Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3376 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3376 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26057/2016 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimati-
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende
-resistente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. PESCARA n. 333/2016 depositata il 04/04/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/01/2024 dal Co: COGNOME NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il contribuente NOME COGNOME svolge attività di taxista nella piazza di Pescara ed era attinto da avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2007 secondo il sistema degli studi di settore, nonché per attività antieconomica reiterata.
Insorgeva avanti il giudice di prossimità, nelle more ottenendo una rimodulazione da parte dello stesso Ufficio. Per contro, l’impianto accertativo -basato tanto sugli studi di settore quanto sul criterio induttivo per l’accertata antieconomicità- veniva confermato in grado d’appello, donde spicca ricorso la parte contribuente affidandosi a due motivi, mentre si riserva di spiegare difese in udienza il patrono erariale.
In prossimità dell’adunanza, la parte contribuente ha depositato memoria ad illustrazione delle proprie ragioni.
CONSIDERATO
Vengono proposti due mezzi di ricorso.
Con il primo si prospetta censura ex articolo 360 numero 3 codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 stesso codice, nonché nel combinato disposto dell’articolo 39, secondo comma, la lettera d) e dell’articolo 41 bis del DPR numero 600 del 1973 ed altresì degli studi di settore di categoria del 2007. Nella sostanza si critica la sentenza in scrutinio per aver ritenuto semplicisticamente applicabili le ricostruzioni di cui allo strumento dello studio di settore per risultare la parte contribuente non congrua relativamente a uno solo dei valori.
Altresì, viene criticata la sentenza per non aver considerato i percorsi casa-lavoro ove il taxi percorre dei chilometri, ma senza corrispettivo. Infine, si lamenta errore di calcolo altresì in rapporto ai criteri, comunque errati, adottati dall’Ufficio.
Con il secondo motivo si prospetta censura ex articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione falsa applicazione dell’articolo 112 dello stesso codice, nonché per il combinato disposto dell’articolo 39, secondo comma, lettera d) e dell’articolo 41 bis del DPR numero 600 del 1973 sotto diverso profilo, nonché censura ex articolo 360 numero 5 codice di procedura civile, per omesso esame nonché omessa insufficiente contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia.
Nella sostanza si lamenta che il collegio abbia giudicato su presunzioni dichiaratamente semplici, che non abbia ritenuto in considerazione le contro-dimostrazioni offerte dalla parte contribuente, tralasciando quindi l’esame di fatti decisivi.
I due motivi possono essere trattati congiuntamente e sono infondati.
Non è contestato che l’accertamento siasi fondato altresì sul sistema induttivo della reiterata conduzione antieconomica dell’attività (cfr. sentenza impugnata, pag. 2, secondo paragrafo della motivazione).
Secondo questa Corte, «La procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente (che può tuttavia, restare inerte assumendo le conseguenze, sul piano della valutazione, di questo suo
atteggiamento), esito che, essendo alla fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, deve far parte (e condiziona la congruità) della motivazione dell’accertamento, nella quale vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell’attività accertativa siano stati disattesi. Il contribuente ha, nel giudizio relativo all’impugnazione dell’atto di accertamento, la più ampia facoltà di prova, anche a mezzo di presunzioni semplici, ed il giudice può liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, che deve essere dimostrata dall’ente impositore, quanto la controprova sul punto offerta dal contribuente.» (Cass. sez. un. 18/12/2009, n. 26635). In tale sede, invero, è il contribuente che ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards» (così Cass. VI-5, n. 13056/2012 che riprende Cass. n. 10778/2011, recentemente Cass. V, n. 13908/2018).
La mancata partecipazione al contraddittorio del contribuente, regolarmente invitato, giustifica l’Amministrazione a fondare il proprio convincimento sugli scostamenti del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore, salva la facoltà del contribuente di dimostrarne l’infondatezza in sede contenziosa e con ogni mezzo (cfr. Cass. V., n. 27617/2018 n. 24330/2019).
Altresì, per altro verso, secondo la giurisprudenza di questa Corte l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi dell’ art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600/1973 e dell’ art. 54, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633/1972, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente, utilizzando le
incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni. Gli elementi assunti a fonte di presunzione, peraltro, non devono essere necessariamente plurimi, potendosi il convincimento del giudice fondare anche su di un elemento unico, purché preciso e grave, la cui valutazione non è sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata (Cass. V, n. 26036/2015; Cass. V, n. 25217/2018; Cass. V, n. 27552/2018).
L’esame della sentenza in scrutinio dimostra un bilanciamento del diverso apporto probatorio dell’Ufficio e del contribuente, con un apprezzamento di prevalenza congruamente motivato che non è sindacabile avanti questa Suprema Corte di legittimità.
È appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (tra le tante: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610).
Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute
maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357).
Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).
Per completezza argomentativa, quanto alla denuncia di vizio di motivazione, poiché è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360, comma primo, n. 5) c.p.c. la cui riformulazione, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez.Un. 7 aprile 2014 n. 8053).
Giudice del fatto processuale, l’analisi della sentenza in scrutinio porta a concludere per un esame dei fatti e del diverso apporto probatorio delle parti, con percorso argomentativo ben individuabile che la collocano ben al di sopra del descritto ‘minimo costituzionale’ entro cui solo può esplicarsi il potere caducatorio affidato a questa Corte.
Pertanto, il ricorso è infondato e deve essere rigettato. Non vi è luogo a liquidazione delle spese per la sostanziale assenza di attività difensiva dell’Ufficio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 25/01/2024.