Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11338 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11338 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 30/04/2025
Società-Accertamento induttivo-Indagini bancarie
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19543/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura in calce al ricorso, elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche n. 52/2016, depositata in data 26/01/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6/02/2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La CTR delle Marche accoglieva in parte l’appello d ella società RAGIONE_SOCIALE, esercente la gestione di uno stabilimento balneare, contro la sentenza che aveva rigettato il suo ricorso contro l’ avviso di accertamento n. TQ303T400646/2012 emesso per Iva e Irap in relazione alla parte dell’ anno di imposta 2007 successiva alla trasformazione della società RAGIONE_SOCIALE ; l’accertamento, per quanto ancora rileva in questo giudizio, traeva origine dalla ricostruzione induttiva dei ricavi (operata in base ai dati obbiettivi riscontrati nella verifica, relativi al vino venduto, al caffè consumato, ai tovaglioli e agli ombrelloni utilizzati) i cui risultati erano però assorbiti dalle risultanze delle indagini bancarie sui conti correnti dei soci.
In particolare, i giudici dell’appello accoglievano l’appello solo nella parte relativa alla ripresa di alcuni costi di ammortamento mentre lo rigettavano in relazione alle altre riprese, ritenendo:
legittimo il ricorso all’accertamento induttivo, in conseguenza dell’omessa sottoscrizione delle sc ritture contabili, in particolare il libro inventari;
legittimo l’accesso breve e che la parte era stata messa in condizione di esercitare il contraddittorio;
non pertinente il rilievo difensivo relativo agli studi di settore in quanto l’accertamento era induttivo e il maggio r reddito era stato rideterminato sulla base delle movimentazioni bancarie;
che la ricostruzione del volume del ricavato era corretta ed era stata censurata solo in relazione alla percentuale dello scarto per i prodotti a base di pesce, circostanza per la quale l’operato dell’ufficio appariva invece corretto;
che, comunque, i ricavi ricostruiti erano assorbiti dal maggior reddito accertato in base alle indagini bancarie;
che, in relazione a queste ultime, legittima era l ‘ imputazione alla società degli esiti degli accertamenti svolti sui conti correnti dei soci, data la ri strettissima base sociale e l’assenza di redditi personali, operando quindi le presunzioni legali e non avendo il contribuente fornito prova contraria; non era infatti provata la circostanza che le somme versate avessero origine nella caparra incamerata dal promittente acquirente del ristorante;
che non potessero essere riconosciuti maggiori costi, che il contribuente non aveva provato.
Contro tale decisione propone ricorso per cassazione la società, in base a quattro motivi.
L’ Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 6/02/2025, per la quale la ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, proposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 39 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 54 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e 2729 cod. civ., per la irragionevole applicazione del metodo induttivo; deduce infatti che la mera mancanza della firma sul libro inventari non legittimasse il ricorso al metodo induttivo, non costituendo una violazione di gravità tale da inficiare l ‘ attendibilità dell ‘ intera contabilità.
Nella parte finale del motivo censura altresì la motivazione apparente della parte della sentenza in cui la CTR ha ritenuto valida la percentuale di scarto del pesce uti lizzata dall’ufficio, in base alla considerazione che si tratti di pesce congelato.
1.1. Il motivo, nella sua censura principale, relativa alla dedotta insussistenza dei presupposti dell’accertamento induttivo, che trova corrispondenza nelle norme la cui violazione è indicata nella rubrica, è infondato.
L ‘art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973, rimanda alle scritture contabili obbligatorie di cui all’art. 14 del medesimo testo normativo, tra cui il libro degli inventari; questa Corte (Cass. 14/02/2003, n. 2250) ha già affermato il condivisibile principio, che occorre ribadire, per cui in tema di accertamento del reddito d’impresa, l’omessa sottoscrizione delle scritture contabili (nella specie, schede contabili obbligatorie) non costituisce una mera irregolarità, bensì equivale alla inesistenza giuridica delle scritture stesse, con esclusione, pertanto, della loro attendibilità e conseguente legittimità del ricorso, da parte dell’amministrazione finanziaria, all’accertamento induttivo, ai sensi dell’art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973.
