dell’art. 12 della L. 212 del 2000, non costituendo quindi la sua asserita pretermissione, alcun omesso esame;
comunque, anche a voler ritenere che tale aspetto costituisca fatto storico, lo stesso risulta esser stato preso in esame dalla CTR, che ne riferisce a pag. 2 a partire dalla penultima riga;
il quinto motivo di impugnazione lamenta la nullità della sentenza per omessa pronuncia sui motivi di ricorso diversi dalla violazione del termine dilatorio di sessanta giorni di cui all’art. 12 c. 7 della L. n. 212 del 2000, la violazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 56 del d. Lgs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c. per avere la
CTR omesso l’esame dei motivi di ricorso proposti già in primo grado e riproposti in appello, diversi dall’eccepita violazione dell’art. 12 c. 7 della L. n. 212 del 2000;
il motivo è fondato;
va rammentato che la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi (Cass. n. 28072 del 2021);
nel presente caso, parte ricorrente trascrive nel proprio atto da pag. 23 in poi le doglianze in ordine alle quali lamenta l’omessa pronuncia, con ciò adempiendo a quanto sopra illustrato;
va poi ricordato che il vizio di omessa pronunzia è configurabile solo nel caso di mancato esame di questioni di merito, e non anche di eccezioni pregiudiziali di rito (tra le tante: Cass., Sez. 3^, 11 ottobre 2018, n. 25154; Cass., Sez. 5^, 8 marzo 2019, n. 6811; Cass., Sez. 6^-5, 15 ottobre 2019, n. 25958; Cass., Sez. 5^, 23 ottobre 2019, n. 27096; Cass., Sez. 5^, 13 ottobre 2020, n. 22007; Cass., Sez. 5^, 4 dicembre 2020, n. 27804; Cass., Sez. 5^, 5 novembre 2021, n. 31855; Cass., Sez. 6^-5, 23 dicembre 2021, n. 41362; Cass., Sez. 3^, 16 ottobre 2024, n. 26913): e nel presente caso i motivi che si indicano in ricorso per cassazione, trascrivendolo, costituiscono censure non solo in diritto ma anche in fatto (come quella relativa all’errata ricostruzione della base imponibile riportata a pag. 26 del ricorso per cassazione o quella relativa alla insussistenza dell’attività
professionale di lavoro autonomo per mancanza del requisito dell’abitualità riportata a pag. 29 dell’atto);
con riguardo a tali profili, è evidente quindi nella fattispecie la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, non potendo ritenersi che la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti in questo caso il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (Cass., Sez. Trib., 3 agosto 2023, n. 23672; Cass., Sez. Trib., 13 agosto 2024, n. 22775). Neppure può quindi ritenersi che la decisione adottata -che non fa alcun riferimento neppure implicito alle questioni di cui il contribuente lamenta l’omessa risoluzione – comporti necessariamente la reiezione di tali doglianze, poiché risulta qui esser stata completamente omessa la decisione su punti che si palesano essere indispensabile per la soluzione del caso concreto (Cass., Sez. 6^ -1, 4 giugno 2019, n. 15255);
conseguentemente, in accoglimento del motivo in trattazione, la sentenza va cassata con rinvio al giudice del merito;
il sesto motivo, incentrato sulla erroneità della sentenza di appello che ha gravato il contribuente del c.d. ‘raddoppio’ del contributo unificato, è fondato ma può essere oggetto di ‘correzione’ (vedi, da ultimo, Cass. n. 18473/25);
questa Corte, attesa la natura di carattere amministrativo della relativa statuizione (cfr. Cass. n. 2017 del 2017), che non attiene alla sfera della decisione sullo ius litigatoris , riguardando il rapporto del contribuente con l’Erario relativamente alle condizioni per l’accesso alla giustizia, sarebbe tenuta comunque a rilevare anche d’ufficio l’erroneità della suddetta statuizione. Di ciò va dato atto, dunque, in questa sede come da dispositivo, avendo il giudice tributario erroneamente ritenuto applicabile al processo tributario d’appello l’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, il quale prevede che «Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta
Cons. Est. NOME COGNOME
integralmente o è dichiarata inammissibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma della comma 1-bis»;
si tratta di una norma avente carattere di misura eccezionale e lato sensu sanzionatoria, la cui operatività deve intendersi circoscritta al processo civile, secondo l’esegesi della norma indirettamente avallata dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 18 depositata il 2 febbraio 2018, e condivisa da questa Corte; ciò diversamente da quanto dovuto per la soccombenza nel presente giudizio di legittimità, stante la natura di ordinario processo civile, disciplinato dalle norme del codice di rito, del giudizio di cassazione avente ad oggetto l’impugnazione di pronuncia resa da Commissione tributaria regionale, come ribadito da Cass., sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053 (cfr. Cass., n. 25612/23; Cass., n. 15111/18 e Cass., n. 20018/18, entrambe in motivazione);
in conclusione, va accolto il solo quinto motivo di ricorso; il sesto motivo comporta la correzione che segue in dispositivo; i restanti motivi vanno rigettati in quanto infondati;
p.q.m.
accoglie il quinto motivo di ricorso; rigetta i restanti motivi di impugnazione, dando atto che, con riguardo al giudizio di secondo grado, non ricorrono le condizioni di cui all’art. 13 comma 1 quater d.lgs. n. 115 del 2002; cassa la sentenza impugnata limitatamente al motivo oggetto di accoglimento e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, in diversa composizione, alla quale demanda provvedere anche in ordine alle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 16 maggio 2025.