Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12687 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12687 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 125/2016 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME
-intimatoavverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA BASILICATA n. 366/3/15 depositata il 26 maggio 2015
Udita la relazione svolta nell ‘adunanza camerale de l 5 marzo 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE dell’RAGIONE_SOCIALE notificava a NOME COGNOME, titolare di un’impresa individuale esercente l’attività di commercio al dettaglio di biancheria, maglieria e camicie, un avviso di accertamento con il quale rideterminava in aumento il reddito d’impresa, il valore della
produzione netta e il volume d’affari da sottoporre a tassazione, rispettivamente, ai fini dell’IRPEF, dell’IRAP e dell’IVA in relazione all’anno 2008.
COGNOME NOME impugnava il predetto avviso di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, la quale, con sentenza n. 139/1/13 del 24 aprile 2013, accoglieva il suo ricorso, annullando l’atto impositivo.
La decisione veniva successivamente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale della Basilicata, che con sentenza n. 366/3/15 del 26 maggio 2015 respingeva l’appello proposto dalla parte erariale.
Osservava il giudice regionale: che l’accertamento fiscale si fondava esclusivamente sul rilevato scostamento fra il reddito dichiarato dal contribuente e quello risultante dall’applicazione degli studi di settore, non «correda (to) … con la verifica concreta della azienda» ; -che l’atto impositivo presentava persino «profili di nullità» , non essendo stato preceduto dalla notifica al contribuente dell’invito a comparire previsto dall’art. 5 del D. Lgs. n. 218 del 1997; che a torto le scritture contabili dell’impresa erano state ritenute inattendibili dall’ufficio accertatore a causa della mancata esibizione del dettaglio RAGIONE_SOCIALE giacenze iniziali e RAGIONE_SOCIALE rimanenze finali, essendo quella gestita dallo COGNOME una piccola azienda operante in regime di contabilità semplificata, obbligata unicamente alla tenuta dei registri IVA, e non anche del libro giornale e di quello degli inventari.
Avverso questa sentenza l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Lo COGNOME è rimasto intimato.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360,
comma 1, n. 4) c.p.c., sono denunciate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 600 del 1973.
1.1 Viene rimproverato alla CTR di aver omesso di pronunciare sul motivo di appello con il quale era stata censurata la decisione di primo grado per aver erroneamente affermato che l’accertamento tributario oggetto di causa si fondasse esclusivamente su studi di settore.
Si deduce, in proposito, che l’accertamento in questione, come ribadito con l’atto di appello, era stato, invece, condotto con metodo analitico-induttivo e si fondava sui risultati della verifica fiscale effettuata da funzionari dell’ufficio finanziario presso i locali dell’impresa, costituenti presunzioni gravi, precise e concordanti da cui poter evincere l’esistenza di attività non dichiarate; di qui la duplice conseguenza: (a)che non potevano trovare applicazione, nel caso di specie, i princìpi di diritto enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di accertamento mediante studi di settore; (b)che l’emissione dell’avviso di accertamento non doveva essere preceduta, a pena di nullità dell’atto, dall’instaurazione del contraddittorio con il contribuente.
Con il secondo motivo, proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., vengono lamentate la violazione e la falsa applicazione degli artt. 5 e 6 del D. Lgs. n. 218 del 1997.
2.1 Si contesta al giudice d’appello di aver a torto ritenuto che l’emissione dell’avviso di accertamento dovesse essere necessariamente preceduta dall’invio al contribuente dell’invito a comparire previsto dall’art. 5 del D. Lgs. n. 218 del 1997; e ciò in quanto detta norma, oltre a riferirsi esclusivamente agli accertamenti con adesione, non impone affatto all’Amministrazione un obbligo di convocazione dell’interessato da osservare a pena di nullità dell’atto impositivo successivamente adottato.
Oltretutto, nel caso di specie, il contraddittorio preventivo era stato
comunque assicurato dalla redazione del processo verbale di constatazione, contenente i rilievi dell’Ufficio avverso i quali il contribuente avrebbe potuto presentare eventuali osservazioni.
Con il terzo mezzo, anch’esso introdotto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è prospettata la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 15 e 18 del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 9 del D.L. n. 69 del 1989, convertito in L. n. 154 del 1989.
3.1 Si argomenta che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione regionale, anche le imprese minori ammesse al regime di contabilità semplificata sono tenute ad annotare le rimanenze finali.
