Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7938 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 7938 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 25/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 6129/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la sentenza della C.T.R. del Lazio n. 4443/2015 depositata il 29/07/2015;
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME Sentite le parti all’udienza del 22 ottobre 2024 ;
Viste le conclusioni del P.G. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso ;
FATTI DI CAUSA
Emerge dalla sentenza impugnata oltre che dagli atti di parte (ricorsi, controricorsi) per il profilo ancora d’interesse che, a seguito di attività di indagine svolta dalla Agenzia delle dogane e dalla Guardia di finanza, la società contribuente , esercente l’attività di commercio di autoveicoli, risultò aver partecipato ad una cd. frode carosello ricoprendo il ruolo di soggetto interposto tra il primo cedente nazionale e gli acquirenti finali.
Risultò, quindi, che RAGIONE_SOCIALE avesse applicato illegittimamente il regime del margine IVA per un importo complessivo pari ad euro 4.808.950,00.
L’avviso di accertamento venne impugnato dalla società chiedendosene l’annullamento in quanto notificato oltre il termine di decadenza. L’avviso, in particolare, riguardò l’anno di imposta 2004 e venne notificato nel 2012. Secondo la società non vi erano i presupposti per l’applicazione del raddoppio dei termini ed era illegittima l’integrazione dell’accertamento per mancata indicazione e specificazione dei nuovi elementi a giustificazione dello stesso.
Il giudice di primo grado accolse il ricorso e compensò le spese di giudizio.
La sentenza venne quindi appellata dall’Agenzia delle Entrate e la C.T.R. respinse l’appello.
In particolare il giudice di merito escluse che fosse sufficiente, per potersi avvalere del raddoppio dei termini di cui all’art. 43 del d.P.R.
n. 633 del 1973 ratione temporis vigente, la mera affermazione dell’avvenuta presentazione della denuncia da parte del pubblico ufficiale dovendosi necessariamente produrre in giudizio la stessa e ciò anche al fine di consentire al giudice di merito di valutare l’eventuale pretestuosità della stessa.
Si aggiunse, inoltre, che nella specie il reato sotteso (dichiarazione infedele) era, in astratto, già prescritto al tempo della notifica dell’avviso (dichiarazione effettuata nel 2005, avviso notificato nel 2012) e che pertanto anche sotto questo profilo l’avviso era da ritenersi illegittimo.
Non solo. Si affermò infine che l’accertamento fosse illegittimo poiché carente dei requisiti di cui all’art. 54 del citato d.P.R.
Contro la prefata decisione ricorre l’Agenzia con due motivi.
Resiste con controricorso la società contribuente.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972.
Con questo motivo si censura, nella sostanza, la decisione per aver escluso l’applicabilità del raddoppio dei termini in assenza di ‘una vera denuncia penale’.
Con la seconda doglianza si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 54, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.
Si contesta l’affermazione contenuta nella sentenza di merito secondo cui l’avviso di accertamento integrativo è ‘del tutto
illegittimo, in quanto l’art. 54 co.5 del DPR 633/1972 pone un limite fondamentale all’emissione dello stesso.’
Nel dettaglio l’Amministrazione evidenzia come nella motivazione dell’avviso di accertamento sia richiamato il Processo verbale di Constatazione redatto dalla Guardia di finanza di Tivoli, avviso notificato al contribuente (… ‘atto di accertamento n. 166 notificato in data 29.10.2007, relativo al periodo di imposta dal 01.01.2004 a. 31.12.2004, con rilievi sostanziali in materia di IRAP, IRPEG ed IVA…), e pertanto la motivazione dell’avviso di accertamento sarebbe, diversamente da quanto ritenuto dalla C.T.R., legittimamente integrata per relationem dal processo verbale di constatazione.
3 . Il Collegio ritiene, aderendo al canone c.d. della ragione più liquida, cioè in conseguenza dell’esame esclusivo della questione assorbente (cfr. Cass. civ., n. 2872/2017, Cass. civ., 19 agosto 2016, n. 17214, Cass. civ., ord., 20 marzo 2015, n. 5724; Cass. civ., Sez. Un., 12 dicembre 2014, n. 26242-3), sviluppata nel caso di specie nel secondo motivo di ricorso, e idonea, di per sè sola, a sorreggere la decisione, che il ricorso debba essere respinto.
Nel caso di specie, la sentenza di merito è sorretta da due rationes decidendi , distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata.
L’una relativa alla ritenuta assenza dei presupposti per il raddoppio dei termini per l’accertamento, la seconda per la ritenuta assenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 54, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972.
Deve, quindi, premettersi che l’accertamento parziale ai fini IVA, ai sensi dell’art. 54, comma 5, del d.p.r. n. 633 del 1972, è uno strumento diretto a perseguire la sollecita emersione della materia
imponibile, laddove le attività istruttorie non richiedano, per la loro oggettiva consistenza, ulteriori valutazioni, sicché può essere fondato pure su una verifica generale, che abbia dato luogo ad un unico processo verbale di constatazione, in quanto la segnalazione degli organi indicati costituisce un semplice atto di comunicazione, distinto dall’attività istruttoria, da esso necessariamente presupposta (Cass. 28/10/2015, n. 21992; Cass. 05/02/2009, n. 2761).
