Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27651 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 27651 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/10/2024
IRAP, IRPEG, IVA ACCERTAMENTO
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 20645/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO in virtù di mandato a margine del ricorso ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’AVV_NOTAIO in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Roma, in persona del Direttore AVV_NOTAIO pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura AVV_NOTAIO dello RAGIONE_SOCIALE, ove per legge domicilia in Roma, INDIRIZZO; -controricorrente -avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. della LOMBARDIA n. 1879/49/2016 depositata il 04/04/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2 ottobre 2024 dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso e comunque il rigetto; rilevato che nessuno è comparso all’udienza per la parte ricorrente per la quale valgono comunque le conclusioni di cui al ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO dell’Avvocatura generale dello RAGIONE_SOCIALE per la resistente RAGIONE_SOCIALE che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE, a seguito di una verifica fiscale della Guardia RAGIONE_SOCIALE Finanza, notificò alla RAGIONE_SOCIALE due avvisi di accertamento, l’uno recante n. NUMERO_DOCUMENTO per l’anno di imposta 2010 e l’altro, recante n. NUMERO_DOCUMENTO per l’anno di imposta 2011 con i quali l’Ufficio determinava un maggior reddito di impresa rispettivamente di euro 664.374,00 per l’anno di imposta 2010 e di euro 379.728,00 per l’anno di imposta 2011 con conseguenti maggiori Ires, Irap, Iva e sanzioni.
La società impugnava entrambi gli atti di accertamento innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano che, riuniti i ricorsi, li respingeva con la sentenza 5545/23/2015 del 18/06/15.
La società proponeva appello avverso la sentenza di primo grado; l’RAGIONE_SOCIALE finanziaria si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’impugnazione. L’adita Commissione tributaria regionale di Milano, con la sentenza n. 1879/49/16 del 04/04/2016, respingeva l’impugnazione.
La società RAGIONE_SOCIALE ricorre avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Milano affidando l’impugnazione a tre motivi:
L’RAGIONE_SOCIALE si è costituita con controricorso.
Fissata la pubblica udienza il Procuratore AVV_NOTAIO ha fatto pervenire conclusioni scritte chiedendo respingersi integralmente il ricorso.
Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 02/10/2024 e trattenuto in decisione sulle conclusioni innanzi riportate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la società denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 42 e 43 del d.P.R. 29/09/1973, n. 600,
in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ.. La ricorrente critica, in particolare, la sentenza impugnata nella parte in cui avrebbe errato nel ritenere che le contestazioni mosse alla RAGIONE_SOCIALE fossero autonome rispetto a quelle spiegate nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, e cioè della società che, secondo l’accertamento fiscale, aveva ceduto alla società ricorrente merce senza emissione di fattura negli anni dal 2007 al 2010, perché al contrario si tratterebbe di un accertamento che illegittimamente aveva addossato alla società contribuente condotte illecite ascrivibili a un terzo. Per questa via la motivazione della sentenza avrebbe errato nel ritenere che l’Ufficio avesse assolto all’onere probatorio su di esso gravante offrendo una prova adeguata dei fatti all’origine della pretesa fiscale; sarebbe mancata la conoscibilità e l’opponibilità alla società contribuente degli atti adottati nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
1.1. Il motivo è infondato perché non coglie la ratio decidendi della sentenza della Commissione tributaria regionale. Secondo la decisione impugnata l’accertamento è fondato sulla sussistenza di acquisti di merci non contabilizzati e dal rilievo di gravi irregolarità contabili (mancata tenuta dei registri sulle rimanenze) verificate nei confronti della società ricorrente in modo del tutto autonomo rispetto alla vicenda ascrivibile alla RAGIONE_SOCIALE, tali circostanze sarebbero idonee a giustificare il ricorso alla modalità induttiva di ricostruzione del reddito. Orbene, fermo l’accertamento in fatto che è sottratto al sindacato di legittimità di questa Corte e che sorregge le affermazioni della Commissione tributaria regionale, la motivazione conseguente della pronuncia impugnata appare coerente, logica e del tutto conforme ai principi di diritto affermati da questa Corte nella stessa materia. In proposito si consideri che «in materia di imposte sui redditi, anche le imprese minori, che fruiscono del regime di contabilità semplificata, ai sensi dell’art. 18 del d.P.R. n. 600 del 1973, devono indicare ogni anno nel registro
degli acquisti, tenuto ai fini IVA, il valore RAGIONE_SOCIALE rimanenze, senza limitarsi ad annotare quello globale, ma distinguendo i beni per categorie omogenee, del medesimo tipo e della stessa quantità, con analiticità adeguata rispetto all’attività esercitata, analiticità che può essere sindacata dall’Ufficio solo ove il difetto della stessa impedisca in concreto l’esercizio della funzione di controllo; in assenza di tali indicazioni – che ove fatte oggetto di richiesta da parte dei verificatori possono essere fornite dal contribuente anche in sede procedimentale durante l’accesso, l’ispezione e la verifica l’amministrazione finanziaria può ritenere inattendibile la contabilità e procedere all’accertamento induttivo» (Cass. 13/11/2018, n. 29105) e che « In tema di avviso di accertamento in rettifica RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni IVA, IRPEG ed ILOR a carico della società e dell’IRPEF, SSN e CSE a carico dei soci, rispettivamente l’art. 55 del d.P.R. n. 633 del 1972 e l’art 39, comma 2, lett. c) del d.P.R. n. 600 del 1973, permettono il ricorso al metodo induttivo allorché il contribuente non abbia consentito l’ispezione di una o più scritture contabili obbligatorie, com’è, ai sensi dell’art. 2214 cod. civ., il libro degli inventari; né è rilevante che la indisponibilità di esso sia incolpevole, poiché, comunque, la circostanza in sé integra il requisito normativo della incompletezza della contabilità, con conseguente inattendibilità RAGIONE_SOCIALE sue risultanze» (Cass. 21/04/2011, n. 9201).
