Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25562 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25562 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/09/2024
Oggetto: accertamento induttivo – onere della prova
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3701/2016 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, NOME COGNOME e NOME COGNOME, tutti rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (PEC: EMAIL), con il quale sono domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (PEC: EMAIL), in forza di procura speciale a margine del ricorso
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Roma, in persona del Direttore RAGIONE_SOCIALE pro tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, nei cui uffici domicilia in Roma, alla INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia -Milano, depositata il 2 luglio 2015, n. 2960/2015; Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 settembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DELLA CAUSA
Risulta dalla sentenza impugnata che l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva accertato, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e dei soci COGNOME NOME e COGNOME NOME, esercenti l’attività di ‘servizi dei saloni di barbiere e parrucchiere’, un maggior reddito d’impresa pari a 161.729 euro per l’anno 2007 e a 163.418 euro per l’anno 200 8, notificando loro i relativi avvisi.
L’accertamento traeva origine dall’incongruità del reddito dichiarato rispetto al costo del lavoro sostenuto nelle annualità in questione, in ordine alla quale l’ufficio aveva inviato un questionario a cui la società aveva risposto producendo documentazione.
L’RAGIONE_SOCIALE, tenuto conto del numero dei dipendenti impiegati, oltre ai due soci, e del fatto che per il 2007 erano stati dichiarati redditi per soli euro 6.295, mentre per il 2008 era stata dichiarata una perdita di euro 23.770, riteneva che i risultati conseguiti non fossero congrui rispetto alle caratteristiche e alle modalità di svolgimento dell’attività e sicuramente non idonei a remunerare il lavoro dei soci e il rischio d’impresa, rilevando quindi una condotta antieconomica nonostante la presenza di scritture contabili formalmente corrette.
Procedeva quindi ad accertare maggiori redditi d’impresa con metodo analitico-induttivo, operando la ricostruzione indiretta dei ricavi, attraverso la determinazione RAGIONE_SOCIALE ore lavorate in relazione al numero dei lavoratori impiegati, moltiplicate poi per la resa oraria media, al netto dei c.d. ‘tempi morti’ e dell’IVA.
Contro gli atti impositivi società e soci presentavano autonomi ricorsi, che venivano rigettati dalla CTP.
Contro questa decisione proponevano appello i contribuenti, lamentando che «il fatto di produrre pochi o insufficienti utili e di
avere ‘troppi’ dipendenti non poteva, in ogni caso, essere considerato come presunzione grave, precisa e concordante». Rilevavano, altresì, che, per le annualità in oggetto, la società era risultata ‘congrua’ agli studi di settore e che, proprio per i poch i redditi prodotti, la società aveva cessato la propria attività in data 13 luglio 2013.
La CTR rigettava l’appello, rilevando peraltro l’inammissibilità del motivo proposto solo in sede di impugnazione con riferimento alla congruità rispetto agli studi di settore. Riteneva, nel merito, gravi precisi e concordanti le presunzioni utilizzate dal l’ufficio impositore in relazione alla forza lavoro impiegata nell’attività, alla specifica struttura organizzativa dell’impresa e al costo annuale del personale, che lasciavano fondatamente ritenere come il reddito d’impresa dichiarato fosse assolutamente non congruo a remunerare il lavoro del titolare e il rischio aziendale, anche alla luce del fatto che per molti periodi di imposta consecutivi (dal 2005 al 2009) la società aveva dichiarato perdite di impresa oppure redditi di impresa addirittura inferiori a quelli dei propri dipendenti, sintomo evidente di una condotta antieconomica.
Contro tale sentenza la RAGIONE_SOCIALE e i soci COGNOME NOME e NOME propongono ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, 54, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1973 e 62sexies del D.L. n. 441 del 1993. Secondo i ricorrenti, le presunzioni utilizzate dall’RAGIONE_SOCIALE non rivestirebbero le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza richieste dal citato art. 39, comma 1, per procedere alla rettifica del reddito. I giudici di merito non avrebbero tenuto conto del fatto che alla struttura organizzativa dell’impresa potrebbe non
corrispondere in concreto un corrispondente afflusso di clientela e che gli elevati costi del personale, cui non corrispondevano adeguati redditi di impresa prodotti, potevano giustificarsi in relazione alle difficoltà di procedere ai licenziamenti necessari oppure a una insufficiente capacità imprenditoriale, fermo restando lo scarsamente significativo scostamento rispetto alle risultanze degli studi di settore.
Con il secondo motivo di ricorso, sempre proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 118, comma 2, disp. att. c.p.c. Secondo i ricorrenti, la CTR non avrebbe deciso su due motivi di ricorso proposti sin dal primo grado, attinenti alla carenza di motivazione degli avvisi di accertamento e alla richiesta di riduzione della pretesa fiscale.
Con il terzo motivo di ricorso, ancora proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli: 66, 67 e 68 del d.lgs. n. 300 del 1999; 4, comma 3, e 19 del d.lgs. n. 165 del 2001; 1, comma 2, della legge n. 241 del 1990; 42, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 600 del 1973; 56, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972; 20, comma 1, lett. a) e b), del d.P.R. n. 266 del 1987.
Secondo i ricorrenti, gli avvisi di accertamento oggetto di impugnazione sarebbero nulli in quanto sottoscritti da soggetto non legittimato, perché privo della qualifica di dirigente di prima o di seconda fascia.