Accanto a questa disposizione viene in considerazione l’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, che consente l’integrazione e la modificazione dell’accertamento, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell’Agenzia delle Entrate e prevede che, a pena di nullità, debbano essere indicati nell’avviso specificatamente ‘i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell’ufficio delle imposte’.
L’art. 54, quinto comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, a mente del quale, «senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti dall’art. 57, i competenti uffici dell’Agenzia delle entrate, qualora dagli accessi, ispezioni e verifiche, nonché dalle segnalazioni effettuate dalla Direzione centrale accertamento, da una Direzione regionale ovvero da un ufficio della medesima Agenzia ovvero di altre Agenzie fiscali, dalla Guardia di Finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dai dati in possesso dell’anagrafe tributaria, risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di corrispettivi o di imposta in tutto o in parte non dichiarati o di detrazioni in tutto o in parte non spettanti, può limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, l’imposta o la maggiore imposta dovuta o il minor credito spettante, nonché l’imposta o la maggior imposta non versata, escluse le ipotesi di cui all’art. 54-bis, anche avvalendosi delle procedure previste dal d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218», mentre il successivo art. 57, quarto comma, dispone che
«fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti, le rettifiche e gli accertamenti possono essere integrati o modificati, mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi».
Questa Corte ha in più occasioni avuto modo di affermare che l’accertamento parziale di cui all’ artt. 41 -bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54, quinto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, «è uno strumento diretto a perseguire la finalità di sollecita emersione della materia imponibile, ove le attività istruttorie diano contezza della sussistenza di attendibili posizioni debitorie», ma non costituisce «un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 e 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole», ciò in ragione della premessa introduttiva della disciplina dettata dagli articoli in questione (applicabili «senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti dall’art. 43», quanto all’art. 41 -bis, e «dall’art. 57», quanto all’art. 54, quinto comma), la quale è deputata a circoscrivere il termine complessivo entro il quale l’Amministrazione può esercitare la potestà accertativa, tenendo distinto il metodo di accertamento con la tempistica dello stesso (cfr. Cass., sez. 5, 28/10/2015, n. 21984, Cass., sez. 5, 7/11/2019, n. 28681; Cass., Sez. 5, 1/10/2018, n. 23685; Cass., Sez 6-5, 4/4/2018, n. 8406).
La differenza qualitativa di tale tipo di accertamento rispetto a quello ordinario non discende invero dalla particolare semplicità della segnalazione, potendo esso basarsi anche su una verifica generale (vedi Cass., sez. 5, 12/5/2006, n. 11057; Cass., sez. 5, 7/2/2008, n. 2833; Cass., Sez. 5, 5/2/2009, n. 2761; Cass., sez. 5, 22/1/2010, n. 1150), bensì dalla disponibilità, in capo all’Amministrazione, di elementi (non necessariamente provenienti da segnalazione di
soggetti ad essa estranei, ben potendo derivare anche da fonti interne) idonei a dare contezza della sussistenza, a qualsiasi titolo, di attendibili posizioni debitorie, senza richiedere, in ragione della loro oggettiva consistenza, l’esercizio di un ufficio valutativo ulteriore rispetto a quello che si risolve nel recepire e fare proprio il contenuto della segnalazione o lo svolgimento di ulteriori attività di approfondimento (appannaggio di accertamenti più complessi), valendosi di una «sorta di automatismo argomentativo» indotto da quelle fonti di conoscenza, per modo che il confezionamento dell’atto risulta possibile sulla base della sola segnalazione senza necessità di ulteriore approfondimento (cfr. Cass., sez. 5, 23/12/2014, n. 27323; Cass. Sez. 5, 10/2/2016, n. 2633).
La diversità tra i due istituti comporta che all’accertamento parziale, di cui all’art. 54, comma 5, non possa applicarsi la disciplina prevista per quello integrativo.
Premesso quanto innanzi, il ricorrente, avrebbe dovuto specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche puntualmente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, dovendo tale specificazione essere contenuta, a pena d’inammissibilità, nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza (Cass. Sez. 1, 06/11/2021, n. 24048). Il motivo, così come formulato è infatti inammissibile per difetto di specificità atteso che dal contenuto della sentenza (ove ci si riferisce lessicalmente all’accertamento integrativo e contestualmente alla disciplina di quello parziale) e del ricorso non risulta quale accertamento sia stato in concreto posto in essere.
Ciò comporta il passaggio in giudicato della statuizione della C.T.R. che ha accolto (con una seconda ed autonoma ratio decidendi ) il ricorso del contribuente non sussistendo i presupposti di cui all’art. 54, comma 5, d.p.r. n. 633 del 1972.
L’inammissibilità del motivo di cui innanzi comporta l’assorbimento della prima doglianza.
La sentenza risulta di merito infatti sorretta, come osservato al punto 3, da due diverse rationes decidendi , distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, sicché l’inammissibilità del motivo di ricorso attinente ad una di esse rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile (Cass. n. 15399 del 2018). Ne consegue la sopravvenuta la carenza dell’interesse ad agire del ricorrente per le medesime ragioni innanzi evidenziate ossia in quanto la doglianza non potrebbe comunque condurre, stante l’intervenuta definitività dell’altra statuizione censurata, alla cassazione della decisione stessa.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente nella misura di cui al dispositivo.
Risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 15.000,00.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2024