Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16368 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16368 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15538/2014 R.G. proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende
-resistente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. NAPOLI n. 415/2013 depositata il 09/12/2013.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/05/2024 dal Co: COGNOME NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il contribuente NOME COGNOME esercita la professione di dottore commercialista nel Comune di Paolisi, in agro di Benevento, ed era coerente con gli studi di settore per l’anno d’imposta 2006, per il quale era comunque destinatario di un questionario con richiesta di trasmissione dei registri iva acquisti e fatture emesse, nonché della documentazione di tutti i costi indicati nel quadro RE del Modello Unico 2007. All’esito del riscontro ed in assenza di contraddittorio ulteriore, veniva emesso avviso di accertamento con ricostruzione analitico -induttiva del reddito e con ripresa a tassazione della differenza fra quanto esposto in coerenza con gli studi di settore ed il di più accertato dall’Ufficio.
Il contribuente adiva il giudice di prossimità che apprezzava parzialmente le sue ragioni, per un verso statuendo l’illegittimo operato dell’Ufficio che non ha specificato i motivi che giustificano il ricorso all’accertamento induttivo, prescindendo dalle risultanze dello studio di settore e, per l’altro, avendo ricostruito il reddito professionale facendo applicazione RAGIONE_SOCIALE tariffe minime professionali, ormai abrogate.
Spiccava appello il Patrono erariale che trovava esito nel rigetto dell’originaria impugnazione del contribuente che quindi ricorre a questa Corte, affidandosi a cinque mezzi cassatori, mentre l’Avvocatura generale dello Stato si è riservata di spiegare difese in pubblica udienza.
La trattazione originariamente fissata per il 10 Marzo 2020 è stata rinviata in ragione della domanda di parte contribuente che ha dichiarato volersi avvalere della procedura di definizione agevolata di cui al decreto-legge numero 119 del 2018.
CONSIDERATO
Vengono proposti sei mezzi di impugnazione.
Con il primo motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360 numero 4 del codice di procedura civile per violazione degli articoli 22, comma primo, e 53, comma secondo, del decreto legislativo n. 546 del 1992. Nella sostanza si lamenta che l’Ufficio, pur essendosi avvalso del servizio postale per la notifica dell’atto d’appello, non abbia mai depositato la copia della ricevuta di spedizione della raccomandata postale con cui è stato inoltrato il medesimo gravame. Tale circostanza non sarebbe stata rilevata nella sentenza in scrutinio concretando così error in procedendo .
Il motivo è infondato, poiché a pagina 37 dello stesso ricorso introduttivo la parte ricorrente dà atto essere stato depositato in atti l’avviso di ricevimento dell’atto di appello, inoltrato a mezzo posta in data 19/2/2013. Ed infatti, nel processo tributario, non costituisce motivo d’inammissibilità del ricorso (o dell’appello), che sia stato notificato direttamente a mezzo del servizio postale universale, il fatto che il ricorrente (o l’appellante), al momento della costituzione entro il termine di trenta giorni dalla ricezione della raccomandata da parte del destinatario, depositi l’avviso di ricevimento del plico e non la ricevuta di spedizione, purché nell’avviso di ricevimento medesimo la data di spedizione sia asseverata dall’ufficio postale con stampigliatura meccanografica o con proprio timbro datario, oppure l’avviso di ricezione del plico sia certificata dall’agente postale come avvenuta entro il termine di decadenza per l’impugnazione dell’atto (o della sentenza) (cfr. Cass. S.U. n. 13452/2017).
Con il secondo motivo si prospetta censura ex art. 360 n. 3 e 4 del codice di rito civile per violazione dell’art. 53, primo comma, del d.lgs. n. 546/1992, nello specifico contestando che la sentenza in scrutinio abbia respinto l’eccezione di inammissibilità dell’appello per genericità dei motivi. Nella sostanza la parte contribuente si lamenta perché è stata ritenuta ammissibile l’impugnazione in appello dell’Ufficio con riproposizione RAGIONE_SOCIALE medesime argomentazioni sviluppate in primo grado a sostegno del proprio operato.
Il motivo non può essere accolto, dacché la sentenza in esame si è uniformata, richiamandoli, ai precedenti conformi di questa Corte in tema di specificità dei motivi di appello. Ed infatti, nel processo tributario, ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica previsto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992. (Cass. VI-5, n. 7369/2017, conf. n. 6302/2022).
Con il terzo motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione dell’articolo 10, comma 4bis , della legge numero 146 del 1998, nel testo introdotto dall’articolo 1, comma 17, della legge numero 296 del 2006. Nella sostanza si duole che non sia stata data motivazione RAGIONE_SOCIALE ragioni che inducono l’Ufficio a disattendere le risultanze degli studi di settore, condizione per procedere a rettifica in base al metodo sintetico-induttivo.
