Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22829 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22829 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2604/2024 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-ricorrente –
contro
NOME rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in atti, dall’Avv. NOME COGNOME del foro di Genova
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria n. 494/02/2023, depositata in data 3.7.2023, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avverso la sentenza della C.G.T. di secondo grado della Liguria indicata in epigrafe, con la quale, all’esito del giudizio di rinvio a seguito dell’ordinanza di questa Corte n. 23737/2022, veniva rigettato l’appello proposto dall’Ufficio avverso la sentenza
IRPEF: Accertamento -termini di decadenza -art. 43 d.P.R n. 600/73 -vecchio regime -accertamenti integrativi.
della C.T.P. di Genova che aveva accolto il ricorso di NOME avverso l’avviso di accertamento n. TL3012205163/2014, emesso in relazione all’anno di imposta 2008, sulla scorta delle risultanze contenute in un Processo Verbale di Constatazione (P.V.C.) redatto dalla Guardia di Finanza in data 17.12.2013.
2.Riteneva la C.T.R. che ‘ Il principio di diritto fissato dalla Corte di Cassazione, cui si deve uniformare questa Corte, consiste nella valutazione dell’astratta configurabilità di reato, con obbligo di denuncia a norma dell’art. 331 c.p.p., ‘in relazione ai fatti posti a fondamento dell’avviso di accertamento in discussione’, che, ai sensi dell’art. 43 d.P.R. 633/1972, giustifica l’applicazione del raddoppio dei termini. L’indagine demandata al Collegio si risolve nel senso che l’avviso di accertamento, sulla scorta degli accertamenti effettuati nel 2013, e del contraddittorio con la contribuente, determina una presunta evasione per gli importi analiticamente indicati dalla ricorrente e non specificamente contestati dall’Ufficio -inferiori alla soglia penale. Sicché non sussiste il presupposto per il raddoppio dei termini indicato dalla Cassazione. In aggiunta, va sottolineato che l’indagine bancaria, richiamata dall’Ufficio, è fondata sul principio di inversione dell’onere della prova, e l’avviso non contesta alcuna attività fraudolenta idonea a integrare la fattispecie prevista dall’art. 3 d.lgs. 74/2000, tale da imporre all’amministrazione di valutare se ricorra l’obbligo di denuncia. Né, in ragione dell’oggetto dell’avviso d’accertamento, rilevano fatti diversi rispetto a quelli inerenti all’atto impugnato ‘.
3.Aloia Evelina resiste con controricorso.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale del 21.5.2025.
5.La controricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 380 bis c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate denuncia « motivazione apparente. Nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione degli artt. 61 e 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, e violazione degli artt. 132 e 384 comma 2 c.p.c., e art. 111 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 4 .», assumendo che la C.T.R., senza prendere in considerazione le argomentazioni dell’Ufficio, si era limitata ad affermazioni generiche, omettendo di specificare quali sarebbero stati gli importi ‘analiticamente indicati dalla ricorrente’ inferiori alla soglia penale. La motivazione si appalesava nel complesso vuota di contenuto sia fattuale che giuridico, lasciando completamente oscure le ragioni del rigetto delle doglianze della parte appellante.
Il motivo è infondato.
1.1.Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si è in presenza di una “motivazione apparente” allorchè la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, ove il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, di talchè essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Sez. 1 30 giugno 2020 n. 13248; Sez. 1, 18 giugno
2018 n. 16057; n. 27112 del 2018; n. 22022 del 2017; Sez. 6-5, 7 aprile 2017 n. 9097 e n. 9105; Sez. U 3 novembre 2016 n. 22232; Sez. U 5 agosto 2016 n. 16599; Sez. U 7 aprile 2014, n. 8053 ed ancora Cass. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009).
1.2.Ciò posto, nel caso in esame la decisione soddisfa il minimo costituzionale, posto che, dalla pur sintetica motivazione si evince che il ragionamento del giudice di seconde cure è stato nel senso di ritenere rilevante esclusivamente l’atto impositivo oggetto del giudizio, dal quale non emergeva il superamento della soglia penale idonea a integrare la fattispecie prevista dall’art. 3 d.lgs. 74/2000, senza che potessero assumere rilevanza fatti diversi da quelli oggetto dell’accertamento impugnato, con ciò intendendo implicitamente riferirsi alle precedenti attività di controllo, relative al medesimo anno di imposta, che avevano portato all’emissione di un primo avviso di accertamento, non impugnato.
