Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21531 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21531 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/07/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 146/2022 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione , rappresentata e difesa dall’ avvocato NOME COGNOME in forza di procura speciale a margine del ricorso per cassazione;
(PEC: EMAIL
-ricorrente –
Contro
Agenzia delle Entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 4472/02/2021, depositata il 12.05.2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Oggetto:
Tributi
La CTP di Messina accoglieva il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso un avviso di accertamento , per imposte dirette ed IVA, in relazione all’anno d’imposta 2006, con il quale era stata contestata la mancata fatturazione e registrazione di operazioni imponibili e l’indeducibilità di alcuni costi;
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Sicilia accoglieva l’appello proposto dall ‘Agenzia delle Entrate, osservando, per quanto qui rileva, che:
-l’atto impositivo motivato per relationem era legittimo e non violava il diritto di difesa della contribuente; era irrilevante, pertanto, la mancata allegazione all’atto impositivo del richiamato PVC di cui la società aveva avuto piena conoscenza per averlo firmato e per esserne venuta in possesso, come risultava dal medesimo;
la complessiva rettifica in esame era basata su fatti oggettivi e convergenti rispetto all’omessa fatturazione di operazioni imponibili , risultando ulteriormente confermata dai valori OMI degli immobili;
la pretesa impositiva relativa al recupero dei costi e della relativa IVA era legittima, in quanto alcuni riguardavano lavori eseguiti nel novembre dell’anno 2005 e, quindi, non di competenza dell’esercizio oggetto di accertamento e altri erano indeducibili perché riguardavano fatture emesse nei confronti di soggetto passivo diverso dalla società accertata;
-la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a nove motivi;
l ‘Agenzia delle Entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42 d.P.R. 600/1973, in relazione dell’art. 360,
comma 1, n. 3 cod. proc. civ. per avere la CTR ritenuto validamente motivato l’avviso di accertamento , sebbene non vi fosse stato allegato il PVC, depositato nel giudizio solo in appello e incompleto, in quanto privo degli allegati e, in particolare, dei questionari inviati ai cessionari con le relative risposte e degli atti di mutuo; aggiunge che l’Ufficio non aveva motivato sulle differenze delle somme imputate a ricavi non dichiarati, accertate sulla base del raffronto tra i ricavi registrati e dichiarati e le differenze ritraibili dai contratti di mutuo, non motivando neppure in ordine alle dichiarazioni rilasciate dagli acquirenti che confermavano, quale prezzo pagato per la compravendita, quello dichiarato nel rogito;
– il motivo è infondato;
con riferimento alla disciplina introdotta dal c.d. Statuto dei diritti del contribuente, ratione temporis applicabile, si è statuito che, in tema di motivazione degli avvisi di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (art. 7, l. n. 212 del 2000) va inteso in necessaria correlazione con la finalità “integrativa” delle ragioni che, per l’Amministrazione finanziaria, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone l’art. 3, terzo comma, legge 7 agosto 1990, n. 241, nel senso che il contribuente ha diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e sol perché ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore “narrativo”), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto;
pertanto, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti
cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione (Cass. 16.12.2020, n. 28756; Cass. 15.05.2018, n. 11866);
-dalla sentenza impugnata si evince che l’avviso di accertamento ‘ motivato per relationem era pienamente legittimo. Inoltre è esente da vizi la mancata allegazione all’atto impositivo del PVC di cui la società ha avuto piena conoscenza per averlo firmato e per esserne venuta in possesso secondo le risultanze del PVC medesimo ‘;
-la ricorrente, invece, pur riferendo che le dichiarazioni degli acquirenti ‘sono riportate nel P.V.C.’, non ha spiegato, in concreto, le ragioni specifiche per le quali avrebbero dovuto essere allegati ulteriori atti o documenti (ossia, in particolare, gli ‘allegati costituiti dai questionari inviati ai cessionari, con le relative risposte’ e i contratti di mutuo), indicando in quale modo tale eventuale omissione avrebbe leso il suo diritto di difesa, limitandosi ad esporre generiche doglianze in relazione ad atti non conosciuti;
