Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22827 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 22827 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 07/08/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 28455/2016 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato
-ricorrente-
RAGIONE_SOCIALE NAPOLI, con gli avvocati con gli Avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME
-controricorrente e ricorrente incidentale- avverso la Sentenza delle Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 5533/2016 depositata il 13/06/2016.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto rigettarsi o dichiararsi inammissibile il ricorso principale.
Uditi l’Avvocato dello Stato NOME COGNOME per l’Amministrazione ricorrente e l’Avvocato NOME COGNOME per la controricorrente, che hanno richiamato le conclusioni rassegnate in atti.
FATTI DI CAUSA
Con avviso di accertamento n. TEBO3TI00055/2014, notificato in data 11/11/2014, l’Ufficio Grandi Contribuenti della Direzione
Regionale della Campania accertava, nei confronti dell’Azienda RAGIONE_SOCIALE Napoli (già RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Napoli RAGIONE_SOCIALE, ante trasformazione con effetto dall’aprile 2013) ai sensi degli artt. 24 e 25, D.Lgs. 446/97, un maggior valore della produzione pari ad euro 29.825.000,00 per l’anno di imposta 2005. Si accertava, quindi, una maggiore IRAP di euro 1.267.562,50, oltre ai relativi interessi e sanzioni per un totale complessivo di euro 2.876.845,00.
1.1. L’accertamento traeva origine e fondamento dalle risultanze emergenti dal processo verbale di constatazione redatto dall’Ufficio Grandi Contribuenti della Direzione Regionale della Campania in data 9 marzo 2012 e dal questionario n. Q00024/2012 prot. N. 2012/35636 inviato all’Azienda Speciale A.R.I.N. e notificato in data 13/07/2012.
1.2. L’Amministrazione finanziaria contestava alla società contribuente di avere omesso, per l’anno di imposta 2005, l’imputazione ai fini IRAP di componenti positivi rilevanti ai fini della corretta determinazione della base imponibile relativa alla suddetta imposta.
1.3. Con particolare riferimento a tale recupero, l’Ufficio rappresentava che i rilievi determinati nell’ambito di tale attività di controllo prendevano le mosse da un’operazione societaria straordinaria di scissione parziale ex art. 115 D.Lgs. 267/2000 (T.U.E.L.) dell’allora azienda speciale del comune di Napoli –RAGIONE_SOCIALE la quale, a seguito di delibera n. 200 del Consiglio comunale di Napoli del 30 ottobre del 2000, dava luogo alla costituzione dell’A.RAGIONE_SOCIALE, in qualità di beneficiaria neo costituita ai sensi dell’art. 115 del D.Lgs. n. 267 del 18 agosto 2000.
1.4. Al fine di definire il valore dei beni patrimoniali oggetto di scissione il comma 3 del suddetto art. 115 prevedeva l’obbligo di una perizia giurata di stima; il successivo comma 6 del medesimo
articolo stabiliva l’esenzione fiscale del conferimento e dell’assegnazione dei beni degli enti locali e delle aziende speciali alle società neocostituite.
1.5. Ciò premesso, nella fattispecie in questione, la perizia di stima individuava, tra le altre, una passività potenziale, ossia un fondo rischi – pari ad euro 162.425.464 (corrispondente alla differenza tra i debiti rimasti in capo alla scissa e per i quali sussiste la responsabilità sussidiaria della beneficiaria, pari ad euro 221.647.446,00 ed i crediti, valutati in euro 59.222.138,00, anch’essi rimasti in capo alla scissa e nei confronti dei quali la beneficiaria può eventualmente esercitare il diritto di rivalsa) da iscrivere in capo alla beneficiaria (l’RAGIONE_SOCIALE per effetto dell’operazione di scissione parziale, in relazione alla responsabilità sussidiaria, ex art. 2504 decies c.c. ratione temporis vigente, per i debiti rimasti in capo all’azienda speciale scissa e calcolati dal perito al netto dei crediti altrettanto rimasti in capo alla scissa e nei confronti dei quali la beneficiaria poteva esercitare eventualmente il diritto di rivalsa.
