Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7680 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7680 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/03/2025
Oggetto: Accertamento induttivo – Art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600/1973 -Contribuente esercente l’attività di tassista – Vizi dell’avviso di accertamento – Delega nominativa Necessità – Esclusione – Motivazione per relationem ad altri atti
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27244/2016 R.G. proposto da:
INTRONA NOME COGNOME rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME la quale ha indicato come indirizzo pec EMAIL;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 2142/38/2016, depositata in data 12 aprile 2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
A seguito di verifica della congruità delle dichiarazioni dei redditi per gli anni 2009 e 2010 e dell’esame della documentazione prodotta dal contribuente a seguito dell’invio di questionario, l’Agenzia delle entrate emetteva gli avvisi di accertamento nn. T9D012G01202-15/2013, con cui recuperava ad imposizione, a fini Irpef ed Irap per gli anni di imposta 2009 e 2010, maggior reddito di NOME COGNOME, ex art. 39, comma primo, lett. d), d.P.R. 600/1973.
Il contribuente impugnava l’avviso innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano, che respingeva il ricorso.
Il ricorrente spiegava appello innanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, affidato a plurimi motivi.
La CTR rigettava il gravame, confermando la decisione dei giudici di prossimità.
Contro la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione il contribuente, affidato ad otto motivi. L ‘Ufficio resiste con controricorso , eccependo preliminarmente l’inammissibilità d i tutti i motivi, ad eccezione del settimo.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 05/03/2025.
Considerato che:
Con il primo motivo il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, comma prima, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione dell’art. dell’art. 42, comma 2, d.P.R. n. 600/1973 per non avere i giudici di secondae curae accolto il motivo di illegittimità della sentenza di primo grado stante la nullità degli avvisi di accertamento per mancata sottoscrizione del Direttore Provinciale dell’Agenzia delle Entrate» e per la mancata allegazione della delega dalla quale risulti il potere di firma del sottoscrittore. Nella specie, gli atti impositivi erano sottoscritti da un funzionario delegato, diverso dal Capo dell’Ufficio impositore, e la delega depositata dall’Agenzia era del tutto generica, in quanto non nominativa, ovvero non contenente
i nominativi dei funzionari delegati da l Capo dell’Ufficio alla sottoscrizione.
Il motivo , subito superando l’eccezione di inammissibilità proposta dall’Ufficio atteso che con esso non si richiede una nuova valutazione delle prove né un nuovo accertamento in fatto, è infondato.
Parte ricorrente pretende, in sostanza, che quando l’atto non sia sottoscritto dal Direttore dell’Ufficio Provinciale dell’ADE, ma da un suo delegato, la delega conferita debba essere nominativa, ovvero indicare lo specifico nome del funzionario delegato alla sottoscrizione dell’atto.
L ‘ assunto non può essere condiviso.
Come costantemente affermato da questa Corte, infatti, «la delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento, conferita dal dirigente ex art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, è una delega di firma e non di funzioni, in quanto realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna con l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che l’attuazione di detta delega di firma – risultando inapplicabile la disciplina dettata per la delega di funzioni di cui all’art. 17, comma 1-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001 – avviene anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato che consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa» (Cass. 02/08/2024, n. 21839; conf. Cass. 19/04/2019, n. 11013).
Nella specie la delega (riportata nel suo contenuto nel ricorso) prevede, a fianco di ciascuna categoria di atto, l’individuazione delle singole qualifiche (Capo Team, Capo Area, Capo Ufficio controlli) rivestite dal delegato autorizzato alla relativa sottoscrizione.
La sentenza impugnata è, quindi, in parte qua immune da censure, avendo fatto corretta applicazione dei principi affermati in materia da questa Corte.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, sempre in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 212 e dell’art. 42, comma 2, D.P.R. n. 600/1973, per non avere i giudici di secondae curae accolto il motivo di illegittimità della sentenza di primo grado stante la mancata allegazione, agli avvisi di accertamento, di tutti gli atti (elaborati, studi, ricerche, ecc.) citati ed intesi dall’Ufficio come fonti di r iferimento giustificative dell’attività accertatrice », ovvero le elaborazioni CENSIS, i dati dell’Osservatorio Turistico di INDIRIZZO, i dati del Sistema Statistico Nazionale e della Borsa Valori Italiana, i dati ACI, RAGIONE_SOCIALE, ed i regolamenti del Comune di Milano. Nella specie, dette fonti costit uivano ‘l’unica parte motiva dell’avviso di accertamento impugnato’ (pag. 18 del ricorso), e non avevano, quindi, mera valenza narrativa o integrativa dell’avviso.
Il motivo, subito superando l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Ufficio in quanto con lo stesso non viene richiesto alla Corte un nuovo accertamento in fatto, sostanziandosi di contro nella violazione della norma applicabile in tema di motivazione dell’avviso di accertamento, è infondato.
Nel processo tributario, ai fini della validità dell’avviso di accertamento non rilevano l’omessa allegazione di un documento o la mancata ostensione dello stesso al contribuente se la motivazione, anche se resa per relationem , è comunque sufficiente, dovendosi distinguere il piano della motivazione dell’avviso di accertamento da quello della prova della pretesa impositiva e, corrispondentemente, l’atto a cui l’avviso si riferisce dal documento che costituisce mezzo di prova (Cass. 25/03/2024, n. 8539; Cass. 20/09/2024, n. 25321).
Nella specie, pertanto, la mancata allegazione agli avvisi di accertamento dei documenti sopra indicati (per la gran parte, comunque, pubblici e, perciò, facilmente conoscibili dal
contribuente; cfr. Cass. 15/01/2021, n. 593 in caso di documenti pubblicati su internet) non comporta la nullità degli stessi.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, sempre in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 212 e dell’art. 42, comma 2, D.P.R. n. 600/1973, per non ave re i giudici di secondae curae accolto il motivo di illegittimità della sentenza di primo grado stante la mancata indicazione negli avvisi di accertamento delle ragioni per le quali l’Ufficio ha integralmente disatteso le risposte al questionario».
Con il quarto motivo il contribuente denuncia, sempre in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 212 e dell’art. 42, comma 2, D.P.R. n. 600/1973, in combinato disposto con l’art. 3 l. n. 241/1990, per non avere i giudici di secondae curae accolto il motivo di illegittimità della sentenza di primo grado stante l ‘omessa o comunque erronea motivazione in ordine alla riferibilità dei ‘ presupposti di fatto e le ragioni