Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22245 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22245 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 01/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16935/2020 R.G. proposto da : COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, già rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, deceduto, indi rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, in sostituzione del precedente difensore
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della SICILIA-SEZ.DIST. CATANIA n. 5822/2019 depositata il 11/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
In punto di fatto, dalla sentenza epigrafata emerge quanto segue:
Avverso la sentenza n. 6436/08/2017 della Commissione Tributaria Provinciale di Catania che rigettava il ricorso presentato dal Sig. COGNOME Giuseppe contro l’Agenzia delle Entrate -Ufficio di Catania -per l’annullamento di avviso di accertamento IRES -IRAP -IVA anno 2008, attività di commercio al dettaglio articoli oreficeria, gioielleria ed orologeria, conseguente a p.v. di accesso a seguito ripetuto in coerenza nella gestione del magazzino, per mancata produzione del prospetto analitico delle rimanenze, proponeva appello la parte contribuente lamentando carenza di motivazione della sentenza e insistendo sull’illegittimità dell’avviso impugnato per difetto di motivazione, per errata applicazione dell’art. 39 del DPR n. 600/73 e, in ogni caso, la insussistenza dei presunti maggiori ricavi accertati per errata applicazione della percentuale di ricarico; chiede, pertanto, la riforma della sentenza impugnata.
La CTR della Sicilia, con la sentenza epigrafata, nel contraddittorio dell’Agenzia delle entrate, rigettava l’appello, sulla base essenzialmente della seguente motivazione:
Non si ravvisano elementi tali da modificare il condivisibile giudizio già espresso dai primi giudicanti che hanno ritenuto sufficientemente motivato l’avviso di accertamento impugnato e fondati i rilievi dell’Ufficio oltre che corretta la metodologia seguita nel procedimento accertativo, con particolare riferimento alla mancata esibizione dei prospetti di dettaglio delle rimanenze iniziali e finali e conseguente legittimità del ricorso all’accertamento induttivo ex art. 39, comma 2, del DPR n. 600/73, posto che gli elenchi successivamente depositati non rispondono alle previsioni di legge relative alla predisposizione dei prospetti al dettaglio né ai criteri da adottare per gli inventari; è stata, altresì, rilevata estrema irregolarità nei documenti forniti. Conseguentemente, le violazioni devono ritenersi gravi e plurime. Parimenti legittima è stata giudicata la percentuale di ricarico applicata,
pari a quelle indicata dallo stesso contribuente nella denuncia dei redditi adeguata agli studi di settore. In effetti, nessun vizio di motivazione ravvisabile nell’atto impugnato, contenente tutti gli elementi necessari ad una corretta e piena informazione del contribuente.
Nella specie, è del tutto inconfutabile che, in sede di verifica, il ricorrente non abbia esibito ai verificatori alcun elenco delle rimanenze di magazzino per cui, sulla base di tale omissione, correttamente l’Ufficio ha ritenuto inattendibili le scritture contabili, in assenza dei dati relativi alle rimanenze di magazzino, essendosi limitato ad indicare nei registri e in dichiarazione il valore globale delle rimanenze senza nulla documentare in merito alla loro composizione per quantità e valori. A nulla rileva, quindi, la circostanza che gli elenchi delle rimanenze 2006/2007/2008 risulterebbero depositati all’Agenzia dopo l’accesso e ciò, soprattutto, in quanto tali elenchi, oltre ad essere stati solo successivamente depositati, non rispondono alle previsioni di legge per il dettaglio né ai criteri da adottare per gli inventari, non ottemperando all’onere della loro specificazione distinta per categorie omogenee di beni.
Invero, come rilevato in prime cure, il prospetto di magazzino non solo rappresenta un preciso obbligo fiscale ma costituisce elemento imprescindibile nelle verifiche, specie in attività commerciali come quella in esame caratterizzate da un numero elevato e vario di articoli, anche di elevato valore, e dove la quantificazione delle rimanenze è elemento fondamentale decisivo nella determinazione del risultato d’esercizio. L’omessa tenuta o la mancata esibizione del prospetto analitico delle rimanenze iniziali e finali non può, dunque, considerarsi una mera omissione di carattere formale e non può, perciò, essere priva di conseguenze; assume, anzi, estremo rilievo con conseguente legittimità del ricorso dell’accertamento induttivo ex art. 39 citato, come già evidenziato, oltre a non poter essere sanata in una fase successiva del procedimento .