con il secondo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 39 d.P.R. n. 600/1973, 54 e 55 d.P.R. n. 633/1972, 35, comma 23bis d.l. n. 223/2006, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto legittimo il metodo di accertamento adottato dall’Ufficio per la rettifica, sebbene la ricostruzione dei maggiori ricavi si fondi su elementi illegittimi e contrastati dai fatti; precisa che l’accertamento non poteva fondarsi sulle valutazioni dell’OMI, se non integrato da altri elementi validamente accertabili; aggiunge che le dichiarazioni rese dagli acquirenti, che peraltro confermavano il prezzo indicato negli atti di acquisto, non erano allegate all’avviso di accertamento e al PVC depositato in atti e che le differenze non potevano essere rilevate dai
documenti relativi ai mutui, in quanto l’art. 35, comma 23 -bis del d.l. n. 223 del 2006 era entrato in vigore in data 4.07.2006;
il motivo è infondato;
-occorre rammentare, in proposito, che l’art. 24, comma 5, della l. n. 88 del 2009 (legge comunitaria 2008) ha modificato l’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973 (così come l’art. 54 d.P.R. n. 633 del 1972, in materia di IVA), eliminando le disposizioni introdotte dall’art. 35 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, a seguito di un parere motivato del 19 marzo 2009 della Commissione europea, la quale, nell’ambito del procedimento di infrazione n. 2007/4575, aveva rilevato l’incompatibilità -in relazione, specificamente, all’IVA, ma con valutazione ritenuta estensibile dal legislatore nazionale anche alle imposte dirette -di tali disposizioni con il diritto comunitario;
a seguito di tale modifica è stata ripristinata la disciplina normativa anteriore al luglio 2006, con la soppressione della presunzione legale iuris tantum di corrispondenza del corrispettivo effettivo al valore normale del bene, con la conseguenza che il giudice può, in generale, desumere l’esistenza di attività non dichiarate anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti, e ciò con effetto retroattivo, stante la finalità di adeguamento al diritto unionale, che ha spinto il legislatore nazionale del 2009 ad intervenire (Cass. 12.04.2017, n. 9474, Cass. 21.12.2016, n. 26487 e Cass. 26.09.2014, n. 20419);
la decisione impugnata ha correttamente applicato il mutato assetto normativo ai principi sopra richiamati, avendo considerato anche gli altri elementi probatori sui quali si fondava l’accertamento, fra cui l’importo de i mutui ipotecari richiesti dagli acquirenti, e avendo verificato che questi, unitamente ai dati desumibili dall’O.M.I., integravano un quadro presuntivo grave, preciso e concordante,
posto che la contestazione relativa alla omessa fatturazione e registrazione di operazioni imponibili, pari ad euro 1.023.545,00, ‘ trae origine dalle indagini espletate dai verificatori; riepilogate nel processo verbale di costatazione richiamato nell’atto impositivo, basate su: i) risposte fornite dalla maggior parte degli acquirenti di immobili venduti dalla società; ii) risposte fomite dagli istituti di credito che hanno erogato nei confronti dei medesimi acquirenti mutui fondiari per l’acquisto degli immobili, dalle quali è stato possibile evincere che l’importo del mutuo erogato è risultato superiore al prezzo di vendita dichiarato dalle parti; iii) valori OMI (Osservatorio Mercato immobiliare) degli immobili compravenduti forniti dalla Agenzia del Territorio di Messina al fine di determinare il valore normale degli stessi ai sensi dell’art. 307 della legge 296/2006 ;’ gli elementi positivi di reddito non dichiarato derivavano, quindi, da: ‘ i) differenze tra quanto effettivamente pagato dagli acquirenti degli immobili e quanto contabilizzato e dichiarato dalla società, negli anni 2004, 2005 e 2006, per complessivi Euro 351.889,00 (di cui: Euro 56.880,00 anno 2004, Euro 106.720,00 anno 2005, Euro 188.289,00 anno 2006); ii) versamenti effettuati dai soci (a titolo di finanziamento alla società), nell’anno 2005, della complessiva somma di Euro 678.380,00 nei conti correnti della società per mezzo di assegni di cui la società verificata non è stata in grado di dimostrare la provenienza (l’importo di Euro 678.380,00 è comprensivo di Euro 106.720,00 di cui alla voce precedente); iii) differenza di complessivi Euro 47.000,00 nell’anno 2006 tra mutui fondiari (erogati nei confronti dei clienti dopo il 4.7.2006) e prezzi dichiarati negli atti di compravendita; iv) differenza di complessivi Euro 52.996,00 nell’anno 2006 tra mutui fondiari (contratti stipulati prima del 4.7.2006) e prezzi dichiarati negli atti di compravendita. Avuto riguardo alla ripresa dell’Ufficio relativa ai versamenti, nell’anno
2005, della somma di Euro 678.380,00 nei conti correnti della società, effettuati dai soci per mezzo di assegni (di cui la società verificata non è stata in grado di dimostrare la provenienza), si osserva che tale ripresa è altresì, ulteriormente, sorretta dalla circostanza che nei compromessi degli atti di vendita degli immobili era convenuto il pagamento di acconti, a cura degli acquirenti, in ragione dell’avanzamento dei lavori che è risultato essere stato documentato dall’incremento delle rimanenze finali in ragione dei costi sostenuti nell’anno 2005, pari ad Euro 920.000,00, per la realizzazione di immobili destinati alla vendita e, pertanto, capitalizzati’;
