Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16653 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16653 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/06/2025
Oggetto: II.DD. -IVA -avviso di accertamento -accertamento induttivo ‘puro’
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14147/2017 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliate in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore;
-intimata –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 1842/15/2017, depositata il 1.3.2017 e non notificata. Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 24 aprile 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 1842/15/2017, depositata il 1.3.2017, veniva parzialmente accolto l’ appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE ora in liquidazione, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli n. 550/11/2011 la quale, a sua volta, aveva parzialmente accolto il ricorso proposto dalla contribuente avente ad oggetto un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate per II.DD. e IVA, interessi e sanzioni relativamente al periodo di imposta 2006.
La società, esercente l’attività di commercio al dettaglio e all’ingrosso di cuoio e di pelli, era oggetto di verifica fiscale per l’annualità suddetta e, all’esito, veniva redatto il processo verbale di constatazione. Dall’esame della documentazione contabile esibita in sede di verifica, emergevano due riprese, la prima per costi non deducibili per violazione dei principi di competenza ed inerenza ai sensi dell’art. 109 del d.P.R. n.917/86 e la seconda per ricavi non dichiarati e ricostruiti induttivamente ai sensi dell’art. 39, comma 2, del d.P.R. n.600/73.
Il giudice di prime cure, riduceva i maggiori ricavi accertati del 30%, mentre il giudice d’appello dichiarava illegittima la ricostruzione dei maggiori ricavi condotta con metodo induttivo puro, ritenendo applicabile il disposto di cui all’art. 39, comma 2, del d.P.R. n.600/73 e quindi necessarie presunzioni gravi, precise e concordanti. Al contrario, confermava il recupero a tassazione delle sole imposte ed accessori per costi indebitamente dedotti.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia dell’Entrate deducendo due motivi, mentre la società è rimasta intimata.
Considerato che:
Invertendo l’ordine di esposizione delle censure in ricorso, dev’essere esaminato su di un piano logico prima il secondo motivo della ricorrente, trattandosi di questione preliminare attinente al procedimento amministrativo. Con tale censura, in relazione all’art.360, primo comma, n.3 cod. proc. civ., si impugna anche il capo della decisione di appello in cui ha dichiarato l’esistenza di vi zi della motivazione dell’avviso di accertamento, in violazione dell’art. 42 del d.P.R. 600/73.
Il motivo è inammissibile per difetto di specificità in quanto la motivazione dell’avviso in questione non è riprodotta in ricorso, non essendo idonei a colmare la lacuna i riferimenti agli atti sottostanti, come il p.v.c., posto che la censura è incentrata sulla motivazione proprio dell’avviso e non di altri atti.
Con il primo motivo l’Agenzia , in relazione all’art.360, primo comma, nn.3 e 4, cod. proc. civ., deduce la nullità della sentenza per motivazione inesistente, apparente e/o contraddittoria. Prospetta anche la violazione degli art. 99 e 112 cod. proc. civ. e dell’art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 546/1992, con riferimento al capo della decisione di appello che ha escluso nella fattispecie i presupposti per l’accertamento induttivo puro.
4. Il motivo è fondato.
La Corte reitera l’insegnamento secondo cui la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non
potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. Un. 3 novembre 2016 n. 22232). Rammenta inoltre che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014 n. 8053). Va anche ribadito che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. Un. 3 novembre 2016 n. 22232).
Orbene, nel caso di specie con riferimento alle riprese per ricostruzione induttiva pura dei maggiori ricavi il giudice si è limitato ad affermare che «non sussistono i presupposti per l’applicazione del capoverso dell’art. 39 d.P.R. 600/73, sicché l’accertamento può essere fondato esclusivamente sulla lett. d) del primo comma della medesima norma». Si tratta di una statuizione apodittica che non permette di individuare le ragioni che permetto al giudice di giungere
alla conclusione dell’illegittimità dell’applicazione dell’accertamento induttivo puro nel caso di specie ma solo di quello analitico-induttivo. 5. La sentenza impugnata è perciò cassata e, per l’effetto, la controversia va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo, a quelli rimasti assorbiti, e per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigettato il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, per ulteriore esame e per la liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 24.4.2025