Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23749 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23749 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19686/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del suo curatore p.t., elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende -ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende
-controricorrente e ricorrente incidentale-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA TOSCANA n. 4/2021 depositata il 14/01/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/07/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La curatela fallimentare formulava istanza di rimborso Iva in relazione al periodo d’imposta 2014. Essa veniva, pertanto, invitata a produrre documentazione utile all’esame della posizione fiscale nei periodi 2010-2013. La curatela era, quindi, raggiunta da tre avvisi di accertamento, mediante i quali, con riferimento agli anni 2011, 2012 e 2013, sulla base dell’avvenuto riscontro di plurime irregolarità nella tenuta delle scritture contabili, l’Agenzia recuperava importi Ires, Irap e Iva. In particolare, l’Ufficio rideterminava induttivamente il reddito d’impresa sulla base dei dati raccolti, ricorrendo a presunzioni semplici ex art. 39, co. 2, d.P.R. n. 600 del 1973, venendo in rilievo un caso di mancata tenuta e produzione di scritture contabili (segnatamente libro inventari e distinta delle rimanenze). Detti atti impositivi venivano impugnati dalla curatela con distinti ricorsi che la CTP di Firenze riuniva e rigettava. Il successivo appello della curatela è stato accolto limitatamente al 2013 ed è stato respinto con riferimento alle altre due annualità. Il ricorso per cassazione della curatela è affidato a tre motivi. Resiste l’Agenzia, la quale avanza, inoltre, ricorso incidentale incentrato su due motivi. La curatela ha depositato successivo controricorso.
RAGIO
NI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso principale la curatela adombra la nullità della sentenza per apparenza della motivazione, in violazione degli artt. 36, co. 2, n. 4 e 61, D.Lgs. n. 546 del 1992, 112 e 132, co. 2, n. 4, 118 disp. Att. c.p.c., in relazione al
combinato disposto con l’art. 1, co. 2, D.Lgs. n. 546 del 1992 e dei principi generali sulla motivazione dei provvedimenti giurisdizionali sanciti dall’art. 111, co. 6 e 7, Cost., avuto riguardo all’art. 360, n. 4, c.p.c.
Con il secondo motivo di ricorso principale la curatela contesta l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, dai quali ‘ se esaminati, sarebbe emersa l’inverosimiglianza di maggior reddito presuntivamente attribuito dall’Amministrazione alla contribuente ‘, avuto riguardo all’art. 360, n. 5, c.p.c.
Con il terzo motivo di ricorso principale la curatela lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. e 39, co. 2, d.P.R. n. 600 del 1973, anche in relazione all’art. 2697 c.c. e ai principi costituzionali sanciti dagli artt. 3, 24 e 53 Cost, avuto riguardo all’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere la CTR trascurato di considerare gli elementi di prova addotti dal contribuente.
Con il primo motivo di ricorso incidentale l’Agenzia assume l’avvenuta violazione e falsa applicazione dell’art. 39, co. 2, d.P.R. n. 600 del 1973 nonché degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. e degli artt. 2697, 2727, 2729 c.c. e 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per avere la CTR ritenuto l’illegittimità dei recuperi impositivi relativi al 2013.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale l’Agenzia lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., per avere la CTR omesso, con riguardo all’anno 2013, di dare rilievo ad alcune circostanze dedotte dall’Ufficio, tra cui quella della cessione di beni in evasione d’imposta, l’ancoraggio del calcolo del reddito al costo del venduto risultante dai dati contabili dichiarati dalla contribuente, l’avvenuto acquisto di materie prime e prodotti finiti nell’anno 2013.
Il primo motivo del ricorso principale è infondato.
La motivazione della sentenza è idonea a farne cogliere a pieno la ratio decidendi.
Ed invero, il giudice d’appello ha evidenziato che relativamente alle annualità 2011 e 2012 la contribuente non ha ‘ prodotto (come invece richiesto dall’Agenzia) il libro degli inventari, né la distinta delle rimanenze, la cui tenuta è obbligatoriamente prevista dagli artt. 13, 14 e 15 del DPR n. 600 del 1973’.
La CTR ha soggiunto che nelle annualità anzidette ‘il conto cassa ha evidenziato saldi giornalieri negativi … e la società ha patrimonializzato delle rimanenze di magazzino ‘ trattandole alla stregua di ‘ spese di avviamento di nuovi impianti di produzione ‘.
La CTR ha puntualmente evidenziato che l’Amministrazione, in mancanza del libro inventari e della distinta delle rimanenze, ha valorizzato altri dati ‘raccolti’.
In particolare, con riferimento al 2012, a fronte di un importo considerevole di acquisti e di un’esigua indicazione di vendite (102.123,00 al cospetto di 6.638,00 e di rimanenze pari all’importo di 3.359,00), l’Amministrazione ha recuperato il valore di quanto acquistato, non trovandolo né nel ‘venduto’, né tra le ‘rimanenze’, quindi presumendo sia stato alienato ‘in nero’.
La CTR si è posta, in tal modo, sul condiviso crinale ermeneutico in base al quale in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 15 del d.P.R. n. 600 del 1973 prescrive che l’inventario, oltre agli elementi richiesti dal codice civile o da leggi speciali, deve specificare la consistenza dei beni raggruppati in categorie omogenee per natura e valore, nonché il valore attribuito a ciascun gruppo, sicché, in mancanza di tali allegazioni, le distinte utilizzate per la compilazione dell’inventario medesimo dovranno essere tenute a disposizione dell’Ufficio delle imposte (Cass. n. 8431 del 2017).