Il primo motivo, a prescindere dalla configurazione formale della rubrica, non vincolante per la qualificazione del vizio denunciato (cfr. Cass. n. 11073/2023, Cass. n. 17298/2017, Cass. n. 7981/2007), deve essere inquadrato nello schema dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c. nella parte in cui lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 600 del 1973.
4.1 Tanto premesso, osserva la Corte che il profilo di censura propriamente riconducibile nell’alveo dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c. è infondato.
4.2 Per giurisprudenza di questa Corte, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto.
Tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità, pur in assenza di una specifica argomentazione (cfr. Cass. n. 14393/2021, Cass. n. 2151/2021, Cass. n. 22514/2020, Cass. n. 15255/2019, Cass. n. 10636/2007).
4.3 Nel caso di specie, la CTR non ha mancato di esaminare il
motivo con il quale l’RAGIONE_SOCIALE contestava di essersi limitata a un accertamento standardizzato sulla base di studi di settore, assumendo di aver invece proceduto ad attività di verifica presso i locali dell’impresa e di aver in questo modo raccolto una serie di indizi di evasione fiscale a carico del contribuente.
4.4 La censura è stata disattesa dal giudice d’appello, il quale ha ritenuto condivisibili le argomentazioni addotte a fondamento dell’impugnata decisione di primo grado, che qui di sèguito si riassumono:
(1)l’Ufficio aveva «fatto una applicazione automatica degli studi di settore» , non supportata da «elementi concreti relativi alla realtà aziendale che (ne) confortassero il risultato» ;
(2)al contribuente non era stato notificato «formale invito a comparire ex art. 5 D. Lgs. n. 218/97», onde «si appalesa (va) no finanche profili di nullità dell’atto impugnato» ;
(3)le scritture contabili esaminate in sede di verifica non potevano essere ritenute inattendibili «con riferimento alle rimanenze iniziali e finali» , in quanto quella gestita dallo NOME era un’ «azienda che opera (va) in regime di contabilità semplificata, tenuta soltanto ai Registri Iva ma non anche al libro giornale, al libro inventari, alle altre scritture del magazzino…» .
4.5 Appare, quindi, evidente come, sia pur con una motivazione estremamente concisa e non del tutto lineare, la Commissione regionale abbia statuito sul motivo di gravame in discorso, ribadendo quanto già affermato dal giudice di prime cure, e cioè che quello compiuto dall’Ufficio era un accertamento standardizzato ex art. 62sexies del D.L. n. 331 del 1993, convertito in L. n. 427 del 1993.
4.6 Tanto basta per escludere la sussistenza del denunciato «error in procedendo» .
4.7 Merita, invece, accoglimento la doglianza incentrata sull’asserita violazione o falsa applicazione dell’art. 39, comma 1,
lettera d), del D.P.R. n. 600 del 1973, riproposta con il secondo motivo, che per ragioni di connessione va esaminato congiuntamente ad essa.
4.8 Dalla lettura della sentenza impugnata (pag. 2, terzo, quarto e quinto periodo) si ricava che con l’atto di appello l’Amministrazione Finanziaria aveva dedotto:
-di non essersi «limitata (a) fare applicazione dello studio di settore» , ma di «av (er) proceduto anche con un accesso nei locali del contribuente, verificando anche la sussistenza di ulteriori elementi concreti: la mancata comunicazione alla Anagrafe Tributaria della esistenza di altro locale destinato allo svolgimento della attività, la mancata esibizione del dettaglio RAGIONE_SOCIALE rimanenze iniziali e finali all’1.1 e al 31.1 (2). 2008; la diversa indicazione dei dati rilevanti ai fini della applicazione degli studi di settore, nel senso che la dimensione dell’unica unità dichiarata veniva indicata in mq 75, anziché i reali 106» ;
-di aver evidenziato «la contraddittorietà dei dati riguardo al personale dipendente, uno nel Mod. NUMERO_DOCUMENTO, alcuno negli studi di settore e alcuno per il 2008, all’atto dell’accesso» ;
-di aver «rileva (to) numerose violazioni agli obblighi di emissione dello scontrino, nel periodo dal 2008 al 2010» .
