Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18489 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18489 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 08/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13790/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA-NAPOLI n. 5611/2020 depositata il 20/11/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/04/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Dalla sentenza in epigrafe si apprende quanto segue:
RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE &
impugnava l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, relativo al periodo d’imposta 2012 con il quale si intimava alla società il pagamento di € 24.848,49 (comprensivi di interessi e diritti di notifica) € 9.827,00 per imposte € 13.203,09 per sanzioni .
Il sig. COGNOME NOME impugnava a sua volta l’NUMERO_DOCUMENTO di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, con il quale l’Ufficio rettificava la dichiarazione NUMERO_DOCUMENTO, imputando a detto contribuente un maggior reddito di partecipazione .
Anche l’altra socia, la sig. RAGIONE_SOCIALE NOME impugnava l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO con il quale l’Ufficio, a seguito dell’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO della società , rettificava la dichiarazione NUMERO_DOCUMENTO della predetta contribuente .
La CTP di RAGIONE_SOCIALE, disposta la riunione dei ricorsi, con sentenza n. 838/01/16, emessa in data 06/07/2016 e depositata in data 19/09/2016, li rigettava, compensando le spese.
Società e soci proponevano distinti appelli.
3.1. La CTR della Campania, riuniti i ricorsi, con la sentenza in epigrafe, li rigettava sulla base, per quanto di rilievo, della seguente motivazione:
I giudici di primo grado, quanto alla eccezione di insussistenza RAGIONE_SOCIALE condizioni per procedere all’accertamento,
hanno correttamente osservato che “in merito alle rimanenze finali per l’anno di imposta 2012, per come dettagliatamente motivato nell’avviso di accertamento dall’Ufficio impositore, la società contribuente non ha fornito una ricostruzione idonea ed alternativa alle conclusioni cui è pervenuto l’Ufficio che ha, dunque, correttamente contestato volume di affari ed un maggior reddito. Parimenti, a fronte della contestata antieconomicità della gestione aziendale e RAGIONE_SOCIALE incoerenza e sproporzione tra i costi per l’approvvigionamento di materie prime, di consumo o di merci rispetto al volume dei connessi ricavi, tra l’altro, sistematiche nel tempo, nessuna prova contraria è stata offerta da parte ricorrente, idonea a chiarire le ragioni della evidenziata irragionevolezza. Tra l’altro, il riferimento alla crisi della società committente è generico ed insufficiente ad offrire la prova contraria necessaria a ‘vincere’ le presunzioni dell’Ufficio”.
Correttamente comunque i giudici della CTP hanno individuato nella fattispecie gli inequivoci e concordanti elementi indiziari, non contraddetti da significativi elementi di prova contraria da parte della società contribuente, legittimanti l’accertamento: ed invero l’accertamento emesso a carico della società RAGIONE_SOCIALE muove dal presupposto della inattendibilità RAGIONE_SOCIALE scritture contabili in conseguenza RAGIONE_SOCIALE evidenti (e non contestate) anomalie riscontrate dall’esame RAGIONE_SOCIALE rimanenze finali dell’esercizio 2012, già di per sé autonomamente sufficienti a giustificare la ricostruzione analitico-induttiva dei ricavi conseguiti dall’impresa ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d) del DPR n. 600/73.
A corroborare la inattendibilità sostanziale RAGIONE_SOCIALE scritture contabili, la motivazione dell’accertamento evidenziava anche
che il costo del venduto dichiarato dalla società era palesemente incongruente con i ricavi dichiarati dalla società, dimostrando l’antieconomicità della gestione aziendale della società sottoposta a controllo.
Pacificamente l’antieconomicità della gestione aziendale costituisce circostanza contrastante con i criteri della ragionevolezza e con i canoni dell’economia, tale da consentire all’Ufficio di dubitare della veridicità RAGIONE_SOCIALE operazioni dichiarate e di desumere maggiori ricavi effettuati in evasione d’imposta .
Quanto alla quantificazione dei maggiori ricavi, gli appellanti denunciano una presunta illegittimità dell’accertamento per violazione e falsa applicazione di legge, sia dell’articolo 39 commi 1 e 2 del DPR 600/73, sia dell’articolo 10, comma 3-bis, L. n. 146 del 08/05/1998, osservando che i maggiori ricavi accertati dall’Ufficio erano stati desunti per differenza tra ricavi risultanti dallo studio di settore presentato dalla parte e ricavi contabilizzati e dichiarati per il 2012.