Pertanto, il suddetto fondo rischi era da considerarsi come la misura della responsabilità della beneficiaria RAGIONE_SOCIALE, qualora i debiti non fossero stati onorati dall’azienda speciale (scissa), obbligata in via principale.
1.6. Nell’anno 2005, a seguito di una transazione tra l’azienda speciale ed il Comune di Napoli, quest’ultimo rinunciava a crediti per euro 29.825.000,00 e – contestualmente – il fondo rischi da scissione, iscritto nel bilancio della beneficiaria, subiva un decremento di pari importo e si riduceva ad euro 132.600.464,00.
Al decremento del fondo rischi corrispondeva un contestuale aumento della riserva da scissione, senza alcun effetto sul conto economico.
1.7. L’Ufficio contestava che il suddetto utilizzo del fondo costituiva una operazione straordinaria che determinava l’emersione di
maggiori valori fiscalmente riconosciuti. Rilevava che l’operazione di scissione posta in essere era soggetta ad un regime derogatorio rispetto al regime ordinario previsto dal TUIR, che di conseguenza il fondo rischi da scissione doveva ritenersi un fondo fiscalmente rilevante (ossia dedotto) e che pertanto qualunque utilizzo ne determinava la tassazione.
1.8. Dunque, in virtù della rilevanza fiscale dell’elemento passivo patrimoniale rappresentato dal suddetto “fondo rischi da scissione”, l’Ufficio procedeva ad accertare, per l’anno 2005, maggiori componenti positivi ai fini IRAP per euro 29.825.000,00, corrispondenti all’importo del fondo rischi da scissione divenuto esuberante (a seguito della rinuncia al credito da parte del Comune di Napoli) e ridondante sia giuridicamente sia economicamente e, dunque, da stralciare dallo stato patrimoniale societario dell’RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorso proposto dall’ Ente veniva accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli, con decisione che veniva quindi confermata dalla CTR della Campania, con la sentenza indicata in epigrafe.
2.1. I giudici del merito, accogliendo la censura sollevata in via pregiudiziale dalla contribuente, rilevavano la nullità dell’avviso impugnato per violazione dell’art. 2, comma 4 del D.Lgs. 218/1997, in quanto basato su una diversa valutazione dei medesimi elementi già valutati in una precedente verifica, conclusasi, per lo stesso anno d’imposta, con un accertamento con adesione, in assenza dei nuovi e necessari elementi prescritti dalla richiamata disposizione normativa.
Avverso la predetta sentenza ricorre l’Agenzia delle entrate con due motivi e resiste l’Agenzia speciale con controricorso e ricorso incidentale condizionato, fondato su unico motivo, a sua volta contrastato da controricorso dell’Amministrazione.
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale dott. NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta, chiedendo il rigetto del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denuncia , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., la violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c.
Lamenta la ricorrente che la Commissione tributaria regionale sia incorsa nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato sancito dall’art. 112 c.p.c. e nella violazione dell’art. 132 c.p.c., laddove ha annullato l’avviso di accertamento impugnato, poiché emesso in violazione del principio di unicità dell’accertamento di cui all’art. 2, comma 4, del d.P.R. n. 218/1997 e all’art. 57, comma 4, del d.P.R. n. 633 del 1972, in assenza del presupposto della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.
1.1. Il motivo di ricorso è inammissibile, in quanto il medesimo capo della decisione viene censurato in relazione a profili tra loro incompatibili.
Ha a tale riguardo affermato questa Corte che «In tema di ricorso per cassazione, il vizio di omessa pronuncia, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c., ricorre ove il giudice ometta completamente di adottare un qualsiasi provvedimento, anche solo implicito di accoglimento o di rigetto ma comunque indispensabile per la soluzione del caso concreto, sulla domanda o sull’eccezione sottoposta al suo esame, mentre il vizio di omessa motivazione, dopo la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia stato, ma sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico oppure si sia tradotto nella mancanza assoluta di motivazione, nella
motivazione apparente, nella motivazione perplessa o incomprensibile o nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» (Cass. Sez. 5, 23/10/2024, n. 27551; Cass. Sez. 5, 05/03/2021, n. 6150).