con riferimento specifico alla differenza tra gli importi dei mutui erogati agli acquirenti e i prezzi dichiarati negli atti di compravendita, poi, la CTR ha ritenuto legittima la ripresa anche con riferimento agli atti stipulati dopo il 4.07.2006, in mancanza di prova contraria circa
la diversa destinazione di tali somme, trattandosi di mutui fondiari;
risulta evidente, quindi, che la ricorrente, nel contestare gli elementi posti alla base della ripresa, mira, in realtà, ad ottenere una rivalutazione dei fatti, operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 8758 del 4/07/2017), prospettando nel ricorso non una violazione nell’analisi e nell’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla esclusiva valutazione del giudice di merito ( ex multis , Cass. n. 3340 del 5/02/2019; Cass. n. 640 del 14/01/2019; Cass. n. 24155 del 13/10/2017);
con il terzo motivo deduce la violazione e/o falsa interpretazione delle norme di cui agli artt. 39 d.P.R. n. 600/1973, 54 e 55 d.P.R. n. 633/1972, 109, comma 2, d.P.R. n. 917/1986, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., perché la CTR, ai fini della
imputazione dei maggiori ricavi al periodo d’imposta 2006, non ha considerato tutti i ricavi dichiarati, riconducibili all’unico fabbricato in relazione al quale si è concentrata tutta l’attività di costruzione e vendita, esercitata dalla contribuente nel periodo dal 2003 al 2007, ma solo quanto riportato negli atti di vendita, stipulati in ciascun anno d’imposta, senza tenere conto anche delle caparre confirmatorie che, pur non costituendo ricavi nel periodo di riscossione, influenzano il bilancio nel periodo d’imposta (ai fini IVA e delle imposte dirette) in cui viene stipulato l’atto di trasferimento, provocando un possibile effetto di duplicazione; aggiunge che se fosse valida la tesi sostenuta dall’Ufficio e dalla CTR, secondo la quale la ripresa relativa ai versamenti dei soci trovava riscontro nell ‘accordo sul pagamento di acconti da parte degli acquirenti, in ragione dell’avanzamento dei lavori, l’ammontare di tali somme avrebbe dovuto influenzare il conto economico dell’anno 2005 e non quello dell’anno 2006, perché si trattava di componenti positivi derivanti da prestazione di servizi;
il motivo è inammissibile sia per difetto di specificità, non avendo la ricorrente riportato, nel testo del ricorso per cassazione, il contenuto dei documenti a cui ha fatto riferimento nel formulare detta censura, sia perché non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata;
i giudici di appello hanno rilevato, come si è già esposto, che ‘ l’atto impugnato reca puntuale indicazione degli elementi positivi di reddito non dichiarato, complessivamente pari ad Euro 1.023.545,00, derivanti da: i) differenze tra quanto effettivamente pagato dagli acquirenti degli immobili e quanto contabilizzato e dichiarato dalla società, negli anni 2004, 2005 e 2006, per complessivi Euro 351.889,00 (di cui: Euro 56.880,00 anno 2004, Euro 106.720,00 anno 2005, Euro 188.289,00 anno 2006); ii) versamenti effettuati dai soci (a titolo di finanziamento alla società), nell’anno 2005, della
complessiva somma di Euro 678.380,00 nei conti correnti della società per mezzo di assegni di cui la società verificata non è stata in grado di dimostrare la provenienza (l’importo di Euro 678.380,00 è comprensivo di Euro 106.720,00 di cui alla voce precedente); iii) differenza di complessivi Euro 47.000,00 nell’anno 2006 tra mutui fondiari (erogati nei confronti dei clienti dopo il 4.7.2006) e prezzi dichiarati negli atti di compravendita; iv) differenza di complessivi Euro 52.996,00 nell’anno 2006 tra mutui fondiari (contratti stipulati prima del 4.7.2006) e prezzi dichiarati negli atti di compravendita. Avuto riguardo alla ripresa dell’Ufficio relativa ai versamenti, nell’anno 2005, della somma di Euro 678.380,00 nei conti correnti della società, effettuati dai soci per mezzo di assegni (di cui la società verificata non è stata in grado di dimostrare la provenienza), si osserva che tale ripresa è altresì, ulteriormente, sorretta dalla circostanza che nei compromessi degli atti di vendita degli immobili era convenuto il pagamento di acconti, a cura degli acquirenti, in ragione dell’avanzamento dei lavori che è risultato essere stato documentato dall’incremento delle rimanenze finali in ragione dei costi sostenuti nell’anno 2005, pari ad Euro 920.000,00, per la realizzazione di immobili destinati alla vendita e, pertanto, capitalizzati’;
– con il quarto motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione de ll’art. 109 d.P.R. n. 917/1986, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per non avere la CTR ritenuto deducibili i costi, per complessivi € 4.410,00, perché riferibili a lavori (non cessione di beni, ma prestazioni di servizi) eseguiti nel mese di novembre dell’anno 2005, bench é detti lavori fossero ancora in corso nel novembre del 2005 e l’ammontare dei corrispettivi non fosse ancora certo, tanto che la relativa fattura era stata emessa nell’anno 2006; – il motivo è infondato;
