Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2370 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2370 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10461/2018 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore , domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. VENEZIA n. 958/2017 depositata il 29/09/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/12/2024 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il contribuente NOME COGNOME non esponeva per gli anni di imposta 2007 e 2008 alcuna dichiarazione dei redditi, in quanto titolare di rendita da capitale che assolve gli oneri tributari alla fonte. Era destinatario di questionario da parte dell’Ufficio ai fini di chiarire la propria posizione fiscale. Ritenendo non esaustivi i chiarimenti offerti, l’Ufficio ricostruiva induttivamente il reddito con ripresa a tassazione per entrambi gli anni di imposta. Reagiva la parte contribuente, trovando apprezzamento avanti il giudice di prossimità, ma la sentenza era riformata in appello con conferma integrale dell’originaria ripresa a tassazione.
Avverso questa pronuncia propone ricorso per Cassazione la parte contribuente, affidandosi a tre strumenti di impugnazione, cui replica il Patrono erariale con tempestivo controricorso.
CONSIDERATO
Vengono proposti tre motivi di ricorso.
Con il primo motivo si prospetta censura i sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione dell’articolo 43 del DPR numero 600 del 1973. Nella sostanza si sostiene che il contribuente non fosse tenuto ad esporre alcuna dichiarazione dei redditi e che, di conseguenza, non era possibile una ricostruzione induttiva del reddito con ripresa a tassazione su proventi che già assolvono alla fonte i propri oneri fiscali.
Con il secondo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360 numero 4 del codice di procedura civile, protestando nullità della sentenza o del procedimento per mancata valutazione di una prova in violazione all’articolo 116 del codice di procedura civile. Nella sostanza si contesta che non sia stata apprezzata la documentazione bancaria attestante la movimentazione fra conti correnti nella
disponibilità del contribuente e quindi che non potevano essere considerati come incrementi patrimoniali.
Con il terzo motivo censura i sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione dell’articolo 43 del DPR numero 600 del 1973. Nello specifico si contesta sia stata apprezzata l’eccezione di nullità dell’atto impositivo perché sottoscritto da funzionario incompetente.
Il primo motivo non può essere accolto.
Non è in questione l’assolvimento degli oneri tributari dei redditi da capitale di cui beneficia la parte contribuente, ma va rimarcato che il solo fatto non sia stata presentata la denuncia dei redditi è circostanza che legittima l’Ufficio ad agire in via induttiva, peraltro dopo contraddittorio cartolare tramite questionario di cui vi è traccia negli atti di causa e che costituisce fatto non controverso.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. V, n. 1347/2019), «l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con quale cui il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorché di rilevante importo, è consentito, ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d) del d.P.R. del 29 settembre 1973, n. 600, pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacché la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata» (cfr. Cass. nn. 20060/2014; 20857/2007; cfr., altresì, Cass. nn. 9084/2017; 14428/2005; con riferimento specifico all’IVA, si veda, altresì, Cass. n. 7184/2009; 6800/2009; 21165/2005); è stato, infine, affermato che «in tema di prova civile conseguente ad accertamento tributario, gli elementi assunti a fonte di presunzione non debbono essere necessariamente plurimi – benché l’art. 2729, primo comma, cod. civ., l’art. 38, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e l’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 si esprimano al plurale
– potendosi il convincimento del Giudice fondare anche su un elemento unico, preciso e grave, la valutazione della cui rilevanza, peraltro, nell’ambito del processo logico applicato in concreto, non è sindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione adeguata e logicamente non contraddittoria» (cfr. Cass. nn. 656/2014; 17574/2009; 8484/2009).
In sintesi, l’Ufficio aveva il potere di agire in via induttiva in assenza di esposizione di redditi, come ha fatto, e quindi il primo motivo non può dunque essere accolto.
Neppure il secondo motivo può essere accolto. Vi si lamenta il mancato apprezzamento di documentazione bancaria offerta dalla parte contribuente e conseguente difetto di motivazione.
Il motivo è inammissibile prima ancora che infondato.
La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., IV, n. 8718/2005, n. 4842/2006, Cass. V, n. 5583/2011).
Non ricorre vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda (v. Cass., 18/5/1973, n. 1433; Cass., 28/6/1969, n.2355). Quando cioè la decisione adottata in contrasto con la
pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito (v. Cass., 21/10/1972, n. 3190; Cass., 17/3/1971, n. 748; Cass., 23/6/1967, n.1537). Secondo risalente insegnamento di questa Corte, al giudice di merito non può invero imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacché né l’una né l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non già di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì solo di quelle ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo. In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. V, n. 5583/2011). In ogni caso, ed in limine , devesi osservare come la sentenza in scrutinio, al §9.1.1., abbia rilevato che la documentazione offerta non è esaustiva, laddove dimostra la provenienza da un conto all’altro della medesima parte contribuente, con annotazioni a mano, ma non dimostra qua nto richiede l’art. 38 DPR n. 600/1973, cioè che le somme provenienti da altra provvista bancaria abbiano già assolto gli oneri tributari o siano state soggette a trattenuta alla fonte.
Il secondo motivo non può pertanto essere accolto.
Neppure il terzo motivo può trovare accoglimento. Vi si contesta la firma dell’atto impositivo da parte di funzionario incompetente.
Sul punto è intervenuta questa Suprema Corte di legittimità con orientamento ci deve essere data continuità, non rinvenendo ragioni per discostarsene. Ed infatti, la delega alla sottoscrizione dell’avviso
di accertamento conferita, ai sensi dell’art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, dal dirigente a un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente, avendo natura di delega di firma e non di funzioni, non richiede, per la sua validità, l’indicazione del nominativo del soggetto delegato, né del termine di validità, poiché tali elementi possono essere individuati anche mediante ordini di servizio, idonei a consentire ex post la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto (così, da ultimo, Cass. T., n. 21972/2024; in termini, e pluribus , Cass. V, n. 8814/2019).
Pertanto, il ricorso è infondato e deve essere rigettato, le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in €.settemilaottocento/00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 19/12/2024.