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Accertamento misto: valido senza contraddittorio?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26348/2024, ha chiarito la validità di un accertamento misto notificato a una società. La Corte ha stabilito che se l’accertamento si fonda principalmente su indici di antieconomicità della gestione aziendale (come ricavi modesti a fronte di costi elevati) e non esclusivamente sugli studi di settore, il contraddittorio preventivo non è obbligatorio. In questo caso, gli studi di settore assumono un ruolo secondario, di mera conferma, legittimando l’operato dell’Agenzia delle Entrate anche in assenza di un confronto preliminare con il contribuente.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento Misto: la Cassazione chiarisce i limiti del contraddittorio

L’ordinanza n. 26348 del 9 ottobre 2024 della Corte di Cassazione offre un’importante delucidazione sui presupposti di legittimità di un accertamento misto, con particolare riferimento all’obbligo del contraddittorio preventivo. La decisione sottolinea una distinzione fondamentale: un conto è un accertamento basato esclusivamente sugli studi di settore, un altro è quando questi strumenti sono solo uno dei tanti elementi a sostegno della pretesa fiscale. Approfondiamo la vicenda e le conclusioni della Suprema Corte.

I fatti del caso

Una società a responsabilità limitata impugnava un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava maggiori imposte (Ires, Irap e Iva) per l’anno 2013. L’accertamento si basava sull’applicazione degli studi di settore, ma anche su ulteriori elementi che evidenziavano una gestione palesemente antieconomica: la società, infatti, aveva dichiarato costi superiori ai ricavi, generando una significativa perdita d’esercizio.

In primo grado, la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della società, annullando l’atto per mancata instaurazione del contraddittorio preventivo, ritenuto obbligatorio in caso di accertamenti basati su studi di settore.

La Commissione Tributaria Regionale, in sede di appello, ribaltava la decisione. I giudici di secondo grado qualificavano l’atto come un accertamento misto, sostenendo che il suo fondamento principale non risiedeva negli studi di settore, bensì nella conclamata antieconomicità della gestione aziendale. Di conseguenza, il contraddittorio non era da considerarsi un passaggio obbligato.

La società ricorreva quindi in Cassazione, lamentando che l’antieconomicità fosse stata usata solo come ‘ulteriore conferma’ degli esiti degli studi di settore e che, pertanto, il contraddittorio fosse necessario.

La qualificazione dell’accertamento misto da parte della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando la tesi della CTR. Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato: l’obbligo di contraddittorio preventivo, ai sensi della L. 146/98, sussiste solo quando l’accertamento è fondato esclusivamente sull’applicazione degli studi di settore.

Al contrario, tale obbligo viene meno quando l’atto si fonda anche su altri elementi giustificativi, come irregolarità contabili o, come nel caso di specie, una gestione aziendale palesemente antieconomica. L’accertamento misto è tale proprio perché gli studi di settore non sono l’unica base della pretesa, ma si affiancano ad altri indici, gravi, precisi e concordanti, che diventano prevalenti.

L’onere della prova e la difesa dell’Amministrazione

Un altro punto toccato dalla Corte riguarda la natura delle argomentazioni difensive dell’Agenzia delle Entrate in appello. La società sosteneva che l’Agenzia avesse introdotto una ‘nuova eccezione’ qualificando l’atto come accertamento misto solo in secondo grado. La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo che non si trattava di un’eccezione nuova, ma di una mera argomentazione difensiva. L’Ufficio non ha modificato la pretesa originaria (il thema decidendum), ma ha semplicemente difeso la legittimità del proprio operato sulla base degli elementi già contenuti nell’avviso di accertamento originario, che menzionava esplicitamente la modestia dei ricavi, l’anomalo rapporto costi/ricavi e l’antieconomicità generale.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sulla base del principio della prevalenza. Un accertamento si considera ‘basato’ su uno studio di settore solo quando questo ne costituisce il fondamento prevalente. Nel caso analizzato, la valutazione conclusiva sui maggiori ricavi traeva origine primaria dalla gestione anti-economica della società, come emergeva dai dati dichiarati dalla stessa contribuente. La perdita d’esercizio, i costi sproporzionati rispetto ai ricavi e la non congruità gestionale nel quinquennio erano elementi così forti da rendere gli studi di settore un mero corollario, una conferma di una situazione già palese. La valutazione compiuta dal giudice di merito, che ha qualificato l’atto come accertamento misto fondato in via principale sull’antieconomicità, costituisce un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità. Di conseguenza, non sussistendo un accertamento basato esclusivamente su parametri standardizzati, l’obbligo del contraddittorio preventivo non era applicabile.

Le conclusioni

L’ordinanza consolida un orientamento fondamentale in materia di accertamenti fiscali. Per i contribuenti, la lezione è chiara: la gestione palesemente antieconomica di un’impresa (ad esempio, operare sistematicamente in perdita) costituisce di per sé un valido presupposto per un accertamento, indipendentemente dagli studi di settore. In tali circostanze, non è possibile invocare la nullità dell’atto per omesso contraddittorio, poiché la pretesa fiscale si regge su elementi concreti e specifici della gestione aziendale. L’accertamento misto, in questo contesto, si rivela uno strumento efficace per l’Amministrazione Finanziaria per contrastare l’occultamento di ricavi, spostando sul contribuente l’onere di dimostrare le valide ragioni economiche che giustificano una condotta apparentemente illogica dal punto di vista imprenditoriale.

Quando è obbligatorio il contraddittorio preventivo in un accertamento fiscale?
Secondo la Corte di Cassazione, il contraddittorio preventivo è obbligatorio solo nelle ipotesi specificamente previste dalla legge, come nel caso di accertamenti fondati esclusivamente sull’applicazione degli studi di settore. Non è richiesto per i tributi ‘non armonizzati’ se non espressamente sancito.

Cosa si intende per ‘accertamento misto’ e quali conseguenze ha?
Si definisce ‘accertamento misto’ un atto impositivo che, pur utilizzando gli studi di settore, si fonda in via prevalente su altri elementi, come l’antieconomicità della gestione (es. ricavi ingiustificatamente modesti, rapporto costi/ricavi anomalo, perdite costanti). La principale conseguenza è che per questo tipo di accertamento non è obbligatoria l’instaurazione del contraddittorio preventivo.

Può l’Agenzia delle Entrate modificare le ragioni della pretesa fiscale durante il processo?
No, l’Agenzia delle Entrate non può modificare o porre a base della propria pretesa ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione dell’avviso di accertamento originario. Tuttavia, può sviluppare argomentazioni difensive per meglio illustrare e sostenere le ragioni già esposte nell’atto, senza che ciò costituisca una ‘nuova eccezione’ o una modifica del thema decidendum.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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