Di contro l’accertamento in questione è un accertamento analitico-presuntivo emesso ai sensi dell’art. 39, co. 1 del DPR n. 600/73 stante l’inattendibilità sostanziale RAGIONE_SOCIALE scritture contabili, seppure nella motivazione dell’accertamento l’Ufficio aveva messo in evidenza anche le numerose anomalie rivenienti dalle risultanze dello studio di settore presentato dalla parte.
La finalità perseguita dallo studio è quella di determinare un “ricavo potenziale”, tenendo conto non solo RAGIONE_SOCIALE variabili contabili ma anche di variabili strutturali in grado di determinare il risultato economico dell’attività di impresa la quale, attraverso un processo di cluster analysis, viene
ricondotta a dei gruppi omogenei di appartenenza nei quali rientrano aziende con medesime caratteristiche strutturali.
E ai soli fini della ricostruzione presuntiva dei ricavi conseguiti dall’impresa l’Ufficio aveva ritenuto di poter utilmente fare riferimento alle risultanze “quantitative” dello studio di settore.
Questa osservazione consente di superare anche l’ulteriore doglianza degli appellanti che ribadiscono anche in questa sede l’illegittimità dell’accertamento per difetto del contraddittorio: invero il contraddittorio endoprocedimentale s’impone per gli accertamenti fondati sugli studi di settore, ma non quando l’accertamento è fondato sulla inattendibilità RAGIONE_SOCIALE scritture.
Posto che nel caso che occupa – come sopra rimarcato – il richiamo dello studio di settore, lungi dal costituire il presupposto giuridico e fattuale dell’accertamento, costituiva un mero parametro per la quantificazione dei maggiori ricavi di impresa, ogni questione afferente il rispetto RAGIONE_SOCIALE norme in tema di accertamento da studio di settore (i.e., articolo 10, comma 3-bis, L. 8.5.1998, n. 146) è del tutto inconferente.
Vale poi anche quanto correttamente osservato dai primi giudici, nel senso: “per costante giurisprudenza del Giudice di legittimità … ‘in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata esclusivamente per i tributi di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale ”.
Infine quanto alle sanzioni: non corretto è il rilievo che illegittimamente sarebbe stato operato il raddoppio RAGIONE_SOCIALE sanzioni: l’Ufficio ha applicato le sanzioni ex art. 12 d.lgvo 472/97, in considerazione della circostanza che le violazioni accertate riguardavano più tributi e commesse in un solo periodo di imposta.
Propongono i contribuenti ‘uno acto’ ricorso per cassazione con due motivi; resiste l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo si denuncia: ‘Violazione o falsa applicazione degli artt. 62/sexies D.L. nr. 331/93 nonché 10 commi 1 e 3/bis legge 146/1998, suscettibile di rilevare a mente dell’art. 360 comma 1 nr. 3 cpc’.
1.1. ‘Nel caso di specie, la pretesa azionata, trovando il suo ‘fondamento unico o, quantomeno, prevalente’ proprio nello studio di settore VG75U, imponeva, a pena di nullità, l’attivazione del contraddittorio preventivo ex art. 10 commi 1 e 3/bis legge 146/1998, atteso che l’antagonista Ufficio , pur disponendo di tutti gli elementi, ha evitato di procedere ad una determinazione analitico/induttiva del relativo volume di affari preferendo appiattirsi sulle risultanze dello stesso studio di settore’.
1.2. Il motivo è manifestamente infondato.
La CTR, nel riprendere la sentenza di primo grado e nell’ulteriormente argomentare sulla questione, è chiarissima nel rilevare che l’avviso di accertamento trova fondamento nella complessiva inattendibilità RAGIONE_SOCIALE scritture contabili, siccome evidenzianti un risultato di gestione antieconomico e perciò contrario alla logica d’impresa, con riferimento al quale i contribuenti non hanno offerto valide giustificazioni.