2.Con il secondo motivo, l’ufficio lamenta « Violazione e falsa applicazione dell’art. 384 cpc in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.», assumendo che la sentenza emessa dai giudici del rinvio avrebbe, comunque, fatto malgoverno dei principi di diritto enunciati nell’ordinanza n. 23737/2022 a proposito dell’individuazione dei presupposti per l’operatività della disciplina sul raddoppio dei termini per l’esercizio dell’attività accertativa di cui all’art. 43, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 ed all’art. 57, comma 3, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nel testo vigente ratione temporis . Evidenzia, al riguardo, che sin dagli esiti del primo P.V.C. sussistevano i presupposti per configurare in capo ai militari verificatori l’obbligo di denuncia penale per il reato di cui all’art. 3 del D. Lgs. n. 74/2000. L’attività di verifica non si era tuttavia esaurita con il PVC del 24.09.2009, ma veniva proseguita mediante indagini di carattere finanziario, le cui risultanze venivano illustrate nel P.V.C. integrativo del 17.12.2013, all’interno del
quale, con riferimento al medesimo periodo di imposta 2008, venivano contestati ulteriori ricavi (rispetto a quanto già contestato con il primo PVC) non contabilizzati e non dichiarati. Anche il secondo PVC veniva trasmesso all’Autorità Giudiziaria, la quale avviava il procedimento penale n. 228/14/21, come documentato con la nota della cancelleria della Procura presso il Tribunale di Genova trasmessa all’Ufficio, a mezzo mail, in data 5.08.2016, prodotta in grado di appello sub. 4, e che, per mero tuziorismo difensivo, era stata nuovamente prodotta nel giudizio di rinvio. Peraltro, i militari della Guardia di Finanza erano ben consapevoli dell’operatività del raddoppio dei termini accertativi, posto che a pag. 20 del PVC del 24.09.2009 veniva evidenziato che il Nucleo di Polizia Tributaria aveva avviato nei confronti della Signora COGNOME la richiesta di autorizzazione per l’avvio di indagini finanziarie, con espressa ‘riserva di integrare il presente atto con le risultanze dell’esame della documentazione bancaria come sopra acquisita’. Per l’effetto, nel caso di specie il termine di decadenza per l’emissione di avvisi di accertamento relativi al periodo di imposta 2008 veniva a scadere il 31.12.2017 e la notifica dell’avviso di accertamento integrativo n. TL3012205163/2014, oggetto della presente controversia, era dunque da ritenersi tempestiva. Risulterebbe, pertanto, chiara la violazione delle norme richiamate con conseguente invalidità della pronuncia resa all’esito del giudizio di rinvio, che aveva ritenuto erroneamente determinante il mancato superamento della soglia di punibilità in ordine al solo atto impugnato, non ampliando il proprio oggetto di osservazione all’intera attività di controllo relativa all’anno di imposta 2008.
3.Con il terzo ed ultimo motivo, denuncia « violazione e illegittimità della sentenza, a norma dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per violazione dell’art. 43, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 57, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972, nel testo vigente ratione temporis », osservando che la scarna motivazione della decisione
violerebbe le norme riportate in rubrica che stabiliscono che, fino alla scadenza del termine indicato (ordinario o raddoppiato), gli accertamenti possono essere integrati o modificati mediante la notificazione di nuovi avvisi in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi specificamente indicati nell’atto integrativo a pena di nullità. Il Giudice del rinvio non aveva dunque tenuto conto della natura di accertamento integrativo dell’atto impositivo oggetto di causa, in quanto emesso in conseguenza di una più ampia attività di controllo che aveva dato luogo, per la stessa annualità, ad un primo P.V.C. e ad un primo avviso di accertamento, nei quali veniva contestata alla contribuente una condotta integrante gli estremi soggettivi e oggettivi del reato di cui all’art. 3 del D. Lgs. n. 74/2000 .
4.Il secondo ed il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono fondati.
4.1.La prima sentenza di appello, cassata con ordinanza n. 23737/2022, aveva respinto il gravame proposto dall’Agenzia delle entrate, ritenendo inapplicabile il raddoppio dei termini di accertamento per mancata prova dell’esistenza di un procedimento penale instaurato nei confronti della contribuente.