Con il secondo strumento di impugnazione l’Amministrazione lamenta, in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 2, comma 4, del D.Lgs. n. 218/1997.
Deduce la ricorrente che la CTR, confermando la decisione di primo grado, abbia erroneamente rilevato la violazione del c.d. principio di unicità dell’accertamento .
2.1. Osserva che, in punto di fatto, non è in contestazione che l’attività sostanziale di controllo nei confronti della società appellata abbia avuto origine da una verifica fiscale a carattere parziale condotta dalla Guardia di Finanza, conclusasi con la redazione di un processo verbale di constatazione in data 30/03/2007.
Rileva che, tuttavia, il mero raffronto con il PVC redatto in data redatto dall’Ufficio Grandi Contribuenti della Direzione Regionale della Campania in data 9 marzo 2012 renderebbe conto della profonda diversità delle ipotesi di rettifica e della loro perfetta compatibilità, ed inoltre consentirebbe di comprendere che l’avviso di accertamento emesso dall’Ufficio si basava su elementi che non erano noti in precedenza all’Ufficio stesso, essendo emersi solo a seguito di una verifica operata dalla Direzione Regionale.
2.2. In particolare, osserva la ricorrente che, nel primo PVC, i militari verbalizzanti avevano solamente effettuato una “Riconciliazione delle voci di bilancio con i dati esposti nella dichiarazione delle imposte dirette”, evidenziando che il controllo della corretta redazione del quadro contenente le variazioni in aumento ed in diminuzione sotto l’aspetto formale non mostrava irregolarità. Il controllo effettuato in sede di verifica aveva pertanto riguardato solamente la corretta compilazione del prospetto delle variazioni in aumento ed in diminuzione del reddito fiscale sulla
base dei valori riportati in bilancio, con contestazione di violazioni sostanziali in materia di IRES ed IRAP, aventi ad oggetto la contabilizzazione di componenti negativi di reddito non ammessi in deduzione per euro 2.798.500,00.
2.3. La società, nel luglio del 2009, presentava una istanza di accertamento con adesione, proponendo all’ufficio, per quanto riguarda l’anno di imposta 2005, l’adesione parziale ai rilievi contenuti del processo verbale di constatazione, adesione che si perfezionava sulla base del recupero a tassazione di costi non inerenti e non di competenza, sia ai fini IRES che ai fini IRAP, per complessivi € 255.658,00.
2.4. Soggiunge l’Agenzia che g li elementi su cui si basava il nuovo avviso si rinvenivano, quindi, in epoca successiva al primo accertamento ed inoltre erano tali da modificare, nella sostanza, l’oggettività del presupposto di imposta.
Sostiene, a tale riguardo, che la rettifica non deve necessariamente riguardare attività diverse da quelle già considerate, in quanto la norma che si assume violata non pone limiti all’oggetto dell’integrazione.
Nel caso di specie, precisa la Difesa erariale, gli elementi posti a fondamento dell’atto impositivo erano stati rinvenuti nel 2012, a seguito del PVC redatto dall’Ufficio Grandi Contribuenti della Direzione Regionale della Campania in data 09 marzo 2012 e dal questionario n. Q00024/2012 prot. n. 2012/35636, inviato all’Azienda Speciale ARIN, notificato in data 13/07/2012.
In particolare, ponendo l’attenzione sull’operazione di scissione parziale realizzata dall’Azienda Speciale, si constatava un illegittimo utilizzo del fondo rischi da scissione anche per l’anno 2005.
In occasione del primo processo verbale non c’era stato, quindi, alcun controllo sostanziale sulla natura delle variazioni, sulle quali invece, si fondava il secondo PVC.
