Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5991 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5991 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26226/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
AUTOTRASPORTI COGNOME NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE, NOME
-intimati- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. SICILIA n. 1349/2016 depositata il 08/04/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/02/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con avviso di accertamento del 2011, formato su pvc del 2010, la contribuente soc. RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE, ora in liquidazione (già RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME) era attinta da avviso di accertamento con ripresa a tassazione a fini IRES ed IRAP sull’anno di imposta 2006 per operazioni inesistenti. La ripresa a tassazione si ribaltava sui soci NOME COGNOME e NOME COGNOME con avvisi di accertamento individuali.
Nello specifico, l’Ufficio rilevava che i rifornimenti degli automezzi avvenivano presso il più costoso distributore in centro città a Palermo piuttosto che presso il più economico impianto interno alla sede della società contribuente; altresì l’esposizione debitoria preso la proprietaria del distributore in centro a Palermo, società RAGIONE_SOCIALE era anormalmente consistente, mentre i pagamenti arrivavano tardi, tramite contanti o tramite assegni di forte importo.
Infine, la contabilità risultava alquanto irregolare poiché a fronte di rifornimenti attestati in una certa data, per la medesima data gli automezzi risultavano imbarcati su traghetti o impegnati a fare rifornimento in stazioni di servizio del Nord Italia, con orari e luoghi incompatibili con quanto attestato dalla società RAGIONE_SOCIALE
Il giudice di prossimità rigettava il ricorso, ma la sentenza era integralmente riformata in appello, con apprezzamento delle ragioni della parte contribuente.
Ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate affidandosi ad un unico motivo, mentre restano intimate le parti contribuenti.
CONSIDERATO
Viene proposto unico motivo di ricorso.
Con l’unico motivo di ricorso si propone censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura per violazione dell’articolo 39 del DPR numero 600 del 1973 in combinato disposto
con l’articolo 54 del DPR numero 633 del 1972, nonché degli articoli 2697, 2727 e 2729 del codice civile, oltre all’articolo quattro del d.P.R. numero 444 del 1997. Si propone altresì contestuale azione ai sensi dell’articolo 360 numero 4 del codice di procedura civile dell’articolo 116 del medesimo codice di rito, in combinato disposto con l’articolo 1, secondo comma, del decreto legislativo numero 546 del 1992.
In estrema sintesi si lamenta che a fronte delle precise contestazioni dell’Ufficio, capaci di generare inversione dell’onere della prova, il giudice d’appello abbia dato per ritenuto sufficienti le giustificazioni della parte contribuente.
1.1 Occorre premettere preliminarmente che per questa Corte è ammissibile il ricorso per cassazione il quale cumuli in un unico motivo le censure di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, n. 4 e n. 5, cod. proc. civ., allorché esso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. V, 11 aprile 2018, n. 8915), essendo sufficiente che la formulazione del motivo consenta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, sì da consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se essere fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass., S.U., 6 maggio 2015, n. 9100, in linea Cass. V. n. 14756/2020).
1.2. Un tanto precisato, il motivo non è fondato e non può essere accolto. In materia di operazioni inesistenti, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, «l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con quale cui il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorché di rilevante importo, è consentito, ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d) del d.P.R. del 29 settembre 1973, n. 600, pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacché la disposizione
presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata» (cfr. tra le molte Cass. V, n. 20060/2014). Egualmente, in materia di IVA, si è statuito che «l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d) , del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni» (Cass. V, n. 26036/2015; Cass. V, n. 25217/2018; Cass. V n. 27552/2018).
La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura, infatti, solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. (Cass. n. 17313 del 2020). Incombendo, invece, sul contribuente la prova contraria, la sentenza impugnata resta del tutto immune alle censure riguardanti la violazione delle norme sopra indicate.
Ed infatti, con ragionamento esente da censure, il collegio di secondo grado ha verificato la convenienza economica di fare rifornimento presso il distributore in centro città piuttosto che presso
il distributore interno all’azienda, per il quale sarebbe stato necessario dedicare del personale, pagare puntualmente il fornitore ed avere delle condizioni che, tutto compreso, le risultavano meno convenienti che non andare a rifornire gli automezzi in centro città.
1.3. Altresì, la modalità di rifornimento presso la ditta RAGIONE_SOCIALE aveva l’indubbio vantaggio di consentire una dilazione di pagamento che si concretizzava in un’anticipazione del credito, senza fare ricorso alle banche, mentre, con le commesse consistenti ordinate dalla società RAGIONE_SOCIALE, la società RAGIONE_SOCIALE riusciva ad ottenere degli sconti per economie di scala dalla sua fornitrice Q8, ottenendo degli indubbi vantaggi nelle condizioni di fornitura. Infine, il collegio di merito ha rilevato come le irregolarità nella fatturazione -per incompatibile compresenza degli automezzi in due luoghi distanti- riguardasse solo 16 fatture su oltre 1400. Trattasi di apprezzamenti di fatto, compendiati criticamente e valutati nel loro complesso con motivazione consequenziale, profili che esulano dal perimetro di cognizione di questa Suprema Corte di legittimità.
È appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (tra le tante: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610).
Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via
esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357).
Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).
In definitiva, il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Non vi è luogo a pronuncia sulle spese in assenza di attività difensiva della parte contribuente.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 20/02/2025.