Inoltre, come emerge dalla sentenza e dallo stesso avviso di accertamento integralmente trascritto dalla difesa erariale, la ricostruzione del maggior reddito della società è avvenuta in base alle risultanze delle indagini finanziarie sui conti correnti dei due soci ritenuti riconducibili, in assenza di altri redditi, alla società, e quindi in base a presunzioni legali e non in base alle presunzioni semplici proprie dell’accertamento induttivo.
L ‘ulteriore censura, invero appena abbozzata nella parte finale dell’esposizione del motivo, con cui si deduce l’apparenza della motivazione della parte della sentenza che ha ritenuto corretta la percentuale di scarto del pesce operata dall’ufficio , è infondata in quanto la motivazione esiste ed è comprensibile, avendo la CTR sul punto evidenziato che già nell’avviso di accertamento l’ufficio aveva tenuto espressamente conto del possibile scarto e del calo di peso dei prodotti utilizzati per i pasti a base di pesce, con una motivazione logica
circa la percentuale di scarto utilizzata del 25%; tale percentuale era dovuta infatti ai tipi di pesce in concreto utilizzati dal contribuente e alla circostanza che questi si serviva quasi esclusivamente di prodotti congelati.
Giova appena precisare che non può essere dedotta come vizio di motivazione la semplice mancata adesione alla tesi del contribuente ma solo il grave vizio di anomalia motivazione costituzionalmente rilevante che si traduca in una motivazione omessa, apparente o irriducibilmente contraddittoria (Cass., Sez. U., 7/04/2014, n. 8053).
Con il secondo motivo, la società deduce la «violazione e falsa applicazione del l’art. 360, primo comma, n. 5) cod. proc. civ., in relazione all’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 – 54 d.P.R. n. 633/72 e 115 c.p.c., per omesso esame di fatti decisivi della controversia, conseguente violazione artt. 53 Cost. e 163 TUIR».
2.1. Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
La doglianza, invero, propone un motivo «coacervato», denunciando sostanzialmente vari vizi, senza possibilità di distinguerli, anche in contrasto logico tra loro (violazione plurima di legge, omesso esame di un fatto decisivo), che danno luogo ad una sostanziale mescolanza e sovrapposizione di censure, con l’inammissibile prospettazione della medesima questione sotto profili incompatibili (Cass. 23/10/2018, n. 26874; Cass. 23/09/2011, n. 19443), non risultando specificamente separata la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicaz ione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. 11/04/2018, n. 8915). Si tratta di censure non ontologicamente distinte dallo stesso ricorrente e, quindi, non autonomamente individuabili, senza un inammissibile intervento di selezione e ricostruzione del mezzo di impugnazione da parte di questa Corte (Cass. 13/06/2024, n. 16488). In tal modo, inoltre, viene negata
la regola della chiarezza del motivo di ricorso per cassazione, affermata dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 31/07/2018, n. 20288) ed oggi espressamente codificata dal n. 3) dell’art . 366 cod. proc. civ., come modificato dall’art. 3, comma 27, lett. d) n. 1), d.lgs. n. 149/2022, finendo la censura per costituire una generica critica alla motivazione della sentenza impugnata.
Né la memoria depositata appare precisare i termini della doglianza.
Inoltre, con particolare riferimento all’asserito omesso esame di un fatto decisivo, rilevante ex art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., deve evidenziarsi che è denunciabile, ex art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., soltanto l’omesso esame di un fatto storico controverso, che sia stato oggetto di discussione e che sia decisivo; di contro, non è più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo a giustificazione della decisione adottata sulla base degli elementi fattuali acquisiti e ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass. 31/01/2017, n. 2474).
Per fatto decisivo deve intendersi innanzitutto un fatto (inteso nella sua accezione storico-fenomenica e, quindi, non un punto o un profilo giuridico) principale o secondario, che sia processualmente esistente, in quanto allegato in sede di merito dalle parti ed oggetto di discussione tra le stesse, che risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che, se preso in considerazione, avrebbe determinato una decisione diversa (Cass. 13/04/2017, n. 9637). Pertanto, non costituiscono «fatti» suscettibili di fondare il vizio ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., le argomentazioni o deduzioni difensive, il cui omesso esame non è dunque censurabile ai sensi del n. 5 dell’art. 360 (Cass. 13/04/2021, n. 9637), né costituiscono «fatti storici» le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un
accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative (Cass. 31/03/2022, n. 10525).