Giova a tale riguardo rammentare che, come affermato da questa Corte, «L’integrazione dell’accertamento mediante l’emissione di ulteriori atti impositivi, ai sensi dell’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, è ammessa solo ove gli elementi posti a fondamento degli stessi siano nuovi, ipotesi che non ricorre in presenza di diversa, o più approfondita, valutazione del “materiale probatorio” già acquisito dall’ufficio, dovendosi ritenere che con l’emissione dell’avviso di rettifica l’amministrazione consumi il proprio potere di accertamento in relazione agli elementi posti a propria disposizione» (Cass. Sez. 5, 18/10/2018, n. 26191).
Si è, quindi, precisato che «In tema di accertamento delle imposte sui redditi, costituiscono dati la cui sopravvenuta conoscenza consente l’integrazione o la modificazione dell’avviso di accertamento, ai sensi dell’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, anche quelli noti ad un ufficio fiscale, ma non ancora in possesso di quello che ha emesso l’atto al momento dell’adozione dello stesso, senza che rilevi in senso contrario né l’art. 33 del medesimo decreto, che pone solo un dovere di reciproca collaborazione tra uffici finanziari e Guardia di finanza, né la circostanza che sia stato effettuato un primo accertamento parziale, in quanto si tratta di uno strumento volto a favorire la sollecita emersione della materia imponibile, che non preclude, pertanto, l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice, anche ove definito con adesione» (Cass. Sez. 6, 22/01/2018, n. 1542).
3.1. In ragione dei richiamati principi, correttamente applicati dai giudici di appello, il motivo è infondato.
3.2. Nel caso di specie l’Agenzia delle entrate non ha infatti indicato né quali sarebbero i documenti nuovi reperiti dopo la prima verifica effettuata dalla Guardia di Finanza nel 2007 che avrebbero giustificato l’accertamento integrativo impugnato, né i nuovi elementi da essi desumibili che l’Amministrazione Finanziaria non avrebbe potuto esaminare già in occasione del precedente
accertamento in quanto in possesso di diverso ufficio fiscale, emergendo, al contrario, come l’accertamento integrativo impugnato si sia fondato su una mera rivalutazione degli elementi già verificati in precedenza.
3.3. Deve pertanto enunciarsi il seguente principio di diritto: «L’integrazione dell’accertamento mediante l’emissione di ulteriori atti impositivi, ai sensi dell’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, è ammessa solo ove gli elementi posti a fondamento degli stessi siano nuovi, tali dovendosi ritenere anche quelli noti ad un ufficio fiscale, ma non ancora in possesso di quello che ha emesso l’atto al momento dell’adozione dello stesso, senza che rilevi in senso contrario la circostanza che sia stato effettuato un primo accertamento parziale, anche ove definito con adesione; tale ipotesi non ricorre in presenza di diversa, o più approfondita, valutazione del “materiale probatorio” già acquisito dall’ufficio, essendo onere dell’Amministrazione finanziaria indicare quali siano i nuovi elementi che non ha potuto esaminare in occasione del precedente accertamento, in quanto in possesso di diverso ufficio fiscale».
Con l’unico motivo di ricorso incidentale, la contribuente deduce: «A) Omessa motivazione della pronuncia implicita con la quale la CTR ha deciso che l’avviso impugnato sarebbe stato emesso nel termine decadenziale di accertamento, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. B) Violazione e falsa applicazione dell’art. 43, primo comma, D.p.r. n. 600/1973, in assenza di motivazione in ordine ai presupposti dell’obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p. e dell’applicazione del termine raddoppiato; inconfigurabilità della fattispecie di reato, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.»
4.1. Il motivo di ricorso incidentale risulta assorbito a seguito del rigetto del ricorso principale.
5. In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato, assorbito il ricorso incidentale, con conseguente condanna della ricorrente Agenzia delle entrate al rimborso, in favore della società contribuente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. n. 30 maggio n. 115, art. 13 comma 1quater (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale. Condanna l ‘Agenzia delle entrate al pagamento, in favore della società contribuente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 17.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 05/06/2025.