Il motivo non può essere accolto.
Se è pur vero che questa Corte ha ritenuto applicabile anche all’anno 2006, qui in rilievo, la disciplina invocata, non è men vero che legittimamente, come ha fatto, l’Ufficio poteva procedere a rettifica del reddito, pur congruente nel caso in questione con gli studi di settore.
Ed infatti, il divieto di effettuare le rettifiche sulla base di presunzioni semplici, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54, comma 2, ultimo periodo, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei confronti dei contribuenti che non superino la soglia del quaranta per cento di scostamento tra i ricavi o i compensi non dichiarati e quelli dichiarati, previsto dal comma 4bis dell’art. 10 della l. n. 146 del 1998 (comma inserito dall’art. 1,
comma 17, della l. n. 296 del 2006), ha avuto efficacia sin dall’anno d’imposta 2006, atteso che il comma 14 dell’art. 1 della stessa l. n. 296 del 2006, nel disporre l’applicazione, per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2006, degli «specifici indicatori di normalità economica», stabilisce, al suo ultimo periodo, che «si applicano le disposizioni di cui al comma 4bis dell’art. 10 della medesima legge» n. 146 del 1998 (cfr. Cass. V, n. 17990/2019). Tuttavia, questa disposizione non vincola l’Ufficio quando la discordanza fra congruità dello studio di settore ed accertamento superi il 40% (ovvero i 50 mila euro), profilo sussistente nel caso in esame, secondo gli stessi valori correttamente riportati nei primi due capoversi di pagina 1 della sentenza in esame e non contestati da parte contribuente.
Detto diversamente, la possibilità di procedere -senza ulteriori motivazioniall’accertamento analitico-induttivo, risiede nella rilevanza dello scostamento fra dichiarato ed accertato.
Donde il motivo non può essere accolto.
Con il quarto motivo di ricorso si profila censura in base all’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione degli articoli 2697 e 2729 del codice civile, nonché degli articoli 115 e 116 del codice di procedura civile, dell’articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica numero 917 del 1986, nonché dell’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1972.
Nella sostanza si critica la sentenza in scrutinio laddove ha ritenuto legittimo l’operato dell’Ufficio nel fare riferimento ai minimi tariffari, per un verso, ed i compensi percepiti per altro verso, utilizzando un ragionamento presuntivo inferendo i fatti ignoti dai fatti noti conosciuti in base ai dati forniti dallo stesso contribuente (cfr. § 4.2 e ss, sentenza in esame).
A fronte di tale procedimento presuntivo il collegio d’appello ha ritenuto che la parte contribuente non abbia opposto validi fatti impeditivi avendo richiamato solo in via astratta e non anche in
relazione ai singoli casi esaminati dall’RAGIONE_SOCIALE l’abrogazione RAGIONE_SOCIALE tariffe minime e l’applicazione del criterio di cassa, concludendo per il rigetto dell’eccezione, non essendone provato il fondamento.
Il motivo è inammissibile poiché mira a richiedere un diverso apprezzamento probatorio degli elementi offerti dalle parti rispetto a quello operato dalla sentenza in esame.
È appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (tra le tante: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610).
Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, RAGIONE_SOCIALE argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357).
Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita
confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).
Con il quinto ed ultimo motivo si prospetta ancora censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione dell’articolo 32 del decreto del Presidente della Repubblica numero 600 del 1973.
Nella sostanza si critica la circostanza che non siano state valutate le produzioni documentali relativamente agli anni 2007, 2008, 2009, sull’assunto che non erano state offerte in produzione al momento della richiesta di esibire la documentazione. Si afferma che la limitazione alla produzione successiva dei documenti attiene solo a quelli che siano stati espressamente richiesti, non potendo valere per i documenti per i quali non è stata fatta espressa richiesta di esibizione, con contestuale avvertimento di successiva impossibilità di produzione di ciò che non era stato prontamente mostrato.
Il motivo non può essere accolto. Ed infatti è qui in esame la situazione fiscale per l’anno di imposta 2006, in ordine al quale sono state richieste determinate documentazioni, irrilevanti essendo le produzioni relativamente agli anni 2007 e successivi, non richieste dall’amministrazione finanziaria e per le quali il ricorrente non chiarisce neanche la decisività.
In definitiva, il ricorso è infondato e dev’essere rigettato. Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità a favore dell’RAGIONE_SOCIALE che liquida in €.quattromilacento/00, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 23/05/2024.