Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14824 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14824 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14342/2024 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO CAMPANIA n. 706/2023 depositata il 19/01/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/03/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 16/05/2018 l’Agenzia delle Entrate di Benevento notificava alla società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO/2018 per l’anno d’imposta 2013 con cui recuperava maggiori importi fiscali dovuti ai fini IRES, IRAP ed IVA. A fronte della mancata risposta al questionario n. Q0064/18 con cui era stata richiesta ai sensi dell’art. 32, comma 1 n. 3 DPR 600/73 l’esibizione della documentazione contabile, l’Ufficio procedeva alla ricostruzione induttiva del reddito, ai sensi dell’art. 39, comma 2, lett. d) bis DPR n. 600/1973, e accertava maggiori ricavi non dichiarati pari ad € 71.187,00 e un maggior reddito imponibile pari ad € 76.707,00.
La contribuente impugnava l’avviso dinanzi alla CTP di Benevento che, con la sentenza n. 369/21 del 24/06/2021, depositata il 07/07/2021, rigettava il ricorso della ricorrente e la condannava al rimborso delle spese nei confronti dell’Agenzia.
La contribuente ricorreva dinanzi alla CTG di Secondo Grado della Campania che, con sentenza n. 706/2023 del 5/12/2022 e depositata il 19/01/2023, rigettava l’appello della ricorrente e la condannava al pagamento delle spese di giudizio in favore della controparte costituita.
La società affida ora il proprio ricorso per cassazione a nove motivi. L’Agenzia resiste con controricorso. Il Sost. P.G., dott. NOME COGNOME ha concluso con nota scritta per l’accoglimento del secondo dei nove motivi di ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si contesta la violazione della legge n. 427/93, degli artt. 62 sexies D.L. n. 331/1993, 52 DPR 633/1972, 33 DPR 600/73, 12 legge 212/2000, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3
c.p.c., per non aver la CGT esaminato l’eccezione relativa alla nullità dell’avviso di accertamento a fronte della mancata attivazione del contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio in presenza di uno studio settore congruo e di accertamento di imposta ai fini IVA.
Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell’art. 39 DPR 600/1973 e dell’art. 54 DPR 633/1972, nonché dell’art. 75 DPR 917/1986, art. 53 Cost., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 e 4 c.p.c., per non aver la CGT rilevato che ‘l’Ufficio ha notificato al contribuente un accertamento induttivo puro del tutto errato in fatto ed in diritto e si basa su prodromiche motivazioni che non trovano riscontro nella realtà dei fatti’. In altri termini ‘l’Ufficio procede a determinare induttivamente i ricavi della ricorrente esaminando lo studio di settore che risulta congruo, affermando fatti e circostanze che dallo stesso non sono rilevabili soprattutto in tema di antieconomicità utilizzando l’art. 39, comma 2, del DPR 600/1973’.
Con il terzo motivo si adombra la violazione e la falsa applicazione degli artt. 19 DPR 633/1972, 109 TUIR 917/1986, 32 del DPR 600/1973 e 54 DPR 633/1972, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e 4, per non aver la CGT ‘ esaminato il recupero dell’intera imposta IVA portata in detrazione a fronte di fatture acquisti regolarmente registrate e correlate ai ricavi ‘.
Con il quarto motivo si contesta la violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 7 comma 5 bis, Dlgs n. 546/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c, per non aver la CGT esaminato le eccezioni sollevate dalla ricorrente in merito all’assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’Agenzia, anche con riferimento al criterio dell’antieconomicità.
Con il quinto motivo si lamenta la violazione dell’art. 3 comma 3 legge 241/90, art. 7 legge 212/2000, art. 62 sexies DL n.331/1993, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 e 4 c.p.c.,
per non aver la CGT esaminato le eccezioni sollevate dalla ricorrente e non contestate, in ordine alla nullità dell’atto impugnato per carenza di motivazione e per mancata allegazione degli atti prodromici.
