Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16903 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16903 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 24/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23264/2018 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, già rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, deceduto, indi rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, in sostituzione del precedente difensore
-ricorrente e controricorrente al ricorso incidentalecontro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente e ricorrente incidentale- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della SICILIA-SEZ.DIST. CATANIA n. 237/2018 depositata il 17/01/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
Dalla sentenza epigrafata, in punto di fatto, emerge quanto segue:
Avverso l’avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE con il quale l’A.E. di Catania, a seguito di PVC, ha accertato un reddito d’impresa, per l’anno 2006 ai fini IRPEF, IRAP, IVA ed addizionale prov. e com., di euro 114.739,00 in mancanza di dettagliate esposizioni dei prospetti di rimanenza iniziali e finali, ha proposto ricorso COGNOME NOME , il quale ha lamentato il difetto di motivazione dell’accertamento, ed inoltre la illegittimità e la infondatezza dell’atto impugnato. L’A.E. di Catania ha difeso l’accertamento affermando la legittimità del proprio operato.
La CTP di Catania ha accolto parzialmente il ricorso, ammettendo in detrazione le spese presuntive per la produzione del maggior reddito accertato, pari al 30% dello stesso ed indicate in euro 27.373,80.
Contro questa decisione ha proposto appello COGNOME NOME, il quale ha censurato la sentenza per difetto di motivazione, per errata applicazione di legge sia in ordine al rigetto della eccezione di difetto di motivazione dell’atto impugnato, sia in ordine alla dedotta mancanza di condizione per procedere ad accertamento induttivo; ed ancora nel merito per non avere riconosciuto la dedotta inesistenza dei maggiori ricavi e per avere indicato in solo il 30% le spese per la produzione del maggior reddito. Oltre che infine in ordine alla mancata esclusione delle sanzioni.
Ha proposto appello anche l’A.E. di Catania La quale ha dedotto che nella determinazione dei maggiori redditi si era già tenuto conto delle spese sostenute per la produzione d ess.
2. La CTR della Sicilia, Con la sentenza epigrafata, così decideva:
In parziale accoglimento dell’appello proposto da COGNOME NOME avverso la sentenza della CTP di Catania n. 6215/2016 dep. il 24 -5 -2016, ed in parziale riforma della stessa determina l’importo delle spese e dei costi ammessi in detrazione in euro 50.185,30, con consequenziale
rideterminazione delle sanzioni. Conferma nel resto la impugnata sentenza .
3. In motivazione così, per quanto ancora rileva, osservava:
È stato affermato anche da questa CTR che la motivazione ‘per relationem’ si realizza quando nell’avviso di accertamento notificato è contenuto un richiamo ad un diverso atto o documento, nella specie il PVC, da considerare parte integrante dell’avviso di accertamento medesimo.
L’ammissibilità di tale motivazione è subordinata all’effettiva conoscenza, o alla conoscibilità, dell’atto richiamato da parte dell’interessato .
È tuttavia dato al Giudice il compito d’individuare, in seno all’accertamento in rettifica, gli elementi motivazionali che giustificano la pretesa tributaria . E, se da un lato quindi non si può escludere che l’onere della motivazione, posto a carico dell’Amministrazione finanziaria, possa essere assolto ‘per relationem’, ciò è sufficiente solo alla condizione che essa già contenga tutti gli elementi per individuare la pretesa tributaria; o se tale atto, riferito nell’accertamento, sia già conosciuto o sia stato ricevuto dal contribuente .
Nella specie non si può dubitare che il PVC, richiamato nell’accertamento, era stato conosciuto dal contribuente. In conseguenza le censure appaiono infondate.
Col terzo motivo l’appellante censura la sentenza nella parte in cui non ha dichiarato la illegittimità dell’accertamento per la mancanza dei presupposti per procedere ad accertamento induttivo ex art. 39 DPR 600/73 e 54 e 55 DPR 602/72; mentre col quarto motivo si lamenta il rigetto della dedotta inesistenza, nel merito, di maggiori ricavi effettivamente realizzati. Entrambi questi motivi, per la loro connessione, possono essere trattati unitariamente.
A norma del DPR n. 600 del 1973, art. 15, comma 2, l’inventario ‘deve indicare la consistenza dei beni raggruppati in categorie omogenee per natura e valore e il valore attribuito a ciascun gruppo’. All’incontroversa violazione di tale norma da parte del contribuente, il giudice di primo grado ha correttamente attribuito rilevanza giuridica tale da legittimare l’accertamento induttivo del reddito d’impresa, in conformità con l’orientamento prevalente della giurisprudenza di
legittimità . Per tale , anzi, la descritta incompletezza contabile e l’inattendibilità scritturale che ne deriva giustificherebbero finanche l’accertamento induttivo puro di cui al DPR n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, lett. d), nel quale -com’è noto -hanno cittadinanza le presunzioni cd. supersemplici .
Così, nella specie, con motivazione insindacabile perché esente da difetti logici, la CTP ha accreditato la valenza presuntiva della disomogeneità dell’inventario con quella dei significativi errori riscontrati circa le rimanenze, in tal modo definendosi un quadro indiziario munito dei requisiti di univocità di cui all’art. 2729 c.c.
Non risulta la denunciata alterazione dell’onere probatorio, giacché le presunzioni gravi, precise e concordanti che fondano l’accertamento analitico -induttivo spostano l’onere della prova sul contribuente .
E così si deve concludere, conformemente a quanto affermato in seno alla decisione impugnata che, in tema di imposte sui redditi, è legittimo il ricorso all’accertamento del reddito d’impresa con metodo induttivo ex art. 39, comma 2, lett. d), del DPR n. 600 del 1973, qualora l’inventario ometta di indicare e valorizzare le rimanenze con raggruppamento per categorie omogenee, così violando la prescrizione dell’art. 15, comma 2, del DPR n. 600 del 1973 .
Col quinto motivo viene censurata la misura dei costi ammessi in detrazione la cui percentuale appare troppo bassa. Anziché il 30% indicato in sentenza, a dire dell’appellante, i costi andavano detratti in misura almeno pari all’80% del maggior ricavo.
Il motivo appare parzialmente fondato.
.
Alla luce dei principi sopra espressi correttamente l’accertamento operato dall’Ufficio è stato ridimensionato dalla CTP, attraverso la sottrazione, dal ricavo accertato, dei presumibili costi per la produzione dell’ulteriore reddito, che ben possono essere determinati induttivamente.
Tuttavia la percentuale del 30% operata dalla CTP appare effettivamente sottodimensionata. Per l’effetto sembra più equo determinare l’incidenza globale sui ricavi, e cioè l’incidenza del costo del venduto, e del costo per la realizzazione degli oggetti finiti, nella misura percentuale del 55%, come si può ricavare ponendo a parametro le note
tecniche -metodologiche per gli studi di settore (UD 33 U) per l’anno 2006, relative alle attività economiche similari a quella che ci occupa.
E così applicando ai maggiori ricavi di euro 91.246,00 una percentuale di incidenza per costi del 55%, si devono ritenere costi per euro 50.185,30 in luogo di euro 27.373,80 indicati con la sentenza impugnata.
Le sanzioni, seppure dovute, vanno ridimensionate al reddito netto effettivamente prodotto tenuto conto dei costi come sopra individuati.
L’appello incidentale avanzato dall’Ufficio va rigettato in mancanza di prove in ordine alla asserita stima delle spese che sarebbero state oggetto di considerazione nella determinazione del maggior reddito. Non risulta infatti prodotto il PVC posto a fondamento dell’accertamento, né è dato al Giudice Tributario sopperire all’inerzia istruttoria delle parti.
Propone ricorso per cassazione il contribuente con quattro motivi. Resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso, spiegando altresì ricorso incidentale con un motivo. Resiste al ricorso incidentale il contribuente con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia: ”Error in iudicando’ – Violazione e/o falsa applicazione di norme di legge: art. 7 l. n. 212/2000 e art. 42 DPR n. 600/1973, anche in combinato disposto all’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.’.
1.1. ‘i ribadisce che la nullità dell’avviso impugnato deriva dal fatto che l’atto risulta difettoso non ottemperando all’onere probatorio di una congrua motivazione quanto si limita a motivare rinviando al presupposto BVC del 12/10/2010 a sua volta del tutto privo di una sufficiente motivazione (cfr. ricorso in appello pag. 5 da rigo 7 a 19): invero, nemmeno tale PVC consentiva la verifica giudiziale della fondatezza del rilievo svolto all’odierno ricorrente non contenendo gli elementi essenziali della pretesa erariale e la motivazione del recupero effettuato. Inoltre, nell’avviso di
accertamento impugnato né il presupposto PVC contengono tutti i documenti richiamati ed in ogni caso non contengono, in allegato, il presupposto studio di settore utilizzato al fine del recupero. La sentenza impugnata non ha evidentemente considerato rilevanti sul tetti rilievi dai quali, invece, deriva la nullità dell’avviso impugnato non avendo l’Agenzia delle Entrate in alcun modo dimostrato né l’effettivo criterio con il quale ha stabilito la percentuale di ricarico da applicare all’impresa individuale dell’odierno ricorrente, né quello con il quale sono stati determinati i costi da poter dedurre’.
‘Tra l’altro, l’impugnata sentenza della CTR dichiara che ‘non risulta prodotto il PVC posto a fondamento dell’accertamento ‘. È del tutto evidente che, a fronte dei rilievi e dell’adempimento dell’onere probatorio posto a carico del contribuente (in particolare la produzione della documentazione contabile contestata come ‘inesistente’ e cioè i prospetti analitici delle rimanenze di magazzino relative all’annualità considerata ) la mancata allegazione, da parte dell’AE, dei documenti presupposti del recupero e la mancata produzione in giudizio degli stessi determina l’aperta violazione (oltre dell’onere di motivazione) dell’onere probatorio posto a carico dell’AE procedente. L’AE, contravvenendo al principio di ripartizione dell’onere della prova ( 2697 c.c.), non ha in alcun modo reso possibile al Giudice adito l’accertamento della fondatezza del recupero’.
1.2. Il motivo è inammissibile.
Non riproduce alla lettera e per intero né l’avviso di accertamento oggetto dell’originario ricorso (la cui motivazione è riprodotta solo in breve stralcio a p. 4 ric.) né il PVC (meramente menzionato in ricorso).
Un tanto impedisce l’effettivo apprezzamento delle censure, anche in riferimento alla percentuale di ricarico ed alla determinazione dei costi.
Né -a fronte della sentenza impugnata che pacificamente inquadra la metodologia accertativa utilizzata dall’Ufficio in quella cd. induttiva pura, ai sensi dell’art. 39, comma 2, DPR n. 600 del 1973 -il motivo e più in generale il ricorso offrono evidenza del fatto che -come invece sostenuto nel motivo stesso -ai fini del ‘recupero’ l’Ufficio abbia ‘utilizzato’ alcun ‘presupposto studio di settore’, fondando quindi l’accertamento su studio di settore.
Con più specifico riguardo, poi, alla seconda parte del motivo, circa l’affermazione della CTR in ordine alla mancata produzione del PVC, è a rilevarsi come le relative censure costituiscano ‘nova’ la cui deduzione non è consentita per la prima volta in sede di legittimità, posto che né il motivo né il ricorso (cfr . in part. p. 5) allegano e dimostrano che alcuna violazione del criterio di riparto dell’onere della prova sia stata dedotta già in primo grado adducendo a presupposto la suddetta mancata produzione.
I successivi due motivi, per comunanza di censure, sono suscettibili di trattazione congiunta.
Con il secondo motivo del ricorso principale si denuncia: ”Error in procedendo’ -Nullità della sentenza per omessa motivazione e violazione di legge costituzionalmente irrilevante (art. 36 D.Lgs. n. 546/1992, art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c. e art. 112 c.p.c.), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.’.
3.1. ‘La sentenza impugnata ha rigettato, tra gli altri, il terzo motivo di appello sollevato dall’odierno ricorrente omettendo di motivare su una specifica questione giuridica sottoposta al suo esame e da sola sufficiente ad annullare il rilievo contenuto
nell’avviso impugnato. Più in particolare , l’illegittimità e l’infondatezza dell’unico recupero (rilievo dell’AE: ‘Inattendibilità del valore delle rimanenze e delle scritture contabili’ ) contenuto nell’avviso di accertamento impugnato è stata sostenuta nel giudizio di merito ‘a quo’ sulla base di più questioni giuridiche . In particolare, è stato eccepito (cfr. ricorso in appello società pag. 6 da rigo 10 a rigo 19) che ‘la parte ha consegnato, giusta ricevuta di protocollo del 15 ottobre 2010, la copia prospetti inventari delle rimanenze finali così mettendo pienamente in condizione l’Ufficio di poter ricostruire analiticamente le giacenze di magazzino e la loro composizione ”. ‘Il rigetto del suddetto terzo motivo di appello è avvenuto omettendo del tutto di motivare su tale specifica questione giuridica sopraindicata ‘. La CTR ‘non ha in alcun modo spiegato le ragioni per le quali non ha ritenuto valida la consegna, da parte del ricorrente (avvenuta il 15/10/2010), della documentazione richiesta dall’AE appena tre giorni dopo l’accesso dei verificatori (avvenuto il 12/10/2010). In buona sostanza, la sentenza impugnata omette del tutto una motivazione sul punto. In ogni caso, la motivazione è da considerare meramente apparente ‘.
Con il terzo motivo del ricorso principale si denuncia: ”Error in iudicando’ – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5′.
4.1. ‘Salvo quanto appena esposto il ricorrente ha eccepito il fatto che la documentazione relativa alla composizione del magazzino (registri o prospetti analitici delle rimanenze) che l’Ufficio ha ritenuto omessa è stata in effetti prontamente consegnata e tale fatto è stato chiaramente evidenziato sin dal ricorso introduttivo di primo grado ed è stato anche documentalmente provato . Su tale fatto decisivo la CTR ha omesso di motivare in tal modo illegittimamente confermando la
validità di un avviso di accertamento in realtà radicalmente nullo . L’odierno ricorrente, consegnando con lieve ritardo i prospetti ed inventari delle rimanenze finali -contenenti le distinte categorie di merci ed i relativi valori -ha ottemperato l’obbligo di documentare la composizione per quantità e valore delle rimanenze e messo l’AE in grado di accertare i ricavi dichiarati senza dover procedere ad accertamento induttivo’.
5. Entrambi i motivi sono inammissibili.
5.1. Preliminarmente, deve rilevarsi che si versa (‘in parte qua’) in doppia conforme di merito, posto che, come si legge a p. 6 del ricorso per cassazione, la CTP, ‘rigettando i primi due motivi di impugnazione, accoglieva parzialmente il terzo statuendo: ‘Quando l’Amministrazione finanziaria procede ad accertamento induttivo deve tener conto dei costi di impresa e in caso di ricostruzione del reddito l’Ufficio non può non tenere conto, soprattutto in assenza di documentazione certa, di una incidenza percentuale di costi presunti a fronte dei maggiori ricavi accertati ”.
Ciò rende ‘ex se’ ragione dell’inammissibilità del terzo motivo, formulato come omesso esame di fatto decisivo ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. e dunque soggetto alla preclusione di cui all’art. 348 -ter cod. proc. civ. ‘ratione temporis’ vigente.
Preclusione che per vero affligge anche il secondo motivo, che, rubricato come violazione di legge, avrebbe esso pure essere dedotto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.
Ad ogni buon conto i motivi sono inammissibili anche per ulteriori concorrenti ragioni.
Dai brevissimi e perciò manifestamente insufficienti stralci del ricorso introduttivo, della sentenza di primo grado e dell’atto di appello contenuti in ricorso (pp. da 5 ad 8), risulta essere stata
devoluta al primo giudice (giusta p. 5) la questione dell’erroneità dell’inattendibilità, ritenuta dall’Agenzia in avviso, della ‘contabilità a causa della mancata esibizione del registro delle rimanenze finali eccepo: ‘Tale ragionamento è erroneo in quanto, in relazione al rilievo relativo alla mancata esibizione del registro delle rimanenze finali, si rileva che la parte ha consegnato, giusta ricevuta al protocollo del 15 ottobre 2010 (all. 2), la copia dei prospetti e di inventari delle rimanenze finali: la consegna, dunque, è avvenuta appena due giorni dopo dal processo verbale di accesso e verifica redatto dall’Agenzia delle entrate ”.
Il ricorso – in patente difetto di autosufficienza – non riproduce la motivazione della sentenza di primo grado sul punto; tuttavia, dal sunto del primo motivo d’appello (proposto a p. 7), si ricava che la CTP aveva scritto che ‘tale circostanza’ (espressione, dato il costrutto del periodo, da riferire alla produzione di ‘copia dei prospetti ed inventari delle rimanenze finali’) non inficia di illegittimità l’atto impugnato, ma semplicemente l’Ufficio ha disconosciuto la documentazione prodotta’.
A fronte di ciò, i motivi medesimamente incorrono in difetto di precisione, anche ‘sub specie’ dell’autosufficienza, perché, non riprodotta ‘ad origine’ la motivazione dell’avviso di accertamento, altresì non allegano le specifiche devoluzioni effettuate alla CTR ed ‘a priori’, come detto, per vero neppure riproducono la parte rilevante della sentenza di primo grado. All’uopo, del tutto generico è il sunto del primo motivo d’appello cui testé si accennava: ‘L’odierno ricorrente 1. in via preliminare, l’annualità della sentenza per assoluto difetto e/o apparenza della motivazione , in particolare per non avere il Giudice adito realmente motivato sul secondo motivo di impugnazione in cui l’odierno ricorrente rilevava e documentava di avere effettivamente prodotto all’Agenzia delle Entrate copia dei prospetti ed inventari delle rimanenze finali, limitandosi invece ad affermare sul punto che ‘tale
circostanza non inficia di illegittimità l’atto impugnato ma, semplicemente, l’Ufficio ha disconosciuto la documentazione prodotta”.
Siffatti difetti di precisione ed autosufficienza impediscono di contestualizzare -alla luce della testuale motivazione della sentenza di primo grado, che trova riscontro nelle poche righe della motivazione dell’avviso riprodotte a p. 4 del ricorso per cassazione (‘Tra la documentazione esibita non è stato rinvenuto alcun prospetto analitico delle rimanenze ancorché espressamente richiesto’) – l’affermazione del contribuente nei motivi che ne occupano di aver eccepito dinanzi alla CTR la consegna della ‘copia dei prospetti ed inventari delle rimanenze finali’, così altresì impedendo di apprezzare l’effettiva e decisiva rilevanza del ‘thema’ (attorno al quale detti motivi si imperniano), dell’impossibilità di considerare tardiva una produzione effettuata dopo solo tre giorni dalla richiesta: ‘thema’ che comunque di per sé non si confronta con l’essere il (non riprodotto) PVC stato redatto il medesimo giorno dell’accesso (cfr. p. 4: ‘Sulla base di un accesso effettuato il 12/10/2010 da funzionari dell’Agenzia delle Entrate , conclusosi con PVC di pari data ‘), con conseguente formulazione dei rilievi, tale essendone (in difetto di deduzioni contrarie) il contenuto tipico, senza che sia testualmente specificata l’eventuale concessione comunque di un termine successivo a fronte della richiesta di produzione della documentazione.
Fermo quanto precede, siffatti difetti di precisione ed autosufficienza sono tanto più rimarchevoli a misura che – preso atto dell’avere la CTP superato la doglianza della produzione della ‘copia dei prospetti ed inventari delle rimanenze finali’ con l’osservazione che l’Ufficio aveva semplicemente ‘disconosciuto’, e dunque non affatto ritenuto inammissibile, ‘la documentazione prodotta’ – i motivi non allegano e non dimostrano, mediante riproduzione o quantomeno idonea descrizione, che detti prospetti
ed inventari ossequiavano l’art. 15, comma 2, DPR n. 600 del 1973, effettivamente indicando, quindi, ‘la consistenza dei beni raggruppati in categorie omogenee per natura e valore e il valore attribuito a ciascun gruppo’.
In aggiunta a quanto precede, è a rilevarsi, quanto al secondo motivo, che la sentenza impugnata -dichiaratamente adesiva alla decisione ed alla motivazione della sentenza di primo grado eccezion fatta per la quantificazione dei costi da riconoscersi in favore del contribuente – non solo non incorre in omessa pronuncia ‘sub specie’ della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (solo estemporaneamente dedotta in rubrica senza alcun pedissequo sviluppo argomentativo), ma neppure nella denunciata omessa o parvente motivazione. La CTR, infatti, è chiarissima, dopo aver ricordato il dettato dell’art. 15, comma 2, DPR n. 600 del 1973, nel rilevare, con la CTP, l”incontroversa violazione di tale norma da parte del contribuente’, tale da legittimare ‘l’accertamento induttivo del reddito d’impresa’, avendo già la CTP, con motivazione insindacabile perché esente da difetti logici, ‘ accreditato la valenza presuntiva della disomogeneità dell’inventario con quella dei significativi errori riscontrati circa le rimanenze, in tal modo definendosi un quadro indiziario munito dei requisiti di univocità di cui all’art. 2729 c.c.’.
In buona sostanza – donde altresì e comunque la manifesta infondatezza, oltreché del secondo, anche del terzo motivo, di per sé autonomamente ed ulteriormente (rispetto a quanto già detto) inammissibile in quanto non deducente l’omesso esame di un fatto storico viepiù decisivo – la CTR, come già la CTP e come già l’Agenzia, non pretermette affatto la produzione documentale comunque svolta, dopo la chiusura del PVC, dal contribuente, ma, al contrario considerandola, la ritiene tuttavia inidonea a soddisfare le specifiche caratteristiche dell’art. 15, comma 2, DPR n. 600 del 1973, in guisa da trovare legittimo ingresso l’accertamento
induttivo (giusta quanto testualmente dalla CTR medesima osservato, a mo’ di chiosa, sul punto: ‘E così si deve concludere, conformemente a quanto affermato in seno alla decisione impugnata che, in tema di imposte sui redditi, è legittimo il ricorso all’accertamento del reddito d’impresa con metodo induttivo ex art. 39, comma 2, lett. d), del DPR n. 600 del 1973, qualora l’inventario ometta di indicare e valorizzare le rimanenze con raggruppamento per categorie omogenee, così violando la prescrizione dell’art. 15, comma 2, del DPR n. 600 del 1973′).
Con il quarto ed ultimo motivo del ricorso principale si denuncia: ”Error in iudicando’ – Violazione e/o falsa applicazione di norme di legge: art. 39, comma 2, del DPR n. 600/73, art. 18 DPR n. 633/72, art. 9, co. 1 d.l. n. 69/1989 conv. in l. n. 154/1989, art. 55 DPR n. 633/72, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.’.
6.1. Per comodità espositiva, il lungo ed articolato sviluppo argomentativo del motivo si lascia riassumere nei seguenti punti.
La CTR ha omesso di considerare ‘che l’odierno ricorrente è pacificamente un contribuente soggetto al regime della tenuta della contabilità ‘semplificata”, sicché ‘non risultava sottoposto all’obbligo della tenuta della contabilità di magazzino ma al solo obbligo di indicare nel registro degli acquisti tenuto ai fini dell’imposta sul valore aggiunto il valore delle rimanenze’.
‘La violazione di legge commessa dalla CTR deriva anche dal non aver considerato che l’accertamento induttivo non può essere validamente effettuato nei casi in cui non si configura l’ipotesi di omessa documentazione contabile ma di ‘lieve ritardo’ nella sua consegna all’Ufficio . In ogni caso va ribadito che l’odierno ricorrente, consegnando con lieve ritardo i prospetti ed inventari delle rimanenze finali – contenenti le distinte categorie di merci ed i
relativi valori – ha ottemperato all’obbligo di documentare la composizione per quantità e valore delle rimanenze ‘.
La sentenza impugnata è viziata per violazione dell’art. 39, comma 2, DPR n. 600 del 1973, poiché l’accertamento induttivo non può basarsi su un’unica presunzione semplice, dovendo invece ricorrere omissioni ed irregolarità gravi, numerose e ripetute.
In ogni caso è illegittimo il recupero ‘effettuato applicando induttivamente una percentuale di ricarico (il 43% del costo del venduto) sulla base di un mero rinvio allo studio di settore, senza ritenere rilevanti le ragioni del ricorrente che aveva esplicitato l’impossibilità di applicare tale percentuale anche in quanto ‘la percentuale di ricarico applicata dall’Ufficio si basa su un campione assolutamente parziale”. ‘Si ribadisce che l’AE non ha tenuto conto della reale situazione economica dell’attività imprenditoriale del ricorrente nella quale il ricarico applicabile al costo del venduto era di gran lunga più contenuto ed inferiore a quello dello studio di settore ‘.
‘ubordinatamente rispetto ai superiori rilievi’, si denuncia che ‘la CTR, a fronte della presunzione di maggiori ricavi, presunzione tratta da uno studio di settore, non ha ritenuto deducibili i maggiori costi (in misura del 90% o quantomeno dell’80% dei ricavi accertati) che, sempre in via presuntiva, devono essere considerati ai fini della determinazione induttiva del reddito . Sul punto si ribadisce che i costi dovevano ‘quantomeno essere riconosciuti in misura non inferiore al 70% dei maggiori ricavi …. Tale percentuale va ricava sia in base al dichiarato, stante che i costi ammontavano al 90%, sia considerato che lo studio di settore applicabile prevede un utile lordo non superiore al 20% ‘.
6.2. In generale è a rilevarsi che il motivo è inammissibile: sia perché cumulativo, senza che il successivo sviluppo argomentativo
consenta di enucleare specifiche cesure da ragguagliare a specifiche violazioni di legge, tutte invece indistintamente enunciate in un’unica eterogenea rubrica; sia perché, in relazione, segnatamente, ai punti 4 e 5, deduce questioni esclusivamente meritali.
6.3. Fatta tale premessa, ad ogni buon conto, si procede ad un’analisi dettagliata punto per punto, evidenziando le ulteriori ragioni d’inammissibilità e comunque di manifesta infondatezza.
6.4. Punto 1. La censura è inammissibile. Nel silenzio della sentenza impugnata, non emerge, in totale difetto di precisione ed autosufficienza, donde risulti né che il contribuente beneficiasse del regime di contabilità semplificata, né che la pretesa sottrazione all’obbligo della tenuta della contabilità di magazzino fosse questione devoluta già ai primi e di poi ai secondi giudici.
La censura è comunque infondata.
Infatti, per certo anteriormente – ma, per quel che si dirà, anche successivamente – all’art. 1, comma 22, l.n. 232 del 2016, che ha novellato il regime della ‘contabilità semplificata per le imprese minori’ ex art. 18 DPR n. 600 del 1973, i contribuenti in contabilità semplificata non si sottraevano (né si sottraggono) all’obbligo di tenere il dettaglio analitico del magazzino, ai sensi dell’art. 9, comma 1, d.l. n. 69 del 2009, conv. in l. n. 154 del 1989 .
Prima della novella – sotto il vigore della formulazione dell’art. 18, comma 2, DPR n. 600 del 1973 (che rileva ‘ratione temporis’ a fronte di accertamento per l’a.i. 2006) secondo cui ‘i soggetti che fruiscono dell’esonero, entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione annuale, indicano nel registro degli acquisti tenuto ai fini dell’imposta sul valore aggiunto il valore delle rimanenze’ -il dettaglio analitico di magazzino
confluiva, giust’appunto analiticamente per quantità e valori, nelle annotazioni del registro IVA acquisti di cui a tale disposizione .
Per completezza mette conto di aggiungere che, come anticipato, la redazione del dettaglio analitico di magazzino resta obbligatorio per i contribuenti in contabilità semplificata anche dopo la novella: invero – pur a fronte della possibilità di adottare il regime di contabilità semplificata ‘per cassa’, secondo il criterio della ‘registrazione’, comportante che incassi e pagamenti assumono la data della registrazione dei relativi documenti fiscali (con conseguente esautoramento delle rimanenze di magazzino dalla determinazione reddituale) – nondimeno non sono stati mai abrogati né, sul piano fiscale, l’art. 9, comma 1, d.l. n. 69 del 1989 e correlativamente l’art. 2, comma 2, decr. Min. Fin. 2 maggio 1989 (‘Entro lo stesso termine di cui al precedente comma 1, deve, altresì, essere annotato, nel registro degli acquisti tenuto ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, ovvero nell’apposito registro per coloro che effettuano soltanto operazioni non soggette a registrazione ai fini di tale imposta, il valore delle rimanenze, previste dagli articoli 59 e 61 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, raggruppate in categorie omogenee per natura e per valore, indicando altresì i criteri seguiti per la loro valutazione. La distinta indicazione delle quantità e dei valori, nonché dei criteri di valutazione, può essere effettuata, entro il medesimo termine, in apposito prospetto di dettaglio’); né, sul piano civilistico, l’art. 2217 cod. civ. (che impone la predisposizione dell’inventario). Talché, i contribuenti in contabilità semplificata per cassa, non potendo più far confluire il dettaglio di magazzino nel registro IVA acquisiti, sono anzi espressamente tenuti a compilare e redigere apposita scrittura (tra l’altro comunque necessaria ai fini della compilazione dello studio di settore) riepilogando le
rimanenze finali nel mod. Redditi PF (persone fisiche) o SSP (società di persone) tra i dati che (conseguentemente) non concorrono alla determinazione del reddito.
6.5. Punto 2. Valgono le medesime considerazioni già svolte a proposito del secondo e del terzo motivo. Pare solo il caso di ribadire che esso non si confronta con l’effettiva ‘ratio decidendi’ sottesa alla sentenza impugnata, la quale, considerando la documentazione prodotta dal contribuente, l’ha ritenuta inidonea a soddisfare i requisiti dell’art. 15, comma 2, DPR n 600 del 1973; né esso, in difetto di autosufficienza, documenta che ‘i prospetti ed inventari’ prodotti contenevano ‘le distinte categorie di merci ed i relativi valori’.
Tenuto presente che, come visto nella disamina del punto 1, i contribuenti in contabilità semplificata soggiacciono all’obbligo di tenere il dettaglio analitico del magazzino, vale il principio di diritto, recentemente esplicitato sulla base di conformi antecedenti arresti, secondo cui, ‘in tema di imposte sui redditi di impresa, le imprese minori, che fruiscono del regime di contabilità semplificata, ai sensi dell’art. 18 del d.P.R. n. 600 del 1973, sono tenute ad indicare ogni anno nel registro degli acquisti, tenuto ai fini IVA, il valore delle rimanenze di magazzino, distinguendo i beni per categorie omogenee, del medesimo tipo e della stessa quantità, secondo la normativa sulla valutazione delle rimanenze, non potendosi limitare ad annotare solo quello globale; in assenza di tali indicazioni -che, ove fatte oggetto di una richiesta da parte dei verificatori, possono essere fornite dal contribuente anche in sede procedimentale durante l’accesso, l’ispezione e la verifica -l’Amministrazione finanziaria può ritenere inattendibile la contabilità e procedere all’accertamento induttivo’ (Cass. n. 1861 del 2025, cui si rinvia anche per le citazioni giurisprudenziali).
6.6. Punto 3. La censura è manifestamente infondata. Fermo tutto quanto già detto sin qui, v’è solo da aggiungere che, ‘in tema di accertamento dei redditi, costituisce presupposto per procedere col metodo analitico -induttivo’ – ma identicamente è dirsi per il metodo induttivo – ‘la complessiva inattendibilità della contabilità, da valutarsi sulla base di presunzioni ex art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600, del 1973, alla stregua di criteri di ragionevolezza, ancorché le scritture contabili siano formalmente corrette; dette presunzioni non devono essere necessariamente plurime, potendosi il convincimento del giudice fondare anche su un elemento unico, preciso e grave’ (Cass. n. 22184 del 2020, in un caso in cui la S.C. ha cassato la sentenza di merito che non aveva valorizzato l’unica presunzione posta a fondamento dell’avviso di accertamento ex art 39 cit, costituita dal consumo di energia elettrica, presunzione dalla quale l’Ufficio era risalito alla quantificazione dei redditi di un’impresa di autolavaggio).
6.7. Punto 4. La censura è inammissibile. Scontando, ‘ab origine’, la mancata riproduzione dell’avviso, dà per presupposto un rinvio di questo ad un non meglio specificato ‘studio di settore’, senza offrirne testuale contezza. Inoltre, recrimina la mancata condivisione di ‘ragioni del ricorrente’ neppure riassunte e men che meno supportate mediante idonei richiami documentali. Infine, non esprime in alcun modo quale fosse la ‘reale situazione economica dell’attività imprenditoriale del ricorrente’.
In definitiva, la censura è totalmente generica.
6.8. Punto 5. La censura è inammissibile. È totalmente sfornita di autosufficienza. In aggiunta è affetta da patente imprecisione a misura che neppure individua, con nettezza, la percentuale di costi sui maggiori ricavi ritenuta applicabile, percentuale indicata nel 90, o quantomeno nell’80 ed infine nel 70%.
Esaurita la trattazione del ricorso principale, può procedersi alla disamina dell’unico motivo del ricorso incidentale.
A mezzo di esso si denuncia: ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39 comma 2 lettera d) del DPR 600/73 e dell’art. 55 c 2 del DPR 633/72, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’.
8.1. In punto di ‘quantificazione della percentuale di incidenza dei costi sui maggiori ricavi accertati, individuata in ragione del 55% anziché del 30%, come avevano fatto i giudici di prim cur’, ‘l’Ufficio, nell’individuare i maggiori ricavi, ha effettuato un procedimento di accertamento attraverso il quale li ha ricostruiti sulla base della determinazione di un maggior costo del venduto ‘. A questo ‘è stata applicata una percentuale di ricarico pervenendo alla determinazione dei maggiori ricavi e volume di affari’. ‘In buona sostanza, l’Ufficio aveva già provveduto al congruo riconoscimento dei costi correlati ai maggiori ricavi accertati, coerentemente con il procedimento di accertamento seguito’.
8.2. Il motivo è inammissibile.
Cade in difetto di precisione ed autosufficienza, non riproducendo la motivazione dell’avviso di accertamento, ragion per cui è materialmente impedito l’apprezzamento della censura.
In definitiva: vanno rigettati sia il ricorso principale che l’incidentale.
Il rigetto del primo comporta che il contribuente sia tenuto al pagamento del cd. doppio contributo.
10.1. In punto di spese, in ragione della reciproca soccombenza, ritiene il Collegio che le stesse debbano essere compensate.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale.
Rigetta il ricorso incidentale.
Compensa tra le parti le spese del grado.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di COGNOME NOME , di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 24 aprile 2025.