-secondo l’art. 109, comma 2, lett. b) del TUIR, nel testo vigente ratione temporis , i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti e le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute alla data in cui le prestazioni sono ultimate;
dalla sentenza impugnata risulta che i lavori fatturati risultavano eseguiti nel mese di novembre del 2005 e, quindi, non di competenza dell’esercizio 2006;
la prestazione, pertanto, si doveva considerare ultimata con la sua esecuzione, non avendo la ricorrente documentato una diversa data di ultimazione di detti lavori;
con il quinto motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 , comma 5, d.lgs. n. 472/1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., censurando la errata liquidazione ed irrogazione delle sanzioni, su cui la CTR non si è neppure pronunciata;
il motivo è fondato;
a fronte di una specifica censura sulle sanzioni, proposta dalla contribuente con il ricorso introduttivo (p. 11) e riproposta con le controdeduzioni depositate in appello (p. 14), la CTR non ha in alcun modo affrontato le questioni poste con riferimento alle sanzioni;
con il sesto motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 654 cod. proc. pen., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per non essersi la CTR pronunciata sugli effetti del giudicato penale, atteso che gli stessi fatti sono stati oggetto del giudizio tributario e del giudizio penale, conclusosi con una sentenza di proscioglimento n. 1923/10, emessa dal Tribunale di Messina e depositata in data 11.01.2011;
-il motivo è inammissibile, non avendo la ricorrente allegato l’attestazione del passaggio in giudicato della richiamata sentenza penale;
con il settimo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 9192 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per non avere la CTR condannato l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio;
la censura è infondata, avendo il giudice di appello correttamente applicato il principio della soccombenza;
-con l’ottavo motivo denuncia la violazione de gli artt. 132 cod. proc. civ. e 36 d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 per non avere la CTR esaminato l’eccezione con la quale la società contribuente aveva sostenuto che l’ammontare complessivo dei ricavi dichiarati, riferiti alla somma delle cessioni di immobili effettuate, era pari o comunque di poco superiore ai ricavi determinati in sede di verifica fiscale, per cui era insussistente la contestata evasione;
il motivo è inammissibile;
-occorre rammentare, in proposito, che, in via generale, alla fattispecie in esame si applica l’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. nel testo novellato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134 (essendo stata la sentenza impugnata pubblicata in data 12.05.2021). Con detta novella è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
si tratta di censura che, tuttavia, impone a chi la denunci di indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da
cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”;
resta fermo che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie ( ex plurimis , Cass. Sez. U. 07/04/2014 n. 8053);
la ricorrente non solo non ha trascritto nel testo del ricorso per cassazione, neppure in modo indiretto, nelle loro parti essenziali, ai fini della percezione della doglianza, gli atti dai quali risulterebbero l’allegazione d ei fatti ritenuti non esaminati e la sede in cui sono stati oggetto di discussione, ma non ha neppure illustrato la decisività di tali fatti, limitandosi ad eccepire genericamente che l’ammontare complessivo dei ricavi dichiarati sarebbe di poco superiore rispetto a quello complessivamente ricostruito dai verbalizzanti, formulando, nella sostanza, una inammissibile censura di motivazione insufficiente della sentenza impugnata;
con il nono motivo, deduce la violazione degli artt. 132 cod. proc. civ. e 36 d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., per non avere la CTR esaminato l’eccezione relativa alla rilevanza dell’intervenuta sentenza di proscioglimento, in sede penale, degli amministratori della società ‘per non aver compiuto il fatto’ , fondata sui medesimi documenti utilizzati nel giudizio tributario e sui medesimi fatti costitutivi dell’ipotesi evasiva;
il motivo è inammissibile, in quanto, come si è già rilevato con riferimento al sesto motivo, la ricorrente non ha allegato l’attestazione del passaggio in giudicato della richiamata sentenza penale;
– in conclusione, va accolto il quinto motivo di ricorso e rigettati gli altri motivi; la sentenza va cassata con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso e rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto, e rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 29 aprile 2025 .