4.9 A fronte RAGIONE_SOCIALE articolate prospettazioni difensive della parte appellante, la CTR ha apoditticamente affermato che da parte dell’RAGIONE_SOCIALE era stata «fatt (a) una applicazione automatica degli studi di settore, in sostanza della media convenzionale della redditività, tuttavia in mancanza di elementi concreti relativi alla realtà aziendale che confortassero il risultato dei predetti studi di settore» , soggiungendo che, «nella specie, l’Ufficio poteva senz’altro procedere ad accertamento induttivo, stante le rilevate incongruenze, anche riportate nell’atto di appello, ma avrebbe dovuto corredare l’accertamento con la verifica concreta della azienda, invece mancata» .
Ha, quindi, sottolineato che, «ai fini della rettifica del reddito, non sono sufficienti presunzioni semplici, ma è necessario che si pervenga con l’ausilio di elementi concreti, contabili ed extracontabili, a presunzioni gravi, precise e concordanti» .
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4.10 La decisione assunta dalla Commissione regionale risulta affetta dal denunciato «error in iudicand o » laddove, in palese contrasto con l’inequivoco tenore letterale dell’art. 39, comma 1, lettera d), ultimo periodo, del D.P.R. n. 600 del 1973, ha escluso che la rettifica del reddito con metodo analitico-induttivo possa basarsi su «presunzioni semplici» .
4.11 Fermo quanto precede, le asserzioni del giudice tributario d’appello, nella loro astrattezza e genericità, non giustificano sul piano logico-giuridico la soluzione adottata.
4.12 Invero, prima di concludere nel senso che l’atto impositivo impugnato si fondasse sulla pura e semplice applicazione di studi di settore, la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto:
(a)appurare se nell’avviso di accertamento la rettifica del reddito d’impresa, del valore della produzione netta e del volume d’affari relativi al periodo d’imposta in esame fosse stata motivata in ragione della ritenuta incompletezza, falsità o inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione, risultante dall’ispezione RAGIONE_SOCIALE scritture contabili o da altre verifiche condotte dall’Ufficio ai sensi dell’art. 33 del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 52 del D.P.R. n. 633 del 1972;
(b)nell’ipotesi affermativa, valutare le presunzioni semplici poste a sostegno dell’accertamento tributario, spiegando perché, eventualmente, le stesse non potessero considerarsi gravi, precise e concordanti, secondo quanto richiesto dall’art. 39, comma 1, lettera d), ultimo periodo, del D.P.R. n. 600 del 1973 e dall’art. 54, comma 2, ultimo periodo, del D.P.R. n. 633 del 1972.
4.13 Solamente in caso di constatata indipendenza della rettifica del reddito dall’analisi dei risultati RAGIONE_SOCIALE scritture contabili si sarebbe
potuto fondatamente affermare che l’Amministrazione aveva fatto ricorso al metodo standardizzato costituito dagli studi di settore, il quale proprio in ciò si differenzia dalla procedura di accertamento di cui all’art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 600 del 1973, non collocandosi all’interno della stessa, ma affiancandola (cfr. Cass. n. 33340/2019, Cass. n. 2479/2017, Cass. n. 15323/2015, Cass. n. 9359/2015).
4.14 A una simile indagine si è però sottratto il RAGIONE_SOCIALE di secondo grado, il quale ha errato nella ricerca e nell’interpretazione della norma regolatrice del caso concreto, in tal modo incorrendo nella dedotta violazione di legge.
4.15 Si impone, pertanto, «in parte qua» , la cassazione della sentenza gravata.
L’ulteriore profilo di censura sviluppato nel contesto del secondo motivo, con il quale viene dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 5 e 6 del D. Lgs. n. 218 del 1997, rimane assorbito -per la parte di accertamento concerne nte l’IRPEF e l’IRAP, tributi cd. «non armonizzati»dall’accoglimento della doglianza prospettante la violazione o falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 600 del 1973.
5.1 Occorre, al riguardo, tener presente che la notifica dell’invito a comparire al contribuente costituisce un adempimento necessario in caso di accertamento standardizzato basato su studi di settore, stante il rinvio all’art. 5 del D. Lgs. n. 218 del 1997 operato dall’art. 10, comma 3bis , della L. n. 146 del 1998, ma non anche nell’ipotesi di accertamento analitico -induttivo, in cui, non risultando specificamente sancito un obbligo siffatto, l’instaurazione del contraddittorio preventivo ad opera del Fisco è del tutto facoltativa; tanto più che, ai sensi dell’art. 6, comma 2, del medesimo decreto, il contribuente può sempre attivare il procedimento di definizione con adesione quando abbia ricevuto un avviso di accertamento o di rettifica non preceduto da tale invito
(cfr. Cass. n. 957/2019, Cass. n. 444/2015).