Peraltro, ogni imprenditore è ben consapevole che, a prescindere dall’entità dell’attività svolta, dalla più piccola alla più rilevante, la prima cosa che viene richiesto di esibire in caso di verifica, specie nelle attività commerciali, è il prospetto delle rimanenze che, quindi, deve essere sempre disponibile .
In ordine alla determinazione del maggior imponibile, si osserva che l’Ufficio ha descritto la metodologia seguita, che appare corretta
mentre, di contro, risultano generiche le censure del contribuente e le giustificazioni prive di concreto riscontro e ciò anche con riguardo all’ubicazione dell’attività commerciale e all’apertura di esercizi similari nella zona che, così come esposte, non incidono sulla fondatezza dell’accertamento. Pertanto, in assenza di dati certi non si riscontrano ragioni per discostarsi dall’accertamento dell’Ufficio, ritenendo coerente la percentuale di ricarico applicata dall’Ufficio nella stessa misura dichiarata nello studio di settore presentato dal contribuente.
In merito, infine, alla deducibilità dei costi, si osserva che nulla al riguardo appare nella sentenza impugnata né risulta che l’eccezione sia stata esplicitamente posta nel ricorso introduttivo e, peraltro, quanto esposto in questa sede risulta alquanto generico. In ogni caso, si osserva sul punto che, al maggior costo del venduto presuntivamente determinato, è stata applicata la percentuale di ricarico dichiarata dal contribuente nello studio di settore di riferimento con conseguente determinazione dei maggiori ricavi; pertanto, coerentemente con il procedimento di accertamento seguito, l’Ufficio ha provveduto al riconoscimento dei costi correlati ai maggiori ricavi accertati, per come esposto in dettaglio nell’avviso di accertamento.
Propone ricorso per cassazione il contribuente con quattro motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate con articolato controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso si denuncia: ”Error in procedendo’ – Nullità della sentenza per motivazione meramente apparente sui motivi 3 e 4 e violazione di legge costituzionalmente rilevante (art. 36 D.Lgs. 546/1992, art. 132, comma 2 n. 4 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c. e art. 112 c.p.c.), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.’.
1.1. Il motivo è graficamente diviso in due parti, che si conviene di definire 1 e 2.
1.2. Parte 1. ‘Innanzitutto, nel ricorso in appello, il contribuente sollevava il seguente e fondamentale motivo di censura (contenuto
nel motivo n. 4 a pag. 19) in ordine alla determinazione del maggior imponibile effettuata dall’Ufficio: invero, tenendo conto che l’Agenzia delle Entrate aveva compiuto una verifica estesa alle annualità 2006, 2007 e 2008 e terminata il 12/10/2010 come ammesso a pag. 3 dell’avviso di accertamento, ‘la CTP ha del tutto messo di considerare che per gli anni precedenti (2006 e 2007) a quello oggetto del presente giudizio l’Agenzia ha provveduto a neutralizzare l’incremento delle rimanenze e che, dunque, di tale dato doveva darsi conto ai fini della determinazione del presunto maggior reddito dell’anno 2008′ . Peraltro, tale censura era stata già sollevata dal contribuente sin dal ricorso introduttivo di primo grado eccependo ” . a sentenza impugnata avrebbe dovuto puntualmente motivare le ragioni per le quali non si doveva tenere conto, per l’anno 2008, della neutralizzazione delle rimanenze finali dell’anno 2007 che costituivano giacenze iniziali di tale annualità’.
1.3. Parte 2. ‘In secondo luogo, la sentenza impugnata ha solo apparentemente statuito il rigetto del terzo motivo di appello sollevato dall’odierno ricorrente con il quale si evidenziava che il lieve ritardo nella consegna dei prospetti non poteva costituire ‘violazione di legge’ equipollente alla mancanza ‘. ‘Si ribadisce, pertanto, la mancanza di presupposti per procedersi all’accertamento induttivo ‘.
1.4. Il motivo è inammissibile e comunque manifestamente infondato per le ragioni che, in riferimento a ciascuna delle due parti in cui si articola, si procede ad illustrare.
1.4.1. Parte 1. La censura è inammissibile perché, in difetto di autosufficienza, riproduce solo un breve stralcio riferito al quarto motivo d’appello, senza alcuna contestualizzazione volta a dimostrare che la doglianza che ne occupa era stata, come tale, e non in via meramente argomentativa, devoluta alla CTR.
Il rilievo, ben lungi dall’essere meramente formalistico, assume decisiva valenza a misura che si consideri che il quarto motivo d’appello su cui la prima parte del primo motivo per cassazione, che ne occupa, sostiene avere la CTR omesso di motivare è in realtà riassunto in termini affatto diversi a p. 9 ric., ove si legge: ‘el merito, in via subordinata, la sua illegittimità e/o infondatezza nel capo in cui aveva ritenuto inutilizzabili ed inattendibili i prospetti e gli inventari delle rimanenze finali consegnate dal contribuente il 15/10/2010’.
Né coglierebbe nel segno supporre una confusione tra il quarto ed il terzo motivo d’appello, posto che anche questo, alla luce delle pp. 8 e 9 ric., è imperniato sul preteso ‘lieve ritardo’ nella consegna, da parte del contribuente, ‘giusta ricevuta di protocollo del 15 ottobre 2010la copia dei prospetti ed inventari delle rimanenze finali così mettendo pienamente in condizione l’Ufficio di poter ricostruire analiticamente le giacenze di magazzino e la loro composizione’.
Identico discorso è a replicarsi per il richiamo, nella prima parte del primo motivo del ricorso per cassazione, che ne occupa, al ricorso introduttivo del giudizio, sol che si consideri che nessuno dei quattro motivi posti a sostegno dell’impugnazione dell’avviso di accertamento, di cui alle pp. 5 e 6 ric., contiene il benché minimo accenno alla questione della ‘neutralizzazione delle rimanenze finali dell’anno 2007’.
Fermo quanto precede, in aggiunta, è a rilevarsi che la censura incorre comunque in difetto di autosufficienza, e di precisione, anche per altre ragioni.
Né il motivo né più in generale il ricorso per cassazione riproducono sia l’avviso di accertamento (salvo poche, e perciò insufficienti, righe alle pp. 4 e 5 ric.), sia il sottostante PVC
(meramente evocato ma giammai citato, o riassunto, anche in minima parte). Ne consegue che è totalmente sguarnita di alcun supporto documentale l’affermazione -purtuttavia definita fondamentale – secondo cui ‘per gli anni precedenti (2006 e 2007) a quello oggetto del presente giudizio l’Agenzia ha provveduto a neutralizzare l’incremento delle rimanenze’.
‘A fortiori’, né nel motivo né nel ricorso, è minimamente ricostruita la catena delle rimanenze finali -giacenze iniziali in relazione a tutti gli anni di imposta oggetto di verifica, onde giungere poi alla determinazione delle giacenze iniziali per il 2008.
Neppure è indicata in cosa consista la pretesa neutralizzazione, con specifica indicazione dei relativi antecedenti fattuali.
Neppure è allegata e dimostrata la decisività, ai fini del presente giudizio, della suddetta neutralizzazione: giudizio che attinge un anno di imposta, il 2008, comunque successivo al 2006 ed al 2007, cui si riferisce la neutralizzazione a CTP ha del tutto messo di considerare che per gli anni precedenti (2006 e 2007) a quello oggetto del presente giudizio l’Agenzia ha provveduto a neutralizzare l’incremento delle rimanenze’]: ciò con imprescindibile specificazione del calcolo -in tesi difensiva conducente ad un risultato diverso, ma neppure esplicitato, da quello, esso pure non esposto perché ‘a priori’ non riprodotto l’avviso, ottenuto dall’Ufficio – riferibile al 2008.
1.4.2. Parte 2. La censura è manifestamente infondata. È sufficiente una semplice e veloce lettura della motivazione della sentenza impugnata per rilevare come la medesima offra, sul ‘thema’ specifico del preteso lieve ritardo nella consegna documentale, una motivazione effettiva e chiara, sia dal punto di vista grafico che dal punto di vista logico, superando di gran lunga la soglia del cd. minimo costituzionale, solo violata la quale il vizio motivazionale è denunciabile per cassazione (Cass., Sez. U, n.
8053 del 2014). In particolare, la CTR, espressamente rilevato che ‘è del tutto inconfutabile che, in sede di verifica, il ricorrente non abbia esibito ai verificatori alcun elenco delle rimanenze di magazzino’, altrettanto espressamente soggiunge che ‘a nulla rileva, quindi, la circostanza che gli elenchi delle rimanenze 2006/2007/2008 risulterebbero depositati all’Agenzia dopo l’accesso e ciò, soprattutto, in quanto tali elenchi, oltre ad essere stati solo successivamente depositati, non rispondono alle previsioni di legge per il dettaglio né ai criteri da adottare per gli inventari, non ottemperando all’onere della loro specificazione distinta per categorie omogenee di beni’. Ciò rende conto, come dicevasi, non solo di una motivazione patentemente effettiva, ma, altresì, della mancanza di decisività della censura, giacché quel che la CTR, in definitiva, rileva è la non rispondenza comunque alle previsioni di legge degli ‘elenchi delle rimanenze 2006/2007/2008’, che ‘risulterebbero depositati all’Agenzia dopo l’accesso alle previsioni di legge’.
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia: ”Error in iudicando’ – Violazione e/o falsa applicazione di norme di legge: art. 7 l. n. 212/2000 e art. 42 DPR n. 600/1973, anche in combinato disposto all’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.’.
2.1. ‘i ribadisce che la nullità dell’avviso impugnato deriva dal fatto che l’atto risulta difettoso non ottemperando l’onere probatorio di una congrua motivazione in quanto si limita a motivare rinviando al presupposto PVC del 12/10/2010 a sua volta del tutto privo di una sufficiente motivazione: invero, nemmeno tale PVC consentiva la verifica giudiziale della fondatezza del rilievo non contenendo gli elementi essenziali della pretesa erariale e la motivazione del recupero effettuato. Inoltre, né l’avviso di accertamento impugnato né il presupposto PVC contengono tutti i
documenti richiamati ed in ogni caso non contengono, in allegato, il presupposto studio di settore utilizzato al fine del recupero’.
2.2. Il motivo è inammissibile.
Esso, in totale difetto di autosufficienza, non riproduce né la motivazione dell’avviso di accertamento (salvo, come già detto, che per qualche riga) né, quantomeno nelle parti rilevanti, il presupposto PVC, così materialmente impedendo alcuna delibazione della censura.
Esso, poi, è tanto più inammissibile ove accenna ad un non altrimenti specificato ‘studio di settore’ che sarebbe stato ‘utilizzato al fine di del recupero’: invero – a fronte dell’avere entrambi i giudici fatto costante ed esclusivo riferimento ad un accertamento di tipo induttivo puro – non allega e non dimostra in alcun modo che l’accertamento fondi su studio di settore.
Con il terzo motivo di ricorso si denuncia: ”Error in iudicando’ – Violazione e/o falsa applicazione di norme di legge: art. 39, comma 2, del DPR n. 600/73, art. 18 DPR n. 633 del 1972, art. 9, co. 1, d.l. n. 69/1989 conv. in l. n. 154/1989, art. 55 DPR n. 633/72, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’.
3.1. Il motivo è articolato in quattro sottoparagrafi enumerati come 3.1), 3.2), 3.3) e 3.4).
3.2. Tuttavia a questi è fatta premettere un’introduzione che contiene un’autonoma censura, ragion per cui, per comodità espositiva, si conviene di ripartire il motivo in cinque parti, corrispondentemente rinumerate.
3.3. Parte 1 (introduzione a p. 19 ric.). Il motivo premette che la sentenza impugnata sarebbe viziata, ‘sotto diversi profili, per violazione dell’art. 39, comma 2, DPR n. 600/73’, anche in combinato disposto con le altre disposizioni di legge rubricate, ‘non
avendo la CTR considerato, innanzitutto, che l’odierno ricorrente è pacificamente un contribuente soggetto al regime della tenuta della contabilità ‘semplificata’ il quale non risultava sottoposto all’obbligo della tenuta della contabilità di magazzino ma al solo obbligo di indicare nel registro degli acquisti tenuto ai fini dell’imposta sul valore aggiunto il valore delle rimanenze’.
3.4. Parte 2 . Mancava il presupposto per procedere ad accertamento induttivo ‘essendosi in presenza di contabilità regolare: i registri IVA erano regolarmente tenuti dal ricorrente e i prospetti analitici di magazzino erano stati consegnati appena tre giorni dopo la verifica (fatti pacifici)’.
3.5. Parte 3 . La CTR non ha ‘considerato che l’accertamento induttivo può essere legittimamente effettuato anche in base a presunzioni non possono ridursi ad un’unica presunzione semplice dovendo invece accertarsi la presenza di omissioni o irregolarità così gravi, numerose e ripetute da far venire meno quelle garanzie proprie della contabilità obbligatoria per il contribuente considerato. Si ribadisce che, nel caso di specie, ‘l’Ufficio ha erroneamente fondato l’avviso di accertamento su una presunzione semplice (la percentuale di redditività media del settore) da sola non sufficiente ”.
3.6. Parte 4 . ‘Si ribadisce l’illegittimità e/o infondatezza del recupero effettuato dall’AE in quanto effettuato applicando induttivamente una percentuale di ricarico (il 54% sul costo del venduto) sulla base di un mero rinvio ad uno studio di settore, senza ritenere rilevanti le ragioni del ricorrente che aveva esplicitato l’impossibilità di applicare tale percentuale di ricarico al costo del venduto anche in quanto ‘la percentuale di ricarico applicata dall’Ufficio si basa su un campione assolutamente parziale’ . Si ribadisce che l’AE non ha tenuto conto della reale situazione economica dell’attività imprenditoriale
del ricorrente nella quale il ricarico applicabile al costo del venduto era di gran lunga più contenuto ed inferiore a quello dello studio di settore applicato’.
3.7. Parte 5 . Quanto alla deducibilità dei costi, ‘la CTR, a fronte della presunzione di maggiori ricavi, non ha ritenuto deducibili maggiori costi (in misura del 90% o quantomeno dell’80% dei ricavi accertati) che, sempre in via presuntiva, devono essere considerati al fine della determinazione induttiva del reddito di impresa . Sul punto si ribadisce che i costi dovevano ‘quantomeno essere riconosciuti in misura non inferiore al 70% dei maggiori ricavi …. Tale percentuale va ricavata sia in base al dichiarato, stante che i costi ammontavano al 90%, sia considerato che lo studio di settore applicabile prevede un utile lordo non superiore al 20% per cui i costi devono essere riconosciuti nella misura dell’80%’.
3.8. In generale è a rilevarsi che il motivo è inammissibile sia perché cumulativo, senza che il successivo sviluppo argomentativo consenta di enucleare specifiche cesure da ragguagliare a specifiche violazioni di legge, tutte invece indistintamente enunciate in un’unica eterogena rubrica; sia perché, in relazione, segnatamente, alle parti 4 e 5, deduce questioni esclusivamente meritali.
3.9. Fatta tale premessa, ad ogni buon conto, si procede ad un’analisi dettagliata del motivo, evidenziando, per ciascuna delle cinque parti in cui si articola, le ulteriori ragioni d’inammissibilità e comunque di manifesta infondatezza.
3.9.1. Parte 1. La censura è inammissibile. Nel silenzio della sentenza impugnata, non emerge, in totale difetto di precisione ed autosufficienza, donde risulti né che il contribuente beneficiasse del regime di contabilità semplificata, né che la pretesa sottrazione
all’obbligo della tenuta della contabilità di magazzino fosse questione devoluta già ai primi e di poi ai secondi giudici.
La censura è comunque infondata.
Infatti, per certo anteriormente – ma, per quel che si dirà, anche successivamente – all’art. 1, comma 22, l.n. 232 del 2016, che ha novellato il regime della ‘contabilità semplificata per le imprese minori’ ex art. 18 DPR n. 600 del 1973, i contribuenti in contabilità semplificata non si sottraevano (né si sottraggono) all’obbligo di tenere il dettaglio analitico del magazzino, ai sensi dell’art. 9, comma 1, d.l. n. 69 del 2009, conv. in l. n. 154 del 1989 .
Prima della novella – sotto il vigore della formulazione dell’art. 18, comma 2, DPR n. 600 del 1973 (che rileva ‘ratione temporis’ a fronte di accertamento per l’a.i. 2008) secondo cui ‘i soggetti che fruiscono dell’esonero, entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione annuale, indicano nel registro degli acquisti tenuto ai fini dell’imposta sul valore aggiunto il valore delle rimanenze’ il dettaglio analitico di magazzino confluiva, giust’appunto analiticamente per quantità e valori, nelle annotazioni del registro IVA acquisti di cui a tale disposizione . Pertanto ineccepibile è il percorso logico -argomentativo della CTR nella sentenza impugnata, laddove sottolinea che tutti gli imprenditori erano in allora (e – osservasi – seguitano ad essere ora) meramente tenuti ad osservare l’art. 9, comma 1, d.l. n. 69 del 2009: ciò di cui il contribuente non fornisce prova, neppure nel presente grado di legittimità.
Per completezza mette conto di aggiungere che, come anticipato, la redazione del dettaglio analitico di magazzino resta obbligatorio per i contribuente in contabilità semplificata anche dopo la novella: invero – pur a fronte della possibilità di adottare il regime di contabilità semplificata ‘per cassa’, secondo il criterio
della ‘registrazione’, comportante che incassi e pagamenti assumono la data della registrazione dei relativi documenti fiscali (con conseguente esautoramento delle rimanenze di magazzino dalla determinazione reddituale) – nondimeno non sono stati mai abrogati né, sul piano fiscale, l’art. 9, comma 1, d.l. n. 69 del 1989 e correlativamente l’art. 2, comma 2, decr. Min. Fin. 2 maggio 1989 (‘Entro lo stesso termine di cui al precedente comma 1, deve, altresì, essere annotato, nel registro degli acquisti tenuto ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, ovvero nell’apposito registro per coloro che effettuano soltanto operazioni non soggette a registrazione ai fini di tale imposta, il valore delle rimanenze, previste dagli articoli 59 e 61 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, raggruppate in categorie omogenee per natura e per valore, indicando altresì i criteri seguiti per la loro valutazione. La distinta indicazione delle quantità e dei valori, nonché dei criteri di valutazione, può essere effettuata, entro il medesimo termine, in apposito prospetto di dettaglio’); né, sul piano civilistico, l’art. 2217 cod. civ. (che impone la predisposizione dell’inventario). Talché, i contribuenti in contabilità semplificata per cassa, non potendo più far confluire il dettaglio di magazzino nel registro IVA acquisiti, sono anzi espressamente tenuti a compilare e redigere apposita scrittura (tra l’altro, comunque, necessaria ai fini della compilazione dello studio di settore) riepilogando le rimanenze finali nel mod. Redditi PF (persone fisiche) o SSP (società di persone) tra i dati che (conseguentemente) non concorrono alla determinazione del reddito.
3.9.2. Parte 2. La censura è inammissibile. La circostanza che i ‘registri IVA regolarmente tenuti’ – di per sé difettevole di alcun richiamo documentale a supporto – è meramente labiale. Inoltre, la censura non coglie l’effettiva ‘ratio decidendi’ sottesa alla sentenza impugnata, laddove la CTR – con insindacato ed
insindacabile accertamento in fatto – rileva che la documentazione pur tardivamente prodotta dal contribuente non soddisfa i requisiti dell’art. 15, comma 2, DPR n 600 del 1973; né il contribuente, in difetto di autosufficienza, documenta ‘a contrario’ che ‘i prospetti ed inventari’ prodotti con ‘lieve ritardo’ contenevano invece il dettaglio delle ‘distinte categorie di merci’ e dei ‘relativi valori’ tanto più necessario – come rimarcato dalla CTR – nell’ambito dell’attività del contribuente, ‘caratterizzat da un numero elevato e vario di articoli, anche di elevato valore, la quantificazione delle rimanenze è elemento fondamentale decisivo nella determinazione del risultato d’esercizio’.
3.9.3. Parte 3. La censura è inammissibile. Si rivela meramente assertiva – in difetto di riproduzione dell’avviso e del PVC l’affermazione secondo cui ‘l’Ufficio ha erroneamente fondato l’avviso di accertamento su una presunzione semplice (la percentuale di redditività media del settore)’. In realtà – come emerge anche dal brevissimo stralcio della motivazione dell’avviso citata a p. 4 ric. – l’accertamento fonda sul mancato rinvenimento nella documentazione esibita di ‘alcun prospetto analitico delle rimanenze’ e sul disconoscimento, da parte dell’Ufficio, ‘delle rimanenze finali confrontate con le giacenze iniziali’. D’altronde la CTR è perentoria nel rilevare che ‘l’omessa tenuta o la mancata esibizione del prospetto analitico delle rimanenze iniziali e finali non può, dunque, considerarsi una mera omissione di carattere formale e non può, perciò, essere priva di conseguenze; assume, anzi, estremo rilievo con conseguente legittimità del ricorso dell’accertamento induttivo ex art. 39 citato ‘.
Talché la censura, nel sostenere che alla base dell’accertamento rileverebbe uno scostamento dalla ‘percentuale di redditività media del settore’, si palesa di per sé decentrata.
Né, ad ogni buon conto, la motivazione della sentenza impugnata si espone a rilievi di sorta, poiché anzi ossequia pedissequamente la giurisprudenza di legittimità.
Più precisamente, considerato che, come visto innanzi, i contribuenti in contabilità semplificata soggiacciono all’obbligo di tenere il dettaglio analitico del magazzino, vale il principio di diritto, recentemente esplicitato sulla base di conformi antecedenti arresti, secondo cui, ‘in tema di imposte sui redditi di impresa, le imprese minori, che fruiscono del regime di contabilità semplificata, ai sensi dell’art. 18 del d.P.R. n. 600 del 1973, sono tenute ad indicare ogni anno nel registro degli acquisti, tenuto ai fini IVA, il valore delle rimanenze di magazzino, distinguendo i beni per categorie omogenee, del medesimo tipo e della stessa quantità, secondo la normativa sulla valutazione delle rimanenze, non potendosi limitare ad annotare solo quello globale; in assenza di tali indicazioni -che, ove fatte oggetto di una richiesta da parte dei verificatori, possono essere fornite dal contribuente anche in sede procedimentale durante l’accesso, l’ispezione e la verifica -l’Amministrazione finanziaria può ritenere inattendibile la contabilità e procedere all’accertamento induttivo’ (Cass. n. 1861 del 2025, cui si rinvia anche per le citazioni giurisprudenziali).
3.9.4. Parte 4. La censura è inammissibile. Essa incorre in difetto di autosufficienza in quanto non riproduce, come più volte detto, l’avviso di accertamento, così omettendo di rendere conto dell’assunto secondo cui il ‘recupero’ sarebbe stato ‘effettuato dall’AE sulla base di un mero rinvio ad uno studio di settore’: assunto che contrasta con quanto a più riprese sostenuto dalla CTR, la quale, infatti, nella sentenza impugnata, sottolinea come l’Ufficio abbia applicato la percentuale di ricarico ‘nella stessa misura dichiarata nello studio di settore presentato dal contribuente’, così evocando bensì lo studio di settore, ma non già in quanto modello generale oggetto di un ‘mero rinvio’ in punto di
percentuale di ricarico, bensì in quanto documento specifico contenente la dichiarazione del contribuente sulla percentuale di ricarico.
Quanto precede di per sé sottrae consistenza ad ogni ulteriore considerazione rassegnata nel motivo riguardo all’affermata (ma in realtà inesistente) pretermissione, da parte della CTR, della ‘reale situazione economica dell’attività imprenditoriale del ricorrente’. Rilevato che tale ‘reale situazione economica non è né compiutamente rappresentata, viepiù in guisa da dimostrare matematicamente, o almeno logicamente, il risultato di una percentuale di ricarico inferiore, né, men che meno, probatoriamente sostenuta mediante idonei richiami a documenti già somministrati ai giudici di merito (documenti non solo non localizzati e non riprodotti, ma neppure menzionati), la censura non considera che in realtà la CTR ha ‘funditus’ preso in considerazione le allegazioni del ricorrente circa la situazione economica del contribuente, giudicandole ‘generiche’ e ‘prive di concreto riscontro e ciò anche con riguardo all’ubicazione dell’attività commerciale e all’apertura di esercizi similari nella zona che, così come esposte, non incidono sulla fondatezza dell’accertamento’: ragion per cui – conclude ineccepibilmente la CTR – ‘in assenza di dati certi non si riscontrano ragioni per discostarsi dall’accertamento dell’Ufficio, ritenendo coerente la percentuale di ricarico applicata dall’Ufficio nella stessa misura dichiarata nello studio di settore presentato dal contribuente’.
3.9.5. Parte 5. La censura è inammissibile per una pluralità di ragioni.
Anzitutto, tiene in non cale avere la CTR evidenziato nella sentenza impugnata come ‘l’eccezione’ – ‘ergo’ la doglianza circa la deducibilità dei costi non risulti essere ‘stata esplicitamente posta nel ricorso introduttivo del giudizio’ e comunque sia
formulata in appello genericamente (‘ , peraltro, quanto esposto in questa sedia risulta alquanto generico’). Rispetto a tali asserti della CTR, il ricorrente – in difetto di autosufficienza – non dimostra – riproducendo testualmente i rispettivi atti – né di aver introdotto la doglianza già nel ricorso introduttivo né di averla dedotta in appello con sufficiente grado di specificità.
La censura, poi, è totalmente sfornita di autosufficienza, non specificando donde debbano ricavarsi le percentuali del 90, 80 ovvero 70%. In aggiunta è affetta da patente imprecisione a misura che, giust’appunto, neppure individua, con nettezza, la percentuale effettivamente applicabile. In definitiva, introduce una questione esclusivamente meritale, già affrontata e risolta dalla CTR nel sottolineare come il riconoscimento dei costi consegua in avviso (dal ricorrente non riprodotto) all’automatica applicazione del metodo della percentuale di ricarico sul costo del venduto.
Con il quarto motivo di ricorso si denuncia: ”Error in iudicando’ – Violazione e/o falsa applicazione di norme di legge: art. 39, comma 2, del DPR n. 600/73, art. 18 DPR n. 633/72, art. 9, co. 1, d.l. n. 69/1989 conv. in l. n. 154/1989, art. 55 DPR n. 633/72, anche in combinato disposto all’art. 2697 c.c. (in tema di onere probatorio), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’.
4.1. ‘Anche ammettendo la sussistenza dei presupposti per procedersi ad accertamento induttivo ed anche ammettendo che la esibizione successiva d prospetti ‘non potrebbe essere sanata in una fase successiva del procedimento’, ciò riguarderebbe, comunque, la fase procedimentale -amministrativa dell’accertamento ben potendo il contribuente, nella successiva fase processuale, adempiere all’onere probatorio . È pacifico in atti il fatto che il contribuente già in sede procedimentale -amministrativa e poi anche processuale ha prodotto i prospetti
di cui all’art. 9, comma 1, d.l. n. 69/1989 . Orbene, anche ammettendo che tali prospetti non siano esattamente corrispondenti a quanto previsto dall’art. 9, comma 1, d.l. n. 69/1989 , ciò non vuol dire che, in sede processuale, tali presupposti avrebbero dovuto essere valutati dal Giudice del merito solo sotto il profilo della corrispondenza con quanto prescritto dall’art. 9, comma 1, d.l. n. 69/1989 conv. in l. n. 154/1989 (ma avrebbero dovuto essere valutati anche sotto il profilo sostanziale -probatorio) ‘.
4.2. Il motivo, pur pregevole, è inammissibile e comunque manifestamente infondato.
Esso soffre di originario difetto di precisione ed autosufficienza, in quanto non riproduce i ‘prospetti’ ‘successivamente esibiti’, in guisa tale da apprezzarne l’effettiva consistenza.
Esso, ad ogni buon conto, è, altresì e comunque, manifestamente infondato, in quanto, come già detto, la CTR, cui era devoluta la questione della pretesa illegittimità dell’accertamento con metodo induttivo puro per difetto dei presupposti, ha escluso, giusta inequivoca ed insuperata verifica in fatto, che i ‘prospetti’ possedessero le qualità richieste dall’art. 9, comma 1, d.l. n. 69 del 1989 e pertanto fossero apprezzabili alla stregua di un idoneo dettaglio di magazzino. Talché essa ha ricusato la positiva valutabilità dei prospetti sia in riferimento alla fase procedimentale e sia anche in riferimento alla fase giudiziale, tanto più che il contribuente non allega e non dimostra che i prospetti prodotti in giudizio fossero altri, diversi e più completi, rispetto a quelli esibiti all’Agenzia.
Né, a tutto voler concedere, il contribuente esplica quale risultato, diverso da quello attinto congiuntamente da CTP e CTR, avrebbe giammai potuto trarre quest’ultima da una valutazione ‘anche sotto il profilo sostanziale -probatorio’.
In definitiva, il ricorso va integralmente rigettato, con le statuizioni consequenziali come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia le spese di lite, liquidate in euro 5.900, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 25 aprile 2025.