Con il sesto motivo si adombra la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., per non aver la CGT esaminato l’eccezione relativa alla nullità dell’avviso di accertamento fondato su presunzioni ‘supersemplici’, prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Col settimo motivo di ricorso si contesta la violazione dell’art. 15 Dlgs n. 546/1992, artt. 3 e 33 Cost., in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 e 4 c.p.c., per non aver la CGT compensato le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Con l’ottavo motivo di ricorso si lamenta la violazione degli artt. 115 e 167 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e 4 c.p.c., per non aver la CGT esaminato la documentazione presentata dal contribuente nel corso del giudizio e non aver posto a fondamento del giudizio le prove proposte dal contribuente.
Con il nono motivo di ricorso si evidenzia la violazione degli artt. 132 c.p.c., art. 118 comma 1 disp. att. c.p.c., art. 36 D.lgs. n. 546/1992 e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e 4 c.p.c., per avere il giudice d’appello omesso di ‘ illustrare l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, ossia di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione ‘.
Il primo motivo è infondato.
Milita in tal senso il dato incontroverso, rimarcato nella sentenza d’appello, dell’invio di un questionario alla parte contribuente e il suo fisiologico atteggiarsi a mezzo di interlocuzione, finalizzato -nel frangente stesso dell’impulso all’accertamento fiscale a
consentire al destinatario della verifica l’esposizione delle proprie ragioni e il deposito della correlata documentazione.
Da ultimo, questa Corte ha opportunamente precisato che ‘ In tema di accertamento cd. a tavolino, l’amministrazione finanziaria è tenuta a rispettare il contraddittorio endoprocedimentale in presenza di tributi armonizzati, ma le modalità per la sua realizzazione non sono a forma vincolata, essendo sufficiente assicurare l’effettività dello stesso, indipendentemente dagli strumenti in concreto adottati, quali il ricorso a procedure partecipative o l’impiego di altri meccanismi finalizzati all’interlocuzione preventiva, come l’inoltro di questionari ed il riconoscimento dell’accesso agli atti ‘ (Cass. n. 14489 del 2024).
Il secondo motivo è fondato.
Il reddito d’impresa è stato induttivamente ricostruito mediante un’inattendibile e confusa sommatoria fra gli utili di gestione, da una parte, pari ad € 6.966,01, rappresentati dalla differenza algebrica fra i costi dell’anno 2013 (€ 1.276.951,48) e il totale dei ricavi dichiarati (€ 1.283.917,49), e il costo del personale, dall’altra. In buona sostanza, sono stati matematicamente e meccanicamente tradotti in ricavi i costi sopportati per il personale, pari a € 71.187,00. Ora, se la sperequazione fra l’importo ragguardevole dei costi per i lavoratori dipendenti e il margine esiguo degli utili può postulare una ricostruzione induttiva dei ricavi, essa non vale certo a giustificare che i maggiori ricavi vengano fatti coincidere pedissequamente con gli esborsi effettuati per il personale. Invero, un costo non implica di per sé -e in automatico -un immediato e corrispondente ricavo, essendo insito fisiologicamente nel sostenimento di un esborso l’assunzione di un rischio d’impresa, che può proiettarsi in un ricavo, come pure per definizione non conseguirlo affatto. Il criterio adoperato è, per ciò, illogico e imperscrutabile e, come tale, postula l’esercizio di un nuovo esame da parte del giudice d’appello, teso a dar conto
dettagliatamente dei criteri adoperati, in quadro coerente e leggibile.
Giova, peraltro, soggiungere che l’importo dei costi per il personale non si palesa particolarmente rilevante se rapportato all’entità complessiva dei ricavi dichiarati. In particolare, nell’anno di riferimento -il 2013 -il costo sostenuto per i dipendenti, pari a Euro 71.187 rappresenta una percentuale addirittura ben inferiore al 10% dell’importo globale dei ricavi caratteristici su riportato, quindi inidonea a segnalare una sproporzione immediatamente significativa.
Il terzo motivo è infondato.
Nel processo tributario, il contribuente assolve l’onere, a suo carico, di provare il fatto costitutivo del diritto alla deduzione dei costi o alla detrazione dell’IVA mediante la produzione delle fatture (Cass. n. 2935 del 2015). La giurisprudenza di questa Corte è costante nel senso che la prova del diritto alla deduzione -ma lo stesso vale per la detrazione -di costi è a carico del contribuente e ciò sia con riferimento al criterio che chi afferma un fatto costitutivo di un diritto lo deve provare e sia con riferimento al criterio di vicinanza della prova (Cass. n. 13943 del 2011; Cass. n. 4554 del 2010).
Peraltro, non possono dirsi sufficienti, ai fini della detrazione I.V.A., le produzioni dei registri contabili da cui risultano gli acquisti, e quindi le fatture passive da portare in detrazione, e del c.d. spesometro. La produzione dei registri contabili o degli elenchi dei fornitori non vale, infatti, a supplire il documento che attesta l’effettività dell’operazione di acquisto di beni o di servizi dal quale sorge il diritto alla detrazione dell’IVA. assolta a monte (Cass. n. 28246 del 2020). Il diritto alla detrazione IVA ex art. 19 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ed il diritto alla deducibilità dal reddito d’impresa, ai fini delle II.DD., dei costi inerenti ex art. 109 del T.U.I.R., non può prescindere dalla regolarità della singola fattura,
che, in tema di IVA, è documento idoneo a rappresentare un costo dell’impresa, come si evince chiaramente dall’art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, che ne disciplina il contenuto, prescrivendo tra l’altro l’indicazione dell’oggetto e del corrispettivo di ogni operazione commerciale (Cass. n. 28246 del 2020 cit.).
Il quarto motivo è infondato ed esige il rigetto.
La CTR ha evidenziato, con riferimento ai ‘ motivi di appello attinenti al merito ed all’operato dell’ufficio ‘, che l’avviso di accertamento si rivela legittimo, in ragione della ‘ prova fornita dall’amministrazione finanziaria ‘, essendo, tra l’altro, ‘ chiaramente esplicitato il metodo applicato e l’iter logico seguito con il metodo induttivo’. A fronte di questo accertamento di fatto, la censura traligna il paradigma del vizio denunciato, di fatto invocando una più appagante ricostruzione del merito della controversia; viene sollecitata, in altri termini, un’operazione preclusa in questa sede, nella quale non si riedita un sindacato di merito, atto a travolgere quello già svolto nella sede a ciò deputata.
Il quinto motivo è infondato e va respinto.
La CTR ha osservato che ‘ alcun vizio di motivazione si ravvisa nell’atto dell’Ufficio ‘. A questo apprezzamento specifico del giudice d’appello, la ricorrente si limita a contrapporre la reiterazione di doglianze di merito, trascurando, peraltro, di considerare che ‘ In tema di avviso di accertamento, l’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, non ha l’obbligo di allegare all’atto impositivo i documenti richiamati, potendo limitarsi a riprodurne il contenuto essenziale’ (Cass. n. 34906 del 2024). Non si rileva la denunciata difformità dal paradigma normativo sol che si consideri quanto da questa Corte ancor di recente incisivamente ribadito, ossia che ‘ Nel processo tributario, ai fini della validità dell’avviso di accertamento non rilevano l’omessa allegazione di un documento o la mancata ostensione dello stesso al contribuente se la motivazione, anche se resa per
relationem, è comunque sufficiente, dovendosi distinguere il piano della motivazione dell’avviso di accertamento da quello della prova della pretesa impositiva e, corrispondentemente, l’atto a cui l’avviso si riferisce dal documento che costituisce mezzo di prova ‘ (Cass. n. 8016 del 2024). Del resto, la ricorrente trascura di considerare che ‘ in tema di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di allegare al relativo avviso gli atti indicati nello stesso deve essere inteso in relazione alla finalità “integrativa” delle ragioni che giustificano l’emanazione dell’atto impositivo ai sensi dell’art. 3, comma 3, della l. n. 241 del 1990, sicché detto obbligo riguarda i soli atti che non siano stati già trascritti nella loro parte essenziale nell’avviso stesso, con esclusione, peraltro, di quelli cui l’Ufficio abbia fatto comunque riferimento, i quali, pur non facendo parte della motivazione, sono utilizzabili ai fini della prova della pretesa impositiva ‘ (Cass. n. 24417 del 2018).
Il sesto motivo è infondato e va disatteso.
La ricorrente nel denunciare la violazione dell’art. 2729 c.c., pretendendo la gravità, precisione e concordanza degli elementi presuntivi valorizzati, trascura di considerare quanto questa Corte ancor di recente ha puntualmente affermato, ossia che ‘ In tema di accertamento delle imposte sui redditi, il giudizio di complessiva o intrinseca inattendibilità delle scritture contabili, ancorché formalmente corrette, costituisce il presupposto per procedere con il metodo analitico-induttivo, che consente valutazioni sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, ma anche quello per procedere con l’accertamento induttivo “puro”, fondato su presunzioni cd. “supersemplici”, prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, in presenza di una delle tassative condizioni previste dallo stesso art. 39, comma 2, il quale, inoltre, costituendo una facoltà per l’Amministrazione, può prescindere
anche solo in parte dalle scritture contabili e dal bilancio e non richiede alcuna specifica motivazione per l’utilizzazione di dati indicati in contabilità o in dichiarazione o comunque provenienti dallo stesso contribuente, anche a fronte di un giudizio di complessiva inattendibilità della contabilità, nel rispetto di una ricostruzione operata sempre secondo criteri di ragionevolezza e nel rispetto del parametro costituzionale della capacità contributiva ‘ (Cass. n. 16528 del 2024). Il principio è applicabile al caso di specie, nel cui quadro legittimamente si è fatto governo di presunzioni cd. ‘supersemplici’.
Il settimo motivo è infondato e va respinto.
Va al riguardo semplicemente evidenziato che l’Agenzia ha diritto alla rifusione delle spese, ivi compresi i compensi per attività difensiva, anche qualora costituita in giudizio per il tramite di propri funzionari. Ciò emerge, all’evidenza, dal tenore dell’art. 15, comma 2-sexies, d.lgs. 31.12.1992, n. 546, salva la percentuale riduzione del quantum rifondibile a favore dell’Erario, prevista dalla medesima norma (Cass. n. 1019 del 2024; Cass. n. 27634 del 2021).
L’ ottavo motivo è inammissibile e comunque infondato.
La CTR ha compiuto un accertamento di fatto, mettendo in risalto, nel proprio libero sindacato, gli elementi di prova che sono parsi ad essa più attendibili.
Come chiarito da questa Corte spetta unicamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad
esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante (Cass., 13 giugno 2014, n. 13485; Cass., 15 luglio 2009, n. 16499)
Il nono motivo è infondato.
La sentenza ben lascia cogliere la propria ratio decidendi . Questa Corte ha incisivamente affermato che ‘ In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi -che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia ‘ (Cass. n. 23940 del 2017; Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 7090 del 2022). Nella specie, la soglia del ‘minimo costituzionale’ non è infranta, tendendosi piuttosto ad una rivisitazione del merito della controversia, in relazione ad un accertamento di merito discrezionalmente già compiuto dal giudice a tal fine deputato.
In ultima analisi, va accolto il secondo motivo di ricorso, rigettati tutti gli altri motivi. La sentenza di merito va cassata e la causa rinviata, per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Campania in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta gli altri motivi del ricorso stesso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Campania in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 13/03/2025.