5.2 Ne discende che soltanto una volta riesaminata, in sede di rinvio, la questione relativa al metodo di accertamento (analiticoinduttivo o standardizzato mediante studi di settore) utilizzato dall’Ufficio, potrà valutarsi se la notifica dell’invito a comparire di cui all’art. 5 del D. Lgs. n. 218 del 1997 fosse o meno necessaria.
5.3 Per quanto, invece, attiene a ll’IVA, rientrante fra i tributi cd. «armonizzati», cioè soggetti alla diretta applicazione della normativa unionale, se è vero che sussiste, in capo all’Amministrazione che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, è nondimeno vero che la violazione di tale obbligo comporta l’invalidità dell’atto soltanto ove il contribuente medesimo enunci in giudizio le ragioni che in concreto avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e sempre che l’opposizione di dette ragioni, valutate «ora per allora», si riveli non puramente pretestuosa (cfr. Cass. Sez. Un. n. 24823/2015).
5.4 Alla luce del surriferito principio di diritto, la CTR era anzitutto tenuta ad accertare se lo NOME avesse assolto l’onere deduttivo posto a suo carico, e quindi a valutare se le argomentazioni difensive da lui eventualmente addotte fossero da considerare non pretestuose al momento del mancato contraddittorio preventivo, soltanto in caso di esito positivo di tale verifica potendo ritenersi configurabile la nulli tà dell’atto impositivo limitatamente ai rilievi in materia di IVA.
5.5 Non avendo a tanto provveduto, essa è incorsa, per questa parte, nell’errore di diritto denunciato dalla ricorrente.
Il terzo motivo è ugualmente fondato.
6.1 L’art. 9, comma 1, lettera b), del D.L. n. 69 del 1989, convertito in L. n. 154 del 1989, così recita: «I soggetti che, ai fini della determinazione del reddito di impresa, sono ammessi al
regime di contabilità semplificata e che non hanno optato per il regime ordinario devono annotare nei registri tenuti ai sensi dell ‘ articolo 18 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600: …entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione, le annotazioni rilevanti ai fini della determinazione del reddito nonché il valore RAGIONE_SOCIALE rimanenze, indicando distintamente per queste ultime le quantità e i valori per singole categorie di beni, in giacenza alla fine dell’esercizio, previste dagli articoli 59 e 61 del testo unico RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 , con l’indicazione dei criteri seguiti per la valutazione; la distinta indicazione RAGIONE_SOCIALE quantità e dei valori, nonché dei criteri di valutazione, può essere effettuata, entro il medesimo termine, in apposito prospetto di dettaglio».
6.2 L’art. 18, comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973, nel testo, applicabile ratione temporis , vigente anteriormente alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 22, della L. n. 232 del 2016, stabilisce, inoltre, che i soggetti fruenti dell’esonero dall’obbligo di tenuta RAGIONE_SOCIALE scritture contabili previste dal codice civile, «entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione annuale, indicano nel registro degli acquisti tenuto ai fini dell’imposta sul valore aggiunto il valore RAGIONE_SOCIALE rimanenze».
6.3 Dal chiaro tenore letterale RAGIONE_SOCIALE norme sopra trascritte si ricava che anche le imprese minori ammesse al regime di contabilità semplificata -quale deve essere ritenuta quella gestita dallo COGNOME, secondo l’accertamento in fatto compiuto dalla CTR – sono obbligate ad annotare il valore RAGIONE_SOCIALE rimanenze finali di esercizio (cfr. Cass. n. 29105/2018, Cass. n. 9946/2003, Cass. n. 15863/2001).
6.4 La contraria affermazione fatta sul punto dal RAGIONE_SOCIALE regionale risulta, pertanto, giuridicamente erronea.
Sulla scorta di quanto precede, va disposta, ai sensi dell’art. 384, comma 2, prima parte, c.p.c., la cassazione dell’impugnata sentenza, in relazione alle censure accolte, con rinvio alla Corte di
giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata, in diversa composizione, la quale procederà a un nuovo esame della controversia uniformandosi ai princìpi di diritto sopra espressi.
7.1 Al giudice del rinvio viene rimessa anche la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità, a norma dell’art. 385, comma 3, seconda parte, c.p.c..
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, nei limiti precisati in motivazione; cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione