Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16900 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16900 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18604/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difensa dell’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAILavvocatutastatoEMAIL), presso cui è elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
Oggetto
: TRIBUTI –
IVA – accertamento
induttivo
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione , in persona del curatore legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso, per procura speciale in atti, dal prof. avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 796/14/2022 della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA, depositata in data 18/01/2022; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24 aprile 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
La controversia ha ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2013 avente ad oggetto il recupero a tassazione dell’IVA relativa ad operazioni non dichiarate nella citata annualità e al recupero a tassazione dell’IVA indebitamente detratta dalla società nel medesimo anno di imposta. La CTP di Napoli accoglieva il ricorso della società contribuente. Con la sentenza in epigrafe indicata la CTR della Campania rigettava l’appello dell’Agenzia delle Entrate. Il giudice di appello confermava la decisione di primo grado nella parte in cui riteneva insussistenti i presupposti legittimanti l’accertamento induttivo sostenendo che, in materia IVA, l’art. 55 del d.P.R. n. 633 del 1972 non consente di procedere ad accertamento induttivo in caso di mancato riscontro all’invito dell’Amministrazione finanziaria.
Avverso tale statuizione l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui replica la società contribuente con controricorso.
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale, dott. NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Considerato che:
Con il primo mezzo l’Agenzia delle Entrate deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la «Violazione e falsa applicazione degli artt. 32 commi 3, 4 e 5 e 39, co.2 lett. d-bis) DPR 600/73, 51 e 52 co.5, 55, co.2 DPR n. 633/72» per avere il giudice d’appello ritenuto inapplicabile, al caso di specie, il metodo induttivo sull’assunto che non ne ricorressero i presupposti applicativi.
1.1. Il motivo è fondato e va accolto.
1.2. In materia di IVA, l’art. 55, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972 prevede, per le parti qui di interesse, che « Se il contribuente non ha presentato la dichiarazione annuale l’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto può procedere in ogni caso all’accertamento dell’imposta dovuta indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità. In tal caso l’ammontare imponibile complessivo e l’aliquota applicabile sono determinati induttivamente sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’ufficio», e, al secondo comma, che « Le disposizioni stesse si applicano, in deroga alle disposizioni dell’art. 54, anche nelle seguenti ipotesi: 1) quando risulta, attraverso il verbale di ispezione redatto ai sensi dell’art. 52, che il contribuente non ha tenuto, ha rifiutato di esibire o ha comunque sottratto all’ispezione i registri previsti dal presente decreto e le altre scritture contabili obbligatorie a norma del primo comma dell’art. 2214 del codice civile e delle leggi in materia di imposte sui redditi, o anche soltanto alcuni di tali registri e scritture; 2) quando dal verbale di ispezione risulta che il contribuente non ha emesso le fatture per una parte rilevante delle operazioni ovvero non ha conservato, ha rifiutato di esibire o ha comunque sottratto all’ispezione, totalmente o per una parte rilevante, le fatture emesse; 3) quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni o
annotazioni accertate ai sensi dell’art. 54, ovvero le irregolarità formali dei registri e delle altre scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione, sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibile la contabilità del contribuente».
1.3. Sulla base delle predette disposizioni deve osservarsi che i l richiamo compiuto dal legislatore nell’art. 55 cit. al verbale ispettivo ha il solo fine di individuare il documento in cui si dà atto della mancata esibizione da parte del contribuente degli atti e documenti richiesti dall’Amministrazione; mancata esibizione che è il fondamento e la ratio dell’accertamento induttivo disciplinato dalla norma (Cass n. 19871/2012) e che nella fattispecie è circostanza incontroversa. L’art. 55 cit., infatti, non esige che il riscontro di un tale presupposto (mancata esibizione di atti e documenti) debba necessariamente derivare da una ispezione o verifica presso il contribuente, ben potendo emergere anche da altri elementi (cfr. Cass. n. 20436/2021).
1.4. A ciò aggiungasi che nell’esercizio dei poteri di controllo di cui all’art. 51, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, l’amministrazione finanziaria può, ai sensi del comma 2, n. 4, della medesima disposizione, «invitare qualsiasi soggetto ad esibire o trasmettere, anche in copia fotostatica, documenti e fatture relativi a determinate cessioni di beni o prestazioni di servizi ricevute ed a fornire ogni informazione relativa alle operazioni stesse», da utilizzare ai fini dell’accertamento. Ed infatti, l’art. 54, comma 5, del citato d.P.R. prevede che «qualora dalle attività istruttorie di cui all’articolo 51, secondo comma, numeri da 1) a 4), risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di corrispettivi o di imposta in tutto o in parte non dichiarati o di detrazioni in tutto o in parte non spettanti, può limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, l’imposta o la maggiore imposta dovuta o il minor credito spettante, nonché l’imposta o la maggiore imposta non versata ».
1.5. A quanto fin qui detto deve aggiungersi che i giudici di appello non si sono neppure avveduti che nella specie l’amministrazione finanziaria poteva procedere ad accertamento induttivo ai sensi dell’art. 55, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972 in quanto la società contribuente non aveva presentato alcuna valida dichiarazione reddituale, tale non potendosi considerare una «dichiarazione ‘in bianco’» che la stessa controricorrente dà atto di aver presentato (cfr. nota 1, pagg. 2 e 3, nonché nota 6, pagg. 9 e 10 del controricorso). Invero, la presentazione di una dichiarazione ‘in bianco’ costituisce omessa presentazione della dichiarazione sicché una eventuale successiva dichiarazione che, come nella specie, venga successivamente presentata, non costituisce dichiarazione ‘integrativa’ della prima (da ritenersi omessa) ma va considerata come ‘prima’ dichiarazione che, essendo stata presentata ben oltre i termini, è da ritenersi omessa. E ciò legittimava l’amministrazione finanziaria «a procedere in ogni caso all’accertamento dell’imposta dovuta indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità» (art. 55, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972).
Con il secondo motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la «Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 19 DPR n.633/1972 e 2697 c.c.» per non avere la CTR negato la detrazione IVA in ragione dell’inesistenza di utile documentazione dimostrativa della sussistenza del relativo diritto.
2.1. Il motivo, diversamente da quanto sostenuto dalla controricorrente, è ammissibile.
2.2. Al riguardo deve osservarsi che i giudici di appello, annullando l’avviso di accertamento sul presupposto (che, esaminando il primo motivo di ricorso, si è detto essere errato) che l’amministrazione finanziaria non poteva procedere ad accertamento induttivo, ha
sostanzialmente accordato alla società contribuente la detrazione dell’IVA su fatture passive pur in assenza di queste ultime.
2.3. Pertanto, il motivo, che censura un evidente error in iudicando , non attiene alla valutazione della prova ma all’erronea applicazione delle disposizioni in materia di detrazione, così come interpretate da questa Corte, ed è specifico, non essendo all’uopo necessario la trascrizione del contenuto dell’avviso di accertamento, che tale detrazione escludeva, e che, come tale, individuava esattamente la pretesa erariale, mai abbandonata.
2.4. Preliminarmente va esaminata l’eccezione di giudicato che la controricorrente formula nel controricorso con riferimento alla sentenza della CTR della Campania n. 3788/2019, che è divenuta definitiva a seguito del rigetto con ordinanza di questa Corte n. 27943/2021, del ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle entrate.
2.5. Nella parte relativa allo svolgimento del processo nella sopra citata ordinanza di questa Corte si legge: « la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte contribuente avverso la cartella di pagamento con la quale, all’esito di un controllo, non veniva riconosciuto un credito IVA che sarebbe stato maturato nell’anno 2013: in particolare l’Agenzia affermava che, poiché la società aveva omesso due dichiarazioni IVA consecutive, sarebbe stata preclusa alla stessa la possibilità di chiedere il rimborso sulla base di una dichiarazione integrativa; la Commissione Tributaria Regionale rigettava l’appello dell’Agenzia delle entrate affermando che i giudici di primo grado avevano adeguatamente motivato in ordine all’effettiva esistenza del credito IVA sulla scorta dell’ampia documentazione allegata agli atti del giudizio: non soltanto il modello IVA 2014 (per l’anno 2013) ma anche i registri IVA e le liquidazioni periodiche degli anni 2013 e 2014, documentazione non contestata dall’Ufficio, che si era limitato ad
affermare che l’inesistenza del credito IVA vantato dalla contribuente sarebbe stata provata tramite le dichiarazioni degli anni antecedenti che evidenziavano una posta debitoria e non a credito per VIVA. Argomentazione, questa, non condivisa dalla Commissione Tributaria Regionale, secondo cui atteso che il credito per IVA sorge, come prevede la legge, dalla liquidazione delle operazioni soggette ad IVA effettuate in uno specifico anno di imposizione senza che possa assumere alcuna rilevanza la circostanza che in un altro anno il contribuente fosse tenuto al pagamento dell’IVA a debito, cosicché i giudici di primo grado non avevano affatto omesso la valutazione della documentazione allegata dall’Ufficio, ma l’avevano correttamente ritenuta inconferente proprio perché relativa ad anni antecedenti e diversi da quello per cui è causa. Parimenti infondata era la doglianza con la quale l’Agenzia lamentava che la società avrebbe perso il diritto alla detrazione in quanto la stessa aveva omesso due dichiarazioni IVA consecutive dal momento che il curatore fallimentare, in data 30 settembre 2014, aveva trasmesso il modello IVA 2014 (relativo all’anno 2013) compilando inizialmente solo il quadro VA con codice attività e, in data, 21 settembre del 2015, inviava il modello IVA 2014 – anno 2013 integrativo, dal quale emergeva il credito IVA di 564.802,00 euro. Doveva dunque escludersi che si vertesse nell’ipotesi di due dichiarazioni omesse atteso che la cd. dichiarazione in bianco era stata successivamente integrata dalla curatela ».
2.6. Emerge, quindi, con evidenza che i giudici di merito avevano riconosciuto il credito IVA soltanto sulla base della documentazione cantabile e fiscale, ovvero « sulla scorta dell’ampia documentazione allegata agli atti del giudizio: non soltanto il modello IVA 2014 (per l’anno 2013) ma anche i registri IVA e le liquidazioni periodiche degli anni 2013 e 2014 », senza alcuna verifica dell’esistenza delle fatture passive da cui scaturiva il credito d’imposta, con la conseguenza che
non può nella specie ritenersi operante l’effetto espansivo del giudicato esterno rappresentato dalla sentenza della CTR della Campania n. 3788/2019, sopra citata.
2.7. Il motivo, che va quindi esaminato nel merito, è fondato e va accolto.
2.8. Invero, la CTR non poteva sottrarsi, anche una volta annullato l’avviso di accertamento, dall’accertare l’esistenza di un credito IVA da portare in detrazione, a fronte della contestazione dell’amministrazione finanziaria, verificando non solo la regolarità delle annotazioni contabili, ma anche e soprattutto l’esistenza delle fatture passive da cui scaturiva il credito portato in detrazione.
2.9. Al riguardo, premesso che «In materia di IVA, il diritto del cessionario di beni alla detrazione di cui all’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972 si fonda sull’esatto adempimento degli obblighi di fatturazione e di registrazione di cui agli artt. 21, 23, 24 e 25 del citato d.P .R. secondo i quali il cedente deve emettere la fattura per l’operazione imponibile, annotarla nel registro delle fatture e trasmetterne copia, con addebito del tributo, al cessionario, il quale deve a sua volta annotarla nel registro degli acquisti » (Cass. n. 23280/2018), è orientamento giurisprudenziale consolidato in materia quello secondo cui «In tema di IVA, la detrazione dell’imposta pagata per l’acquisizione di beni o servizi inerenti all’esercizio dell’impresa è subordinata, in caso di contestazione da parte dell’Ufficio, alla relativa prova, che dev’essere fornita dal contribuente mediante la produzione delle fatture e del registro in cui vanno annotate», salvo i casi in cui il contribuente provi l’incolpevole impossibilità di produrre tali documenti e di non essere neppure in grado di acquisire copia delle fatture presso i fornitori dei beni o dei servizi (Cass. 5182/2011; v. anche Cass. n. 2935/2015; n. 9611/2017).
A tali principi la sentenza impugnata non si è attenuta discendendone conseguentemente, in accoglimento del motivo di ricorso in esame nonché degli altri sopra esaminati, la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado territorialmente competente perché provveda agli accertamenti fattuali del caso e alla regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 24 aprile 2025