Con il quarto motivo di ricorso, anch’esso proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c.
Avrebbe errato la CTR nel disporre la condanna alle spese in favore dell’autorità amministrativa che si era difesa in giudizio avvalendosi di un proprio funzionario appositamente delegato.
Il primo motivo è inammissibile.
Come evidenziato dalla controricorrente RAGIONE_SOCIALE, i ricorrenti puntano in realtà a sollecitare un riesame della quaestio facti e ad ottenere un diverso apprezzamento RAGIONE_SOCIALE emergenze istruttorie, che hanno già costituito oggetto di valutazione (concorde) ad opera dei giudici di entrambi i gradi di merito (Sez. 5, Ordinanza n. 12240 del 06/05/2024, n. 12240; Sez. 5, Ordinanza n. 19363 del 15/7/2024).
Impropriamente utilizzando il veicolo processuale della censura di violazione e/o falsa applicazione di legge, infatti, si critica la valutazione RAGIONE_SOCIALE prove non legali che – secondo un consolidato orientamento di legittimità – è un tipico accertamento di fatto rimesso alla valutazione del giudice di merito e sottratto allo scrutinio di legittimità, a condizione che la sentenza impugnata -come avviene nella specie -esibisca una motivazione eccedente la soglia del ‘minimo costituzionale’ (da ultimo, Cass. S.U. Sentenza n. 5792 del 05/03/2024; Cassazione civile sez. II, 17/05/2024, n.13792; Cassazione civile sez. III, 15/05/2024, n. 13444).
6. Il secondo motivo è infondato.
Là dove lamenta che la CTR non si sia pronunciata sull’eccezione di carenza di motivazione degli avvisi di accertamento, la censura è smentita dall’esame degli atti: i giudici di secondo grado, a pag. 2 della sentenza qui impugnata, hanno condiviso la valutazione operata dai giudici di primo grado, ritenendo che negli atti impositivi ‘le ragioni della pretesa state esposte in maniera chiara ed esaustiva’, indicando anche la metodologia di calcolo dei ricavi adottata. Si tratta di una motivazione certamente sintetica, che tuttavia supera ampiamente il minimo costituzionale richiesto ai fini della comprensione del percorso logico-giuridico seguito.
Quanto alla prospettata omessa motivazione in ordine alla richiesta di riduzione della pretesa fiscale, in disparte un profilo d’inammissibilità della censura in relazione al mezzo d’impugnazione prescelto -dal momento che (come ribadito da Sez. L, Ordinanza n. 29952 del 13/10/2022, rv. 66582201), l’omessa pronuncia su una
domanda, un’eccezione o un’istanza ritualmente introdotte in giudizio, risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo , ovverosia della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c. la CTR ha implicitamente deciso sull’eccezione (nel senso del suo rigetto), avendo speso argomentazioni sulla fondatezza dell’intera pretesa fiscale, incompatibili con l’accoglimento dell’eccezione stessa. Come ribadito da Cass. Sez. 3, ordinanza n. 12131 del 08/05/2023 (rv. 667614-01), infatti, è configurabile la decisione implicita di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio) quando queste risultino superate e travolte, benché non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di un’altra questione (qui, quella sulla fondatezza della pretesa fiscale), il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza.
Il terzo motivo è inammissibile, come eccepito dalla controricorrente, in quanto proposto per la prima volta in sede di appello, come rilevato anche dalla sentenza impugnata.
In tema di contenzioso tributario, infatti, è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione con cui si denunci un vizio dell’atto impugnato diverso da quelli originariamente allegati, senza che possa essere censurato l’omesso rilievo d’ufficio della n ullità, atteso che, nel giudizio tributario, in conseguenza della sua struttura impugnatoria, opera il principio generale di conversione dei motivi di nullità dell’atto tributario in motivi di gravame, sicché l’invalidità non può essere rilevata d’ufficio, né può essere fatta valere per la prima volta in sede di legittimità (Cass. Sez. 5, ordinanza n. 19929 del 23/09/2020, rv. 659043-01; più di recente, Cass., Sez. 5, sentenza n. 10587 del 18/04/2024; Cass. 5, Ordinanza n. 15919 del 6/6/2024).
8. Il quarto motivo è infondato. Questa Corte (Sez. 5, Ordinanza n. 1019 del 10/01/2024), ha ribadito che, nel processo tributario, all’Amministrazione finanziaria che sia stata assistita in giudizio da propri funzionari o da propri dipendenti, in caso di vittoria della lite, spetta la liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese, la quale deve essere effettuata mediante applicazione della tariffa ovvero dei parametri vigenti per gli avvocati, con la riduzione del venti per cento dei compensi ad essi spettanti, atteso che l’espresso riferimento ai compensi per l’attività difensiva svolta, ora contenuto nell’art. 15, comma 2-bis, del d.lgs. n. 546 del 1992, ma comunque da sempre previsto da detto articolo, conferma il diritto dell’ente alla rifusione dei costi sostenuti e dei compensi per l’assistenza tecnica fornita dai propri dipendenti che siano legittimati a svolgere attività difensiva nel processo.
Il ricorso va, dunque, rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
PQM
Rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, che si liquidano in euro 5.600 oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis RAGIONE_SOCIALE stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso, in Roma, il 18 settembre 2024.