4.2. Questa Corte, premettendo che l’Agenzia delle Entrate deduceva la violazione dell’art. 43, co. 3, del DPR 600/1973; dell’art. 2, co. 3 del d.lgs. n. 128/2015 e dell’art. 57, co. 3 DPR 633/1972, ex art. 360 n. 3 c.p.c., assumendo che la CTR avrebbe dovuto riconoscere il raddoppio del termine di decadenza per l’accertamento, rilevando l’esistenza di elementi di reato correlati già al pvc del 24.9.2009 inoltrato alla Procura di Chiavari e alla successiva apertura di un procedimento penale nel quale era configurata a carico della contribuente la fattispecie di reato di cui all’art.3 d.lgs.n.74/2000, accoglieva il motivo, statuendo che « 3.1 Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini del raddoppio dei termini per l’esercizio dell’azione accertativa, va valutata solo
l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato e non rileva l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione (Cass., n.9974/2015; Cass., n. 20043/2015; Cass., nn. 7805, 9725, 9727, 11181 e 27392 del 2015). di 3.2. Si è ancora aggiunto che, nell’assetto anteriore alle modifiche di cui al d.lgs. n. 128 del 2015, era sufficiente ai fini del raddoppio dei termini la ricorrenza’ di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione della stessa, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo (cfr. Cass., n.22337/2018). 3.3. Si è parimenti chiarito che “In tema di accertamento tributario, i termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 per l’IRPEF e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57,, per l’IVA, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, incidano le modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015, il cui art. 1, comma 132, ha introdotto, peraltro, un regime transitorio che si occupa delle sole fattispecie non ricomprese nell’ambito applicativo del precedente regime transitorio – non oggetto di abrogazione – di cui al D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, comma 3, in virtù del quale la nuova disciplina non si applica nè agli avvisi notificati entro il 2 settembre 2015 nè agli inviti a comparire o ai processi verbali di constatazione conosciuti dal contribuente entro il 2 settembre 2015 e seguiti dalla notifica dell’atto recante la pretesa impositiva o sanzionatoria entro il 31 dicembre 2015″ (Cass. n. 26037/2016; conf. n. 11620 del 14/05/2018). 4. Orbene, a tali principi non si è uniformato il giudice d’ appello il quale – premessa la ritenuta insufficienza
istruttoria delle indicazioni, da parte dell’Ufficio, in ordine all’effettiva pendenza di un procedimento penale relativo ai rilievi oggetto dell’accertamento impugnato dalla contribuente -ha ritenuto non ricorrere l’ipotesi del raddoppio dei termini per la mancata prova dell’instaurazione di un procedimento penale e dell’oggetto di giudice di quest’ultimo, senza farsi carico di verificare se, come sostenuto dall’Ufficio, sussistesse l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p. in relazione ai fatti posti a fondamento dell’avviso di accertamento in discussione -cfr., in vicenda sovrapponibile a quella per cui è causa, pendente fra le medesime parti, cfr.Cass.n.27755/2021 ».
4.3. La C.T.R., nella pronuncia qui impugnata, appare aver travisato il principio di diritto contenuto nell’ordinanza sopra riportata, avendo inteso che l’applicabilità dell’istituto del raddoppio dei termini dovesse essere valutata esclusivamente in relazione al secondo avviso di accertamento, oggetto di impugnazione, senza tener conto della vicenda complessiva, che, con riguardo all’anno di imposta 2008, aveva visto l’emissione di un primo avviso di accertamento, basato sul P.V.C. del 2009, cui la contribuente aveva prestato acquiescenza, e di un secondo avviso di accertamento integrativo, basato sul P.V.C. del 2013, relativo al medesimo anno di imposta, nonostante l’esistenza di una tale limitazione del tema di indagine non possa invero desumersi dal contenuto dell’ordinanza di questa Corte sopra riportata.
4.4.Ed invero, la C.T.R, limitando l’indagine ad una parte soltanto della complessiva attività di controllo, che si era appunto articolata in due fasi distinte, ciascuna delle quali aveva dato origine ad un autonomo avviso di accertamento – il secondo scaturito dalle indagini bancarie svolte dalla Guardia di Finanza -, si è posta in contrasto con quanto dispone l’art. 43, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 57, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972, nel testo vigente ratione temporis , secondo cui l’accertamento può
essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell’Agenzia delle Entrate entro il termine (ordinario o raddoppiato).
5.Da ciò consegue che, una volta ritenuto operante l’istituto del raddoppio dei termini in relazione ai fatti contestati con il P.V.C. del 2009, secondo i parametri interpretativi fissati da questa Corte nell’ordinanza n. 23737/2022, il medesimo termine raddoppiato dovrà valere anche per gli eventuali ulteriori accertamenti integrativi relativi al medesimo anno di imposta (cfr. Cass. n. 5501/2022), purchè notificati, come in effetti è stato nel caso in esame, entro il 31.12.2017, a prescindere dalla sussistenza o meno di autonomi profili di responsabilità penale, poiché il termine raddoppiato si sostituisce una volta per tutte a quello originario.
6. Va pertanto affermato il seguente principio di diritto: in presenza dei presupposti per il raddoppio dei termini ex art. 43 del d.p.r. n. 600/73, nel testo vigente anteriormente alle modifiche introdotte con legge n. 208/2015, l’istituto opera anche in relazione agli eventuali accertamenti integrativi ex art. 43, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973 e 57, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972, relativi al medesimo anno di imposta, a prescindere dalla sussistenza o meno di autonomi profili di responsabilità penale.
7.Il ricorso va, pertanto, accolto per quanto di ragione e la sentenza impugnata cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame, nonché alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo
grado della Liguria affinchè, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame e provveda anche a regolare tra le parti le spese di lite del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 maggio 2025.