Pacifica l’applicabilità della norma al processo tributario (così Sez. U. n. 8053/2014 cit.), è quindi inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale non si censuri l’omesso esame di un fatto decisivo, ma si evidenzi solo un’insufficiente motivazione per non avere la CTR considerato tutte le circostanze della fattispecie dedotta in giudizio.
Ciò premesso, occorre evidenziare comunque che, nel caso di specie, la CTR ha correttamente individuato e posto a base della propria decisione i principi di diritto in tema di risultanze delle indagini bancarie che costituiscono oggetto di un orientamento consolidato di questa Corte, secondo cui gli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario ad esse (in termini, Cass. 30/12/2015, n. 26111; Cass. 30/06/2020, n. 13112; Cass. 18/09/2024, n. 25043); ha poi evidenziato la tesi del contribuente che sosteneva che le somme transitate sui conti correnti si riferissero alle somme ricevute dai soci a titolo di caparra in relazione al preliminare di vendita in favore di COGNOME NOME, che i soci avrebbero in parte utilizzato per pagare, per conto della società, le imposte sostitutive e in parte avrebbero riversato sui conti della società per finanziamenti, pagamenti e rate di mutuo o
anche semplicemente per consentirle disponibilità di liquidità, evidenziando poi che le somme erano restituite ai soci.
Individuata la tesi difensiva, la motivazione negativa è data dalla considerazione che le operazioni non risultassero «nei libri contabili della società, come accertato dall’ufficio . Prova non è stata fornita».
La motivazione esiste quindi da un punto di vista grafico e si fonda sulla considerazione di un preciso dato documentale, cioè che le operazioni non risultassero nei libri contabili della società, come accertato dall’ufficio , ma anche evidenziando sul punto che la «prova non è stata fornita».
Con il terzo motivo, proposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., la ricorrente deduce perplessità della motivazione, illogicità manifesta e falsa applicazione dell’art. 32 d.P.R. n. 600/1973 e degli artt. 51 e 54 d.P.R. n. 633/1972; deduce di aver dimostrato i beneficiari di alcuni assegni ma che l’ufficio aveva giustificato solo parte di essi e non aveva ritenuto di giustificare l’assegno di 35.000 ,00 euro emesso dal sig. COGNOME verso COGNOME NOME; l’assegno emesso dalla s ocietà di euro 35.000,00 in favore di RAGIONE_SOCIALE quale rimborso dei suoi precedenti finanziamenti e l’assegno di cui alla pag. 4 del citato verbale emesso dalla società RAGIONE_SOCIALE riconducibile al sig. COGNOME promissario acquirente delle quote, a favore di RAGIONE_SOCIALE e da questi girato alla società.
3.1. Il motivo è inammissibile sia laddove deduce un vizio della motivazione (la perplessità e illogicità della stessa), che, come visto nell’esame del secondo motivo, non è deducibile nella vigenza del nuovo testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. sia laddove indica alcuni movimenti bancari che l’ufficio non avrebbe giustificato; in questo caso infatti il ricorrente svolge la sua critica nei confronti dell’ufficio e dell’accertamento e non nei confronti della sentenza impugnata e non indica in alcun modo in quale atto processuale la
questione sia stata dedotta e in quali termini (limitandosi a richiamare il verbale di accertamento con adesione).
Con il quarto motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 295 cod. proc. civ. e 14 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione ai rapporti con il giudizio avente ad oggetto l’accertamento nei confronti del socio COGNOME NOME , destinatario dell’avviso di accertamento quale socio per l’Irpef .
4.1. Il motivo è formulato in termini estremamente generici, e comunque non è fondato, sotto entrambi i (differenti) profili.
