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Accertamento plusvalenza: no a presunzioni fiscali

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3725/2024, ha annullato un accertamento plusvalenza che si basava esclusivamente sul valore definito ai fini dell’imposta di registro. In applicazione di una legge interpretativa con efficacia retroattiva, è stato stabilito che l’Agenzia delle Entrate deve fornire prove ulteriori e concrete per poter contestare il prezzo di vendita di un immobile, non potendo fare affidamento su una mera presunzione.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento plusvalenza: il valore per l’imposta di registro non è una prova sufficiente

L’accertamento plusvalenza derivante dalla vendita di un immobile non può basarsi sulla semplice presunzione che il prezzo di vendita sia uguale al valore definito ai fini dell’imposta di registro. Con la recente ordinanza n. 3725/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale a tutela del contribuente, annullando una pretesa fiscale fondata su un automatismo privo di ulteriori prove. Questa decisione, basata su una norma interpretativa con efficacia retroattiva, impone all’Amministrazione finanziaria un onere probatorio più rigoroso.

I Fatti del Caso: La Controversia sulla Vendita del Terreno

Il caso nasce dalla vendita di un suolo edificabile. I venditori, eredi del proprietario originario, dichiaravano un corrispettivo di 400.000 euro. Successivamente, in sede di accertamento con adesione per l’imposta di registro, il valore del bene veniva rideterminato in oltre 1.065.000 euro. Forte di questo valore più alto, l’Agenzia delle Entrate emetteva un avviso di accertamento ai fini IRPEF, contestando una maggiore plusvalenza non dichiarata e recuperando a tassazione la differenza.

La Decisione dei Giudici di Merito

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale davano ragione all’Agenzia delle Entrate. Secondo i giudici di merito, il valore rettificato ai fini dell’imposta di registro costituiva un valido elemento presuntivo. Di conseguenza, spettava ai contribuenti fornire la prova contraria, dimostrando che il prezzo effettivamente incassato era inferiore. Non avendo fornito tale prova, i ricorsi dei contribuenti venivano respinti.

L’Accertamento Plusvalenza e l’Intervento della Cassazione

I contribuenti hanno impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, lamentando la violazione di legge. Il loro motivo di ricorso principale si fondava su una norma fondamentale introdotta con il D.Lgs. 147/2015, che ha fornito un’interpretazione autentica e retroattiva della disciplina.

Il Principio di Diritto: Il D.Lgs. 147/2015

L’articolo 5, comma 3, del D.Lgs. 147/2015 ha stabilito in modo inequivocabile che, per le cessioni di immobili, l’esistenza di un maggior corrispettivo non può essere presunta soltanto sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro. Questa norma ha cambiato radicalmente l’approccio giurisprudenziale precedente, che ammetteva tale presunzione.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dei contribuenti, affermando che la sentenza impugnata non si era attenuta a questo principio. I giudici di legittimità hanno chiarito che, a seguito dell’intervento legislativo, l’Amministrazione finanziaria non può più procedere a un accertamento induttivo della plusvalenza basandosi unicamente sul valore definito per l’imposta di registro. Per poter rettificare il reddito del contribuente, l’Ufficio deve individuare e fornire ulteriori indizi gravi, precisi e concordanti che supportino l’esistenza di un maggior corrispettivo. Il valore definito in altra sede fiscale non è, da solo, sufficiente a superare quanto dichiarato dalle parti nell’atto di compravendita.

Le Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha cassato la sentenza e ha rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per un nuovo esame. Questa dovrà attenersi al principio secondo cui la pretesa fiscale deve essere sostenuta da prove concrete, non da mere presunzioni basate su valori determinati per altre imposte. La decisione rappresenta un’importante affermazione dei diritti del contribuente, limitando il potere presuntivo dell’Amministrazione finanziaria e richiedendo un approccio all’accertamento più fondato e rigoroso.

L’Agenzia delle Entrate può presumere un maggior prezzo di vendita di un immobile basandosi solo sul valore definito per l’imposta di registro?
No. La Corte di Cassazione, applicando una norma di interpretazione autentica (art. 5, c. 3, d.lgs. 147/2015), ha stabilito che il valore definito ai fini dell’imposta di registro non è sufficiente, da solo, a presumere un maggior corrispettivo ai fini delle imposte sui redditi.

Cosa deve fare l’Agenzia delle Entrate per contestare il prezzo dichiarato in un atto di vendita?
L’Agenzia deve individuare e provare l’esistenza di ulteriori indizi gravi, precisi e concordanti che supportino la tesi di un maggior corrispettivo incassato dal venditore rispetto a quello dichiarato.

La legge che vieta questa presunzione si applica anche a casi sorti prima della sua entrata in vigore?
Sì. La norma contenuta nel d.lgs. 147/2015 è una “norma di interpretazione autentica”, il che significa che ha efficacia retroattiva e si applica a tutti i rapporti non ancora definiti, anche se sorti prima della sua emanazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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