Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17670 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 17670 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA, con sede in Potenza (PZ) alla INDIRIZZO, in persona dell’amministratore unico e legale rappresentante pro tempore Sig. COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE, nato ad Avigliano (PZ) il 19.06.1952 e residente in Potenza (PZ) alla C.da INDIRIZZO/A, a quanto infra autorizzato in forza dei poteri ad egli conferiti dal vigente statuto sociale, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME;
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata presso L’Avvocatura generale dello Stato, che la difende ex lege;
-controricorrente –
INVITO E DEPOSITO DOC PERIODO COVID
Avverso la sentenza n. 93/01/2024 pronunciata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado di Basilicata -Sezione 1 -e depositata il 14.03.2024,.
Udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del quattro giugno 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Dato atto che il Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
Dato atto che la difesa erariale ha chiesto il rigetto del ricorso.
RILEVATO CHE
1.La presente vertenza ha ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di accertamento con cui l’ufficio, a seguito di attività istruttoria consistita nel confronto tra i dati dichiarati e quelli trasmessi dai clienti negli elenchi dello ‘spesometro’, rideterminava il reddito d’impresa per l’annualità 2015.
In particolare la società RAGIONE_SOCIALE non ha riscontrato l’invito all’esibizione di documenti, a suo dire in considerazione della diffusione dell’emergenza pandemica e dell’impossibilità di accedere agli uffici dell’Amministrazione Finanziaria nella data indicata.
La contribuente proponeva quindi ricorso su tale base, e sull’assunto peraltro di avere tenuto regolare contabilità ed effettuato tutte le dichiarazioni fiscali prescritte.
La CTP in buona sintesi rilevava come il primo invito ricadesse in data anteriore all’entrata in vigore dei DPCM emessi in data 8, 9 e 11 marzo 2020 (la convocazione per la società era stata fissata al 4 marzo); che la ricorrente non aveva dato corso nemmeno all’ulteriore invito al contraddittorio, fissato per il 24/07/2020, con atto TC3I1T100253/2020, notificato il 07/07/2020, quando le limitazioni stringenti agli spostamenti, erano state ampiamente attenuate e nemmeno aveva dato corso alla presentazione del Questionario richiesto dall’Ufficio che avrebbe potuto e dovuto presentare in modalità on-line, ritenendo quindi legittima
l’applicazione dell’art. 39, secondo comma, lett. d) bis DPR 600/73. Anche nel merito la contribuente risultava soccombente.
La C.G.T. di 2^ grado, adita in sede d’appello, confermava la sentenza di primo grado, aggiungendo che neppure dopo il venir meno delle restrizioni COVID la contribuente ebbe a fornire la documentazione e le risposte richieste dall’amministrazione, e altrettanto respingeva poi il merito dell’appello in ordine alla determinazione della ripresa a tassazione.
La contribuente propone così ricorso in cassazione affidandosi a tre motivi, mentre l’Agenzia resiste a mezzo di controricorso.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo si deduce ‘VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 39, COMMA 2, LET. D -BIS) DEL D.P.R. 600/1973 IN COMBINATO DISPOSTO ALL’ART. 3 DEL D.L. 6/2020, AI SENSI DELL’ART. 360, COMMA 1, N. 3) C.P.C.: insussistenza dei presupposti per l’accertamento induttivo -extracontabile in considerazione del fatto che il mancato riscontro del questionario dell’Ufficio, nel periodo dell’emergenza pandemica, non rappresenta un diniego alla esibizione dei documenti richiesti e non legittima l’accesso alla rettifica di natura induttivo -extracontabile’.
Premessa l’osservazione per cui il presupposto dell’accesso all’accertamento induttivo in mancanza di risposta all’invito e di consegna della documentazione sarebbe costituito dalla natura dolosa di tali omissioni, la ricorrente faceva notare che, benché i provvedimenti che hanno formalmente disposto il cd. lock down siano cronologicamente successivi al 04 marzo 2020, risulterebbe fatto notorio che l’incremento dei contagi da RAGIONE_SOCIALE ha subito un incremento esponenziali nei primi giorni del mese di marzo 2020. Peraltro, risultavano (alla data del 04 marzo 2020) già emanati i seguenti provvedimenti: · Delibera del Consiglio dei Ministri 31 gennaio 2020 ‘Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di
patologie derivanti da agenti virali trasmissibili’ (GU Serie Generale n.26 del 01/02/2020); · Ordinanza del Ministro della salute 30 gennaio 2020 ‘Misure profilattiche contro il nuovo Coronavirus (2019nCoV)’ (GU Serie Generale n.26 del 01/02/2020).
Inoltre, andava considerato che un’autentica esimente dovesse rinvenirsi nel disposto del d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, all’art. 3, dopo il comma 6, aveva previsto il seguente: ‘6 -bis. Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.’
Né all’epoca (4 marzo 2020) risultava adeguatamente implementata la trasmissione telematica, e d’altronde l’Amministrazione Finanziaria non avrebbe mai rinnovato la richiesta di esibizione documentale né, al termine di efficacia dei provvedimenti restrittivi ha nuovamente domandato l’esibizione documentale alla società. Al contrario, al momento in cui si è inverata la cessazione degli effetti dei provvedimenti restrittivi alla circolazione ed all’accesso negli Uffici, la stessa, in sede di invito al contraddittorio per adesione, inverata la condizione di accesso alla rettifica induttivoextracontabile per l’asserita omessa esibizione della documentazione.
1.1. Il motivo è infondato.
Sul piano formale è intanto corretta l’osservazione contenuta in entrambe le sentenze di merito per cui alla data del 4 marzo 2020 non erano vigenti le restrizioni COVID, e ciò anche con riferimento al portato di cui al d.l. n. 6/2020 per quanto si riferisce in particolare all’art. 3, comma 6 -bis (introdotto infatti dalla legge di conversione).
A prescindere da ciò, risulta pacifico che la società non ebbe a presentarsi all’invito né a tentare di inviare in qualsiasi modo la documentazione contabile ed amministrativa richiesta con l’invito.
Invero, la suddetta trasmissione non avrebbe determinato alcun pericolo di contagio, e costituiva per contro il minimo esigibile, in base agli obblighi rispondenti ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri a loro volta degli obblighi di solidarietà della materia tributaria (cfr. Cass. n. 22126/2013).
Tantomeno poi la società ha successivamente provato a depositare siffatta documentazione, né autonomamente e nemmeno in sede di invito al contraddittorio, comunque prima di produrla in sede giurisdizionale, trincerandosi dietro alla giustificazione per cui non era stata effettuata una nuova formulazione della richiesta.
Orbene è ben chiaro che l’omissione fonda sia l’inutilizzabilità della documentazione esibita solo in sede giurisdizionale ai sensi dell’art. 32 d.p.r. n. 600/73, sia il ricorso da parte dell’amministrazione all’accertamento induttivo ai sensi dell’art. 39, comma 2, lett. d -bis), solo allorché la stessa sia stata consapevole e non dipendente da un fatto indipendente dalla volontà del contribuente, come si ricava dal comma 5 dell’art. 32 cit.
E proprio interpretando la norma da ultimo citata è stato chiarito che
La mancata esibizione di atti e documenti rilevanti ai fini dell’accertamento, nella fase amministrativa che abbia preceduto il giudizio, impedisce di prenderne in considerazione il contenuto a favore del contribuente, ma la previsione può essere superata dal deposito successivo degli stessi, in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa. Qualora tuttavia l’Amministrazione neghi o contesti tale pur tardiva produzione, il contribuente, al fine di rendere inoperanti le cause di inutilizzabilità, deve produrre in giudizio la documentazione prima non esibita, nel rispetto dei termini e delle modalità indicate
dall’art. 32, comma 5, del d.P.R. n. 600 del 1973, vigente “ratione temporis”, ed all’autorità giudiziaria compete vagliare la regolarità dei documenti e delle sue modalità di produzione, nonché la sussistenza e la congruità della dichiarazione allegata “di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile”.
(Cass. n. 6617/21).
Ebbene, nella specie proprio il mancato deposito successivo, rende il giudizio circa l’imputabilità dell’omissione positivo, poiché se realmente la mancata consegna fosse dipesa dal diffondersi della pandemia, e se pure sul momento fosse stato complesso trasmettere i documenti (per difficoltà di riproduzione, reperimento di indirizzi elettronici dell’amministrazione, disfunzione del servizio postale), circostanza peraltro neppure allegata dalla parte, il fatto di non aver poi tentato di provvedere almeno in ritardo alla consegna, e neppure in sede di contraddittorio, porta a concludere nel senso che mancava realmente la volontà di ottemperare all’obbligo in parola, che come detto è fondato sui doveri che si sono sopra indicati.
Né tale giudizio può essere influenzato dalla circostanza che la parte allega, secondo cui la stessa non ebbe a presentare la documentazione neppure in sede di contraddittorio, ritenendo illegittimo il ricorso all’accertamento ai sensi dell’art. 39 cit., in quanto non solo essa avrebbe dovuto, nell’ottica che s’è vista, ottemperare anche prima, e a quel punto ormai anche con altri mezzi (ad esempio a mezzo pec), e comunque non appena vennero attenuate le misure, ma in ogni caso il deposito dei documenti in nulla precludeva la reazione del contribuente alla ritenuta illegittimità del procedimento di accertamento, nel mentre tale tardiva ottemperanza avrebbe ancora potuto condurre ad una differente valutazione del comportamento dello stesso.
A tali conclusioni, seppur implicitamente, pare giungere anche la stessa pronuncia di questa Corte invocata dalla ricorrente, che infatti ha stabilito come ‘il solo non grave ritardo da parte del contribuente nel riscontro ad una richiesta di documenti da parte dell’ufficio, accompagnata dalla concessione del termine minimo di gg. 15, specie se già preceduta da altre richieste regolarmente evase, non legittima il ricorso al metodo di accertamento induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2′ (Cass. n. 20461/2011).
2.Col secondo motivo si deduce VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 39, COMMA 2, DEL D.P.R. 600/1973 IN COMBINATO DISPOSTO ALL’ART. 109 DEL D.P.R. 917/1986 ED ALL’ART. 2697 C.C., AI SENSI DELL’ART. 360, COMMA 1, N. 3) C.P.C.: erronea applicazione della determinazione del reddito, in esito alla modalità di rettifica induttivo extracontabile, per il mancato riconoscimento di una percentuale di costi, determinata in via forfetaria, afferente ai ricavi rideterminati’.
2.1. In disparte la premessa afferente piuttosto al motivo precedente e ripetitiva delle relative argomentazioni, e l’andamento affaticato del motivo infarcito di brani di motivi, atti etc., nella sostanza la contribuente riconosce che in sede di accertamento induttivoextracontabile l’Amministrazione Finanziaria è legittimata a procedere sulla scorta di presunzione prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza: tuttavia afferma che anche le presunzioni cd. super-semplici debbono essere costruite secondo un meccanismo inferenziale che rispetti canoni minimi di ragionevolezza (pena l’affermazione arbitraria di effetti presuntivi che non rispondono all’id quod plerumque accidit ).
Nella specie l’accertamento sarebbe avvenuto determinando i ricavi senza attribuire ad essi una percentuale di costi afferenti.
Sul punto erroneamente quindi il giudice d’appello avrebbe affermato che per le deduzioni dei costi l’onere probatorio incombeva in capo alla contribuente.
2.2. Orbene, aldilà dell’estrema genericità della prolissa esposizione del motivo, che infatti si limita ad affermare astrattamente la mancata considerazione dei costi nella determinazione del reddito tassabile, come ricostruito ai sensi dell’art. 39 d.p.r. n. 600/1973, i giudici d’appello in realtà -a seguito dell’esame dell”atto accertativo’ -avevano accertato in fatto che ‘vi è stata solo una ripresa a tassazione, ai fini iva, della nota di variazione’, senza che vi sia stato un disconoscimento dei costi. Inoltre, i secondi giudici evidenziavano ‘che nella determinazione dei componenti negativi del reddito, tra cui rientra la nota di credito emessa dalla società contribuente, l’onere di provare l’esistenza e l’inerenza grava su chi ne invoca la deducibilità’.
In altri termini, escluso che vi sia stata una ricostruzione dei ricavi senza riconoscimento di una quota di costi, che anzi in generale non vennero contestati dall’Agenzia, come accertato dai giudici di merito, essa ha proceduto solo al disconoscimento della nota e alla conseguente ripresa a tassazione, e sul punto i giudici d’appello hanno semplicemente osservato che la prova della relativa inerenza e della stessa esistenza del componente negativo, che la nota rappresentava, gravava sulla parte contribuente.
La questione invece sottoposta a questa Corte, in diritto, è inerente alla mancata considerazione da parte dell’amministrazione nella determinazione del reddito -delle componenti negative, questione come detto genericamente proposta e smentita dall’accertamento in fatto svolto dal giudice del merito.
3.Col terzo motivo si deduce ‘VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 19 E 54 DEL D.P.R. 633/1972, AI SENSI DELL’ART. 360, COMMA 1, N. 3) C.P.C.: erronea applicazione dei criteri di detraibilità dell’imposta sul valore aggiunto nelle rettifiche
induttivo-extracontabile ed erronea applicazione del principio di proporzionalità nella declinazione del principio di prevalenza della sostanza sulla forma e di proporzionalità degli adempimenti necessari a garantire la detrazione dell’imposta sul valore aggiunto.’.
3.1. Venendo anche qui all’essenza del motivo, secondo la ricorrente i giudici territoriali avrebbero inteso escludere la detraibilità dell’imposta sul valore aggiunto, assumendo non rispettate le forme in conseguenza della mancata ottemperanza all’invito.
L’Amministrazione Finanziaria non riconosce, in maniera assoluta, la detraibilità dell’imposta a credito maturata in riferimento alla nota di credito n. 10 del 30.05.2014. Infatti, la contribuente aveva emesso, nei confronti della U.ERAGIONE_SOCIALE, in data 09.05.2015, la nota credito n. 10, con la quale procedeva allo storno della fattura n. 10. La contribuente sostiene la regolarità della nota, l’annotazione del relativo corrispettivo nelle scritture contabili nonché la dichiarazione dei relativi componenti di reddito. L’Amministrazione Finanziaria ha disatteso, nella determinazione della base imponibile IVA di periodo, il credito IVA portato dalla menzionata nota credito. Sul punto, si deduce da parte della contribuente che il sistema della detraibilità dell’IVA è subordinato al rispetto della cartolarità dell’imposta ma, pur sempre, alla garanzia del principio di neutralità che sorregge l’imposta in esame. L’ esclusione dell’imposta a credito maturata sugli acquisti, di cui vi è certezza dell’esistenza, rappresenterebbe una distorsione del principio di neutralità nonché una incidente violazione del principio di capacità contributiva.
3.2. Il motivo è infondato.
Sul punto i giudici d’appello hanno osservato che ‘l’ufficio aveva accertato che la contribuente aveva dichiarato, per l’anno 2015, un volume d’affari pari ad €. 27.140,00, mentre il totale delle
operazioni imponibili, comunicate dai clienti, era risultato pari ad €.61.775,00 creandosi uno scostamento. Tale scostamento sarebbe derivato da una nota di variazione emessa nei confronti della ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che non era stata riconosciuta poiché la società contribuente non aveva esibito documentazione contabile, pure richiesta, nè aveva fornito prove per giustificare l’emissione della detta nota di credito, che, come correttamente affermato dal primo giudice, non riportava alcuna causale, né forniva con il ricorso alcuna giustificazione, idonea ad inficiare il recupero effettuato dall’ufficio, a dimostrazione della necessità di emissione della nota di credito adempimento questo che andava osservato dal momento che la detrazione spetta, se sono state osservate le prescrizioni in funzione dell’accertamento della pretesa non essendo consentita una scissione tra riconoscimento del diritto alla detrazione e modalità di esercizio della detrazione. Il primo non può essere fatto valere indipendentemente dalla forma e modalità regolanti l’esercizio.’.
Da tanto emerge non solo che la stessa nota, in sé, non conteneva alcuna causale, come avrebbe dovuto, ma che la parte non ha portato alcun elemento a suffragio dell’inerenza, congruità ed effettività del costo, come invece avrebbe dovuto ai sensi dell’art. 19, d.p.r. n. 633/1972.
4.In definitiva la sentenza d’appello va esente da censura, il ricorso dev’essere rigettato e la soccombente condannata al pagamento delle spese processuali.
Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in € 3200,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2025