In primo luogo, non sussiste alcun litisconsorzio necessario tra società e soci, ove si tratti di società a ristretta base societaria, sussistendo unicamente il nesso di pregiudizialità-dipendenza tra l’accertamento sociale e quello dei soci (Cass. 4/01/2022, n. 94; Cass. 8/10/2020, n. 21649; Cass. 28/08/2017, n. 20507; Cass. 10/01/2013, n. 426; Cass. 31/01/2011, n. 2214).
Né sussiste alcuna violazione dell’art. 295 cod. proc. civ., in primo luogo per la ovvia circostanza che è la causa relativa all’accertamento societario (oggetto della presente lite) ad essere pregiudiziale rispetto a quella del singolo socio.
In secondo luogo, poiché l’art. 295 cod. proc. civ. non è applicabile quando sia stata emessa una pronuncia e quindi al giudizio di appello.
Ove la causa risulti già definita in primo grado, infatti, non vi è spazio per la sospensione necessaria del giudizio pregiudicato, ma semmai per l’applicazione della sospensione facoltativa prevista dall’art. 337, secondo comma, cod. proc. civ., che appunto regola l’ipotesi in cui il suddetto rapporto riguardi un a causa ormai pendente in sede d’impugnazione. Ed infatti Qualora tra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità, la sospensione ex art. 295 c.p.c. della causa dipendente permane fintanto che la causa pregiudicante penda in primo grado, mentre, una volta che questa sia definita con sentenza
non passata in giudicato, spetta al giudice della causa dipendente scegliere se conformarsi alla predetta decisione, sciogliendo il vincolo necessario della sospensione, ove una parte del giudizio pregiudicato si attivi per riassumerlo, ovvero attendere la sua stabilizzazione con il passaggio in giudicato, mantenendo lo stato di sospensione (ovvero di quiescenza) attraverso però il ricorso all’esercizio del potere facoltativo di sospensione previsto dall’art. 337, comma 2, c.p.c., ovvero decidere in senso difforme quando, sulla base di una ragionevole valutazione prognostica, ritenga che tale sentenza possa essere riformata o cassata (Cass. 23/03/2022, n. 9470; Cass. 29/03/2023, n. 8885; Cass. 24/06/2024, n. 17323). Tale affermazione deriva dal principio per cui il diritto pronunciato dal giudice di primo grado, qualifica la posizione delle parti in modo diverso da quello dello stato originario della lite, giustificando sia l’esecuzione provvisoria, sia l’autorità della sentenza di primo grado (così Cass., Sez. U., 19/06/2012, n. 10027 confermata da Cass., Sez. U., 29/07/2021, n. 21763, che ha precisato altresì che nel caso del sopravvenuto verificarsi di un conflitto tra giudicati opera il disposto dell’art. 336, secondo comma, cod. proc. civ.; in tali sensi anche Cass. 04/01/2019, n. 80).
Trovando poi applicazione, come detto, il disposto di cui all’art. 337, cod. proc. civ., si configura un’ipotesi di sospensione facoltativa, che poggia non sull’autorità di giudicato ma sulla mera autorità della pronuncia, la quale, ancor prima e indipendentemente dal suo passaggio in giudicato, esplica una funzione di accertamento al di fuori del processo. Si deve in proposito chiarire che il mancato esercizio del potere discrezionale in questione non può essere in nessuna guisa equiparato alla violazione dell’obbligo di sospensione, di talché il motivo che deduce la violazione di quest’ultimo non può essere interpretato come ricomprendente anche la mancata sospensione facoltativa, che come detto ha ad oggetto una valutazione ben
differente, basata sulla valutazione prognostica positiva o negativa circa la fondatezza dell’impugnazione della pronuncia della cui autorità si tratta, come ricordato dalla giurisprudenza riportata (in tal senso la recente Cass. 25/03/2024, n. 7952).
Il ricorso deve quindi essere respinto.
Alla soccombenza segue la condanna al pagamento delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la società RAGIONE_SOCIALE a pagare le spese di lite in favore dell’Agenzia delle Entrate, spese che liquida in euro 4.200,00, per compensi, oltre spese prenotate a debito.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2025.