È anche essenziale considerare che la verifica dei maggiori ricavi non dichiarati dall’impresa commerciale, pur dovendo in linea di
massima essere condotta attraverso la determinazione della percentuale di ricarico dei prezzi di vendita rispetto a quelli di acquisto fondata su un campione di merci rappresentativo e adeguato per qualità e quantità rispetto al fatturato complessivo, può essere svolta in via induttiva ex art. 39, d.P.R. n. 600 del 1973, sulla base di dati o notizie conosciute dall’Amministrazione finanziaria, allorché vi sia omessa o irregolare tenuta delle scritture ausiliarie di magazzino, non potendosi in tal caso procedere alla corretta analisi del contenuto dell’inventario e dunque alla ricostruzione analitica dei ricavi di esercizio (Cass. n. 8698 del 2021).
La rilevanza fiscale delle evidenze contabili di cui si discute, le c.d. scritture ausiliarie di magazzino, è espressamente prevista dal citato d.p.r. n. 600 del 1973, art. 15, co. 2, che prescrive che ‘ l’inventario, oltre agli elementi prescritti dal codice civile o da leggi speciali, deve indicare la consistenza dei beni raggruppati in categorie omogenee per natura e valore e il valore attribuito a ciascun gruppo. Ove dall’inventario non si rilevino gli elementi che costituiscono ciascun gruppo e la loro ubicazione, devono essere tenute a disposizione dell’ufficio delle imposte le distinte che sono servite per la compilazione dell’inventario “.
Pertanto, in caso di omessa presentazione del prospetto analitico delle rimanenze iniziali e finali, l’ufficio può procedere ad accertamento di tipo induttivo, attraverso una determinazione della percentuale di ricarico dei prezzi di vendita rispetto a quelli di acquisto. L’omissione delle scritture ausiliarie di magazzino, infatti, generando un impedimento alla corretta analisi dei contenuti dell’inventario, rifluisce indubbiamente sulla possibilità per gli accertatori di ricostruire analiticamente i ricavi di esercizio e determina perciò quella “inattendibilità complessiva delle scritture contabili” che è presupposto normativamente previsto ai fini del ricorso alla modalità induttiva dell’accertamento (Cass. n. 14501
del 2015, Cass. n. 7653 del 2012, Cass. n. 16499 del 2006, Cass. n. 13816 del 2003).
Il secondo motivo del ricorso principale è inammissibile.
Esso è palesemente inidoneo a chiarire la decisività degli elementi che si adducono tralasciati dal giudice d’appello, la cui sentenza rende ben visibile la ratio decidendi a proprio supporto.
Il terzo motivo del ricorso principale non coglie a sua volta nel segno e va disatteso.
Il giudice d’appello ha primariamente valorizzato le circostanze esplicitate in sede di esame del primo motivo.
A fronte di un preciso accertamento in fatto della CTR, svolto nell’esercizio del sindacato di merito ad essa riservato, la censura, non solo -come chiarito in sede d’esame del secondo motivo non è idonea a corroborare la decisività degli elementi asseritamente trascurati dal giudice d’appello, ma si risolve in una contestazione delle argomentazioni della sentenza impugnata nell’ottica di addivenire ad una più gratificante rivisitazione in parte qua del merito della controversia. In tal modo, la doglianza traligna dal modello tipico dell’art. 360 n. 3 c.p.c., finendo per risolversi nella richiesta al giudice di una rivisitazione sostanziale del merito della controversia, onde ottenerne una più appagante ricostruzione.
È noto che il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro
dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. n. 331 del 2020; Cass. n. 21197 del 20110).
Né in capo alla CTR fa capo l’obbligo di motivare partitamente su ciascuno degli elementi, delle circostanze, delle argomentazioni dedotte dalle parti, potendo il giudice limitarsi ad indicare quali elementi lo abbiano convinto ad assumere il provvedimento richiesto, ove dia dimostrazione d’aver considerato come nel caso di specie -, in ottemperanza all’obbligo di motivazione impostogli dall’art. 111, sesto comma, Cost., tutta la materia controversa (v. in tema Cass. n. 16856 del 2017; Cass. n. 21800 del 2013).
Il giudice regionale ha, in definitiva, maturato ed espresso il proprio libero convincimento. Il correlato principio, posto a fondamento dell’art. 116 c.p.c. evocato nella rubrica del mezzo di ricorso, opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice di merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali . In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora
consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass., Sez. Un., n. 20867 del 2020; Cass. n. 16016 del 2021).
I due motivi del ricorso incidentale sono suscettibili di trattazione unitaria per intima connessione; essi sono fondati e vanno accolti per quanto di ragione.
Il giudice regionale, con riferimento all’annualità 2013, si è invero limitata ad un’apodittica esclusione della legittimità e fondatezza del recupero fiscale.
La CTR, non solo ha obliterato del tutto di esporre le ragioni a sostegno della ritenuta illegittimità delle riprese fiscali correlate all’anno 2013, ma ha altresì mancato di confrontarsi con le circostanze dedotte dall’Ufficio, circostanze tra le quali figuravano la cessione di beni in evasione d’imposta, l’ancoraggio del calcolo del reddito al costo del venduto risultante dai dati contabili dichiarati dalla contribuente, l’avvenuto acquisto di materie prime e prodotti finiti nell’anno 2013.
A mancare è, dunque, un vero e proprio giudizio di fatto, non essendo stato reso percepibile, con riferimento al 2013 e alle correlate riprese fiscali, il fondamento della decisione, attraverso argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento.
In ultima analisi, il ricorso principale va rigettato, mentre va accolto il ricorso incidentale. La sentenza va cassata e la causa rinviata per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Toscana in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie i motivi di ricorso incidentale, rigetta il ricorso principale; cassa la sentenza d’appello in relazione ai motivi accolti e rinvia per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del presente
giudizio di legittimità alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Toscana in diversa composizione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 05/07/2024.