Ad avviso della CTR, i riferimenti contenuti negli avvisi agli studi di settore, per un verso, valgono a corroborare siffatte inattendibilità RAGIONE_SOCIALE scritture contabili ed antieconomicità dell’attività d’impresa, evidenziando scostamenti dall’applicazione dei parametri che restituiscono il quadro di un’impresa esercitata in regime di evasione, e, per altro verso, valgono a fornire i criteri più appropriati, anche in funzione della non contestata ‘cluster analisys’, per la determinazione dei maggiori imponibili, tenendo
conto sia, in generale, dell’ambito di riferimento, sia, in particolare, dei dati caratteristici riguardanti la società.
Tale completa, argomentata e logica ricostruzione degli avvisi compiuta dalla CTR -non efficacemente contrastata dal motivo, che, a fronte dei due suddetti centrali indici dell’inattendibilità e dell’antieconomicità, non oppone argomenti concreti per supportare l’affermazione secondo gli esiti dello studio di settore ‘rappresento l’unico o, quantomeno, il prevalente elemento su cui è stata fondata la pretesa azionata’ rende conto di un’attività accertativa riconducibile al paradigma dell’art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, rispetto alla quale l’analisi standardizzata opera in funzione ad un tempo di conferma degli indici stessi e di completamento della ricostruzione analiticoinduttiva dei ricavi, siccome poggiante sui dati dichiarati dalla società medesima, tuttavia suscettibili di rettifica in funzione, per appropriatezza e precisione, degli spettri parametrici.
Ne consegue -come correttamente ritenuto dalla CTR -la non dovutezza del contraddittorio preventivo, non essendo, giust’appunto, l’accertamento fondato sugli studi di settore.
Perspicuamente, ‘ad abundantiam’, la CTR richiama altresì la giurisprudenza di questa Suprema Corte in ordine alla necessità del contraddittorio preventivo solo con riguardo ai cd. tributi armonizzati.
Sul punto, per mera completezza, merita di osservare quanto segue.
Le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, con la sentenza n. 24823 del 09/12/2015, hanno chiarito che la rilevanza della mancata attivazione del contraddittorio va intesa ‘nel senso che l’effetto della nullità dell’accertamento si verifichi allorché, in sede giudiziale, risulti che il contraddittorio procedimentale, se vi fosse stato, non si sarebbe risolto in puro simulacro, ma avrebbe rivestito una sua ragion d’essere, consentendo al contribuente di addurre
elementi difensivi non del tutto vacui e, dunque, non puramente fittizi o strumentali’, sicché ‘non è sufficiente che, in giudizio, chi se ne dolga si limiti alla relativa formalistica eccezione, ma è, altresì, necessario che esso assolva l’onere di prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato , e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio) si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali l’ordinamento lo ha predisposto’. Talché, in definitiva, la violazione dell’obbligo del contradditorio endoprocedimentale, ove l’accertamento attenga a tributi armonizzati, ‘comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa’ (Sez. 5, n. 20436 del 19/07/2021, cit., Rv. 662002 -01).
Nella specie, non consta che i contribuenti abbiano – ancora nel ricorso per cassazione -dedotto od articolato, quale parte indefettibile della denuncia di violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale, le specifiche ragioni che, dinanzi all’Amministrazione, avrebbe potuto far valere, con conseguente possibile diverso esito del procedimento.
Infine, sotto ulteriore e di per se stesso decisivo profilo, mette conto di sottolineare come sia il medesimo ricorso per cassazione a rammentare che il procedimento amministrativo traeva origine dalla somministrazione alla società di un questionario (‘ L’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, in data 21/6/2016, notificava il questionario nr. NUMERO_DOCUMENTO 31NUMERO_DOCUMENTO con cui richiedeva ed otteneva la documentazione contabile relativa alt ‘anno d’imposta 2012’).
Sicché soccorre l’insegnamento di questa Suprema Corte secondo cui ‘le modalità di realizzazione del contraddittorio non sono a forma vincolata, essendo sufficiente (e necessario) che si realizzi in modo effettivo quali siano gli strumenti in concreto adottati, siano essi il ricorso a procedure partecipative o l’impiego di altri meccanismi finalizzati all’interlocuzione preventiva, come, ad esempio, l’inoltro di questionari, il riconoscimento dell’accesso agli atti ‘ (Sez. 5, n. 20436 del 14/04/2021, in motiv., par. 6.2, pp. 6 e 7).
Con il secondo motivo si denuncia: ‘Violazione o falsa applicazione dell’art. 9 commi 1 e 3 D.Lgs. 471/97, suscettibile di rilevare ai sensi dell’art. 360 comma 1 nr. 3 cpc’.
2.1. ‘L’RAGIONE_SOCIALE, alla pag. 13 dell’avviso di accertamento prodromico nr. NUMERO_DOCUMENTO , irrogava separatamente la sanzione minima di € 2.000,00 – in quanto relativa, a suo dire, ‘a violazioni per le quali non si applica il cumulo giuridico’ – sostenuta dalla seguente testuale motivazione: “IVA omessa o irregolare tenuta, conservazione, rifiuto di esibire dei registri di cui agli artt. 23/24/25/39 in caso di tributi diretti ed Iva evasi complessivamente superiori ad € 50.000.00 – a) art. 9 commi 1 e 3 D.Lgs. 471/97 – sanzione pecuniaria irrogata in misura doppia da € 2.000,00 ad € 16.000,00′. Nel caso di specie, dunque, diversamente da quanto ha ritenuto il Giudice ‘a quo’, l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE non ha mai evocato l’art. 12 D.Lgs. 472/97 (rubricato ‘concorso di violazioni e continuazione’), bensì unicamente l’art. 9 commi 1 e 3 D.Lgs. 471/97, precisando che la stessa sanzione di € 2.000,00 risultava irrogata separatamente in quanto relativa ‘a violazioni per le quali non si applica il cumulo giuridico”. Non sussistono i presupposti del raddoppio perché i tributi evasi non sono complessivamente superiori alla soglia di legge.
2.2. Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
È inammissibile, perché, in violazione dei principi di precisione ed autosufficienza, non riproduce la parte sanzionatoria dell’avviso di accertamento diretto alla società (non trascritto ‘in parte qua’ neppure alle pp. da 2 a 5 del ricorso), limitandosi ad estrapolare alcune parole, che però non consentono di riscostruire il complessivo trattamento sanzionatorio applicato: ciò -viepiù al cospetto della contestazione di cui al controricorso (p. 21: ‘Sono state irrogate sanzioni pecuniarie pari ad euro 11.203,65, risultanti dal cumulo giuridico, più favorevol al contribuente. Si precisa che non è stata applicata alcuna sanzione in misura doppia come si evince dal provvedimento di irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni amministrative’) di per sé impedisce materialmente alcuna delibazione della censura.
Anche a voler prescindere da quanto innanzi, il motivo, per come formulato, sarebbe comunque infondato.
La sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall’art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 471 del 1997 per l’ipotesi di base era (nella versione ‘ratione temporis’ applicabile) ‘da euro 1.032 ad euro 7.746’ .
Il comma 3 prevede (come prevedeva) il raddoppio ‘se vengono accertate evasioni dei tributi diretti e dell’imposta sul valore aggiunto complessivamente superiori, nell’esercizio, a euro 50.000’ (‘euro 51.645,69’ in allora) .
Ora, essendo stata irrogata, secondo i ricorrenti, la sanzione di euro 2.000, la medesima non è illegale, perché non viola la cornice edittale del comma 1 in relazione alla fattispecie di base assunta nel motivo come appropriata, senza che si pongano, e che in effetti siano mai state poste, questioni riguardanti la determinazione in concreto dell’entità in sé della sanzione, essendosi la discrezionalità dell’Amministrazione pur sempre attestata su un valore prossimo al minimo (così argomentando, ‘mutatis mutandis’, da Sez. 6 -5, n. 29046 del 11/11/2019, Rv. 656117 -01, secondo cui ‘le modifiche
di favore apportate dal d.lgs. n. 158 del 2015 non operano automaticamente nel giudizio di legittimità rendendo ‘sic et simpliciter’ illegale la sanzione irrogata, in assenza di una specifica deduzione in ordine all’applicabilità in concreto di una sanzione tributaria inferiore rispetto a quella irrogata, avuto riguardo alle particolari condizioni esistenti in fatto, alle modalità della condotta e agli altri elementi che possono influire sulla determinazione del minimo edittale’).
In definitiva, il ricorso va integralmente rigettato, con le statuizioni consequenziali come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti in solido a rifondere all’RAGIONE_SOCIALE le spese di lite, liquidate in euro 2.400,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 12 aprile 2024