Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13018 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13018 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27339/2021 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro RAGIONE_SOCIALE
-intimato- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA CAMPANIA n. 3080/2021 depositata il 09/04/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/03/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Avellino, all’esito di una verifica per l’anno d’imposta 2012, notificava alla società RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento n. TFK030201494/2017 con cui recuperava a tassazione maggiori imposte a fini IRES, IVA ed IRAP.
In particolare, a fronte della mancata esibizione della documentazione richiesta e della dichiarazione dei redditi presentata dalla società, che evidenziava una perdita di oltre ventimila euro, l’amministrazione prendeva a riferimento i dati emergenti dallo studio di settore presentato per l’attività di produzione e lavoro e rideterminava in via induttiva il reddito di impresa ai sensi dell’art. 39 comma 2 DPR 600/1973.
La contribuente impugnava l’avviso di accertamento evidenziando l’illegittima applicazione sugli studi di settore alle società cooperative di produzione e lavoro escluse dalla disciplina.
Si costituiva, l’Ufficio eccependo sostenendo di non aver fondato l’accertamento sull’applicazione dello studio di settore, bensì sul metodo induttivo a fronte della mancata risposta della società al questionario ex artt. 51 DPR 633/1972 e 32 DPR 600/1973.
La CTP di Avellino, con sentenza n. 455/2018, accoglieva il ricorso rilevando l’erroneità della ricostruzione dei maggiori ricavi in base allo studio di settore non applicabile alle società cooperative a mutualità prevalente.
La CTR della Campania sez. distacca di Salerno 3080/2021 del 8/01/2021 e depositata il 9/04/2021 rigettava il successivo appello erariale e condannava l’Agenzia al pagamento delle spese di lite. L’Agenzia propone ora ricorso per cassazione affidato a due motivi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 DPR 600/1973 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., laddove la CTR ha erroneamente ritenuto che nel caso di specie la ricostruzione del reddito d’impresa sia stata effettuata mediante il ricorso agli studi di settore piuttosto che mediante accertamento induttivo.
Con il secondo motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 comma 3 e 4 DPR 600/1973, 51 comma 5 DPR 633/1972, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., per aver la CTR ritenuto ammissibile la produzione tardiva, in sede contenziosa, della documentazione richiesta in sede amministrativa e non esibita senza giusta causa, reputandola, pertanto, utilizzabile, ancorché non potesse essere esaminata dal giudice di merito se non in violazione dell’art. 32 DPR 600/1973 e 52 DPR 633/1972.
Il primo motivo è fondato.
Ad onta di quanto affermato in sentenza dalla CTR, l’Agenzia non ha proceduto ad un recupero fiscale incentrato sugli ‘studi di settore’; piuttosto, ha appurato la discrasia tra le evidenze contabili della società e i parametri espressi da detti studi e ha selezionato la contribuente ai fini dell’invio di un questionario, cui la medesima non ha dato riscontro alcuno.
Questa Corte ha chiarito come nell’accertamento delle imposte sui redditi, il comportamento del contribuente che ometta di rispondere ai questionari previsti dall’art. 32, n. 4, d.P.R. n. 600 del 1973, n. 4 e non ottemperi alla richiesta di esibizione di documenti e libri contabili relativi all’impresa esercitata, impedendo in tal modo, o comunque ostacolando, la verifica dei redditi prodotti da parte dell’Ufficio, vale di per sè solo ad ingenerare un sospetto sull’attendibilità di dette scritture, rendendo “grave” la presunzione di attività non dichiarate desumibile dal raffronto tra le percentuali di ricarico applicate e quelle medie del settore, e,
conseguentemente, legittimo l’accertamento induttivo emesso su quella base dall’Ufficio dell’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973 (Cass. n. 19014 del 2005; Cass. n. 12262 del 2007). In tema di IVA, viene in rilievo l’omologa disposizione di cui all’art. 51, quinto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
Il secondo motivo è inammissibile.
Ad affliggerlo un vistoso difetto di autosufficienza.
L’Agenzia non si è peritata di fare preciso verbo, trascrivendola, della specifica richiesta documentale a suo tempo avanzata; ha trascurato, infatti, di identificare i documenti non depositati e di dar conto dell’effettivo avvertimento sull’inutilizzabilità successiva dei medesimi, nell’evenienza dell’omesso riscontro. Pertanto la doglianza è genericamente vibrata, restando imperscrutabile persino l’oggetto cui si riferisce.
Il ricorso va, in definitiva, accolto in relazione al primo motivo, dichiarato inammissibile il secondo mezzo. La sentenza d’appello va cassata e la causa rinviata, per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Campania.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo del ricorso, dichiarandone inammissibile il secondo; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Campania.
Così deciso in Roma, il 13/03/2025.