Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4431 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 4431 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 20/02/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 7267/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE socio unico in liquidazione , in persona del liquidatore NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura in calce alla comparsa di costituzione di nuovo procuratore del 4 novembre 2020, dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica certificata di quest’ultimo
-ricorrente – contro
IRAP IRES IVA ACCERTAMENTO
RAGIONE_SOCIALE , in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avv ocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrente -avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 8249/51/15, depositata il 18 settembre 2015; udita la relazione svolta dal consigliere dott. NOME COGNOME nella pubblica udienza del 24 gennaio 2025; sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME il quale ha chiesto il rigetto del ricorso; NOME COGNOME per i ricorrenti e l’Avvocato dello sentiti l’Avv ocato Stato NOME COGNOME per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate notificò a RAGIONE_SOCIALE (in seguito mutata in RAGIONE_SOCIALE a socio unico RAGIONE_SOCIALE, poi posta in liquidazione) un avviso di accertamento che riprendeva a tassazione, ai fini Irap, Ires e Iva, un maggior reddito accertato in relazione al l’anno d’imposta 2004.
L’atto impositivo , emesso a seguito di accertamento con metodo induttivo, traeva origine dal rilievo di costi non inerenti e non di competenza, della mancata contabilizzazione di ricavi, appostati come finanziamenti soci, e, più in generale, dell’ inattendibilità delle scritture contabili.
La società impugnò vittoriosamente l’avviso di accertamento innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli.
Il successivo appello dell’Amministrazione fu accolto con la pronunzia indicata in epigrafe.
I giudici regio nali, ritenuta in premessa l’ammissibilità del gravame, osservarono che l’Ufficio aveva dimostrato l’inattendibilità delle scritture contabili della contribuente, poiché, in particolare, i libri inventari recavano il solo valore globale della merce, senza indicare le rimanenze iniziali e finali; né tale omissione poteva ritenersi sanata dalla tenuta del bilancio.
Rilevarono, inoltre, che più voci di costo, corrispondenti a fatture di tipologia generica, giustificavano i rilievi per difetto di competenza e inerenza. Di qui la legittimità dell’accertamento induttivo, con la conseguente rilettura in guisa di ricavi dei versamenti ottenuti in conto finanziamento soci.
La sentenza d’appello è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione con ricorso per cassazione affidato a sette motivi, illustrati da successiva memoria. L’amministrazione finanziaria ha depositato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, denunziando «errata interpretazione dell’art. 1, comma 2, del d.lg.vo 546/92 in riferimento all’art. 324 c.p.c. ed omessa insufficiente specifica esplicitazione nell’atto di appello dei motivi di gravame», la ricorrente assume che i giudici d’appello avrebbero omesso di dichiarare inammissibile il gravame erariale in quanto articolato con «unico, complesso motivo», anziché mediante motivi separati e specifici come prescritto dalla disposizione invocata.
Il secondo motivo denunzia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
La C.T.R. avrebbe infatti errato nell’accogliere l’appello, in presenza di una mera richiesta di «totale riforma» della sentenza di primo grado, in ruolo della rituale indicazione «di quali fossero i termini della riforma da effettuarsi».
Il terzo motivo è rubricato «errata interpretazione ed erronea applicazione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600/1973 in tema di accertamento induttivo, anche in riferimento all’art. 2697 c.c. in tema di distribuzione dell’onere della prova ed in relazione all’ art. 360 n. 3 e n. 5 per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio».
La ricorrente si duole del fatto che la sentenza impugnata, nel ritenere fondato il rilievo di inattendibilità delle scritture contabili, non ha motivato tale affermazione, in particolare omettendo di indicare le «circostanze gravi, precise e concordanti» che, sulla base di consolidata giurisprudenza, legittimano il ricorso dell’Amministrazione all’accertamento con metodo induttivo.
Il quarto motivo concerne la specifica statuizione sulle scritture contabili; la società contribuente, denunziando «errata interpretazione degli artt. 2214 ss. c.c. per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio», sostiene che il libro inventari deve recare annotate le sole ‘risultanze finali’ afferendo i dati analitici sulle operazioni ai diversi registri vendite e acquisti -e che la C.T.R. avrebbe perciò errato nel ritenere fondati, sul punto, i rilievi erariali.
Con il quinto motivo, deducendo «errata interpretazione e violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa analitica indicazione nella sentenza dei motivi posti a sostegno della decisione in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo
del giudizio», la ricorrente denunzia nuovamente un difetto di motivazione della sentenza impugnata, nella parte concernente l’indebita deduzione di costi.
Il sesto motivo è rubricato «errata interpretazione de ll’art. 2467 c.c. in tema di finanziamento dei soci in relazione all’art. 2697 e ss. c.c. ed in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3 e n. 5. Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio».
La società critica la sentenza nella parte in cui ha disconosciuto la sussistenza di un finanziamento soci, ritenendo operativa la presunzione di ricavi; lamenta, in particolare, il mancato esame di «tutta una serie di documenti, documentazione non impugnata e/o altrimenti superata, agli atti cui si rimanda», prodotta (in separato giudizio) dal socio NOME COGNOME idonea a dimostrare la bontà dei assunti.
Infine, con il settimo motivo, rubricato «errata interpretazione dell’art. 109 del TUIR per errata omessa interpretazione della norma sulla deducibilità e detraibilità delle spese in riferimento all’art. 1599 c.c. in tema di locazione ed agli artt. 2697 e ss. c.c. in tema di assolviment o dell’onere della prova», la ricorrente si duole nuovamente della statuizione concernente i costi, dei quali, partitamente e analiticamente, rappresenta invece il possesso dei requisiti di certezza ed inerenza.
I primi due motivi si appuntano sull’ammissibilità dell’appello erariale e possono, pertanto, essere esaminati congiuntamente in quanto connessi.
Gli stessi sono infondati.
La ricorrente fa consistere le proprie censure nella denunzia del fatto che l’appello erariale sarebbe stato articolato mediante
«un unico, complesso motivo», ovvero con semplice richiesta di «integrale riforma della sentenza impugnata», e perciò in violazione del principio di specificità dei motivi di gravame.
Tale assunto non può essere condiviso.
Questa Corte ha affermato che il rispetto del principio di specificità si traduce nella necessità che la parte appellante ponga il giudice del gravame nella condizione di comprendere con chiarezza il contenuto delle censure proposte, ferma restando la natura del giudizio d’appello, che resta inequivocabilmente nell’alveo di una revisio prioris instantiae (così Cass. n. 13535/2018); e tanto è compatibile anche con la deduzione di un motivo unico, purché idoneo a consentire il sindacato del provvedimento impugnato nei termini esposti.
In ogni caso -e con particolare riguardo al secondo motivo, che attinge le conclusioni dell’appello erariale la ricorrente trascura di confrontarsi con il consolidato insegnamento giurisprudenziale secondo cui la mancanza o l ‘ assoluta incertezza dei motivi specifici dell ‘ impugnazione, che determinano l’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 546/1992, non sono ravvisabili qualora il gravame, benché formulato in modo sintetico, contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco; gli elementi di specificità dei motivi si possono infatti ricavare, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni (così, fra le altre, Cass. n. 15519/2020; Cass. n. 707/2019).
9. Il terzo motivo è inammissibile sotto diversi profili.
Innanzitutto, esso solleva un coacervo di censure senza il rispetto del canone della specificità, ciò che determina, nella parte argomentativa, la difficoltà di scindere le ragioni poste a sostegno
dell’uno o dell’altro vizio e, dunque, di effettuare puntualmente l’operazione di interpretazione e di sussunzione delle censure stesse (in tal senso, per la radicale inammissibilità, fra le numerose altre, Cass. n. 4616/2020; Cass. n. 21239/2015).
Ancora, esso finisce con il sollecitare un riesame nel merito degli apprezzamenti compiuti dai giudici d’appello, laddove, in particolare, evoca il mancato esame «della documentazione prodotta come da foliario» che poi omette di indicare specificamente, in aperta violazione dell’art. 366, num. 6), cod. proc. civ.
Infine, per la parte in cui denunzia una violazione dell’art. 2697 cod. civ., la censura si risolve in una critica al fatto che i giudici d’appello abbiano ritenuto maggiormente persuasive alcune prove anziché altre; con il che essa si disallinea rispetto all’unico modello di sindacato consentito in questa sede con riferimento alla disciplina dell’onere della prova, che va limitato al caso in cui il giudice abbia fatto gravare tale onere su una parte diversa da quella alla quale spettava, secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (in questo senso, da ultimo, Cass. n. 26739/2024).
10. Il quarto mezzo non è fondato.
La tesi esposta in ricorso, secondo la quale il libro inventari dovrebbe annotare le sole ‘risultanze finali’, confligge con il criterio fiscale della corretta valutazione delle rimanenze, che nell’inventario è imposto dall’art. 59, primo comma, TUIR (oggi art. 92 TUIR); detta valutazione «deve in tal senso confluire nel conto dei profitti e delle perdite» e «l’eventuale errore presente nella redazione dell’inventario si deve ritenere corretto soltanto dall’esposizione delle rimanenze nel conto dei profitti e delle
perdite secondo le modalità indicate dalla detta norma» (così Cass. n. 8879/2007).
In altri termini, il libro degli inventari deve consentire la ricostruzione della valutazione delle rimanenze secondo i richiamati criteri legali; va così esente da censure, sul punto, la sentenza impugnata, secondo la quale non era possibile addivenire ad alcuna ricostruzione poiché il libro inventari della società contribuente ometteva di indicare le rimanenze iniziali e finali.
Il quinto motivo è inammissibile per la genericità e incoerenza della sua formulazione.
Anche in questo caso, infatti, la censura si articola nella denunzia di plurime violazioni di legge, difetto di motivazione e omesso esame di un fatto controverso che la rendono difforme dal canone di specificità e non consentono di ricondurla in modo chiaro e inequivocabile ad una delle ragioni tassative di impugnazione stabilite dall’art. 360 cod. proc. civ.
Anche il sesto motivo non supera il vaglio di ammissibilità per le ragioni appena esposte; esso appare, inoltre, inammissibile per difetto di autosufficienza.
La ricorrente censura, infatti, la decisione della C.T.R. in punto alla ripresa concernente i versamenti in conto finanziamento soci, lamentando l’omesso esame di «tutta una serie di documenti, documentazione non impugnata e/o altrimenti superata, agli atti cui si rimanda»; ma di tale documentazione -non allegata al ricorso, né oggetto di richiamo individualizzante -essa non riporta né il contenuto, né altre indicazioni utili a rinvenirne elementi significativi dell’affermato valore probatorio.
Lo stesso è a dirsi, infine, del settimo motivo, che si traduce nella denunzia di omessa valutazione dei documenti
relativi ai costi non deducibili, tutti menzionati in modo generico e cumulativo, senza indicazione del contenuto o degli atti del giudizio di merito nei quali gli stessi sarebbero riprodotti.
La censura, inoltre, sollecita espressamente un riesame della menzionata documentazione, in termini propri di una forma di sindacato estranea al perimetro del giudizio di legittimità.
In conclusione, il ricorso è meritevole di rigetto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Sussistono i presupposti per la condanna della ricorrente al pagamento di un importo pari al doppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in € 4.500,00 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di