Con il secondo motivo di ricorso la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, del d.P.R. 29/09/1973, n. 600 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ.. In particolare la RAGIONE_SOCIALE critica la motivazione della sentenza di appello per avere ritenuto esente da censure il procedimento adottato dall’Ufficio nella ricostruzione induttiva dei ricavi: difetterebbero circostanze gravi, precisi e concordanti perché non sarebbe stato effettuato un inventario generale RAGIONE_SOCIALE merci da porre a base dell’accertamento e perché la
percentuale riferita dall’amministratore era relativa solo a un tipo merceologico e non a tutto il venduto.
2.1. Il motivo è infondato, la motivazione della sentenza ha considerato legittimo l’accertamento che ha calcolato il valore RAGIONE_SOCIALE merci acquistate in modo occulto e verosimilmente rivendute e ha, di seguito, applicato una percentuale media di ricarico. I passaggi della motivazione sono, per questa via, coerenti con i principi affermati in materia da questa Corte: «in tema di accertamento analitico-induttivo, a fronte dell’incompletezza, falsità o inesattezza dei dati contenuti nelle scritture contabili, l’amministrazione finanziaria può completare le lacune riscontrate utilizzando, ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici, aventi i requisiti di cui all’art. 2729 c.c., con la conseguenza che l’onere della prova si sposta sul contribuente e che l’eventuale errore qualificatorio del giudice di merito, sul tipo di accertamento, non rileva “ex se” come violazione di legge, ma refluisce in un errore sulla selezione e valutazione del materiale probatorio ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.» (Cass. 02/11/2021, n. 30985); «in tema di accertamento del reddito di impresa, la verifica dei maggiori ricavi non dichiarati dall’impresa commerciale, pur dovendo in linea di massima essere condotta attraverso la determinazione della percentuale di ricarico dei prezzi di vendita rispetto a quelli di acquisto fondata su un campione di merci rappresentativo e adeguato per qualità e quantità rispetto al fatturato complessivo, può essere svolta in via induttiva ex art. 39, d.P.R. n. 600 del 1973, sulla base di dati o notizie conosciute dall’RAGIONE_SOCIALE finanziaria, allorché vi sia omessa o irregolare tenuta RAGIONE_SOCIALE scritture ausiliarie di magazzino, non potendosi in tal caso procedere alla corretta analisi del contenuto dell’inventario e dunque alla ricostruzione analitica dei ricavi di esercizio» (Cass. 29/03/2021, n. 8698). Va, peraltro, sottolineato che, come affermato dalla sentenza, come emergente
dal processo verbale di constatazione e mai efficacemente contestato dalla società, la percentuale di ricarico applicata, pari all’85% è stata sostanzialmente indicata come la più plausibile, e con considerevole diminuzione rispetto a quanto ipotizzato in un primo momento dall’Ufficio, dallo stesso amministratore della società.
Con il terzo motivo di ricorso la RAGIONE_SOCIALE deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 3, del d.lgs. 18/12/1997, n. 472, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ. In particolare la parte ricorrente critica la sentenza impugnata per avere ritenuto imputabile agli amministratori della società la mancata tenuta RAGIONE_SOCIALE scritture contabili e non applicabile la causa di non punibilità derivante dalla condotta omissiva del commercialista al quale era stata affidata la contabilità, professionista nei confronti del quale la società avrebbe di seguito sporto denuncia/querela.
3.1. Il motivo è infondato. La sentenza impugnata esclude l’assorbente responsabilità del commercialista perché si trattava di violazioni formali, come la mancata tenuta di registri obbligatori, e talmente macroscopiche da non poter sfuggire anche ad un sommario controllo degli amministratori circa i compiti affidati al professionista, denunciato in sede penale per l’omissione solo dopo l’accertamento con un procedimento del quale, a distanza di anni, non viene riferito l’esito. La motivazione della sentenza valorizza, in questo modo, circostanze pertinenti e argomenta in modo del tutto coerente con i principi affermati da questa Corte circa l’astratta applicabilità della esimente invocata. In proposito vale richiamare la pronuncia di questa Corte secondo la quale «in tema di sanzioni amministrative tributarie, l’esimente di cui all’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997 si applica in caso di inadempimento al pagamento di un tributo imputabile esclusivamente ad un soggetto terzo (di regola l’intermediario cui è stato attribuito l’incarico, oltre
che della tenuta della contabilità e dell’effettuazione RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni fiscali, di provvedere ai pagamenti), purché il contribuente abbia adempiuto all’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria e non abbia tenuto una condotta colpevole ai sensi dell’art. 5, comma 1, del detto decreto, nemmeno sotto il profilo della culpa in vigilando» (Cass. 07/11/2018, n. 28359). Il ricorso non attinge, poi, la motivazione perché non si spinge al di là del generico richiamo alla disposizione dettata dall’art. 6 del citato d.lgs. 472/1997, afferma erroneamente che ai fini della applicazione dell’esimente sarebbe sufficiente la prova dell’avvenuta denuncia del professionista e, in concreto, non indica nessun elemento idoneo a consentire la sussunzione della fattispecie nella norma invocata che la sentenza avrebbe travisato o trascurato.
Il ricorso merita, allora, integrale rigetto. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a corrispondere all’RAGIONE_SOCIALE le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.000,00 (diecimila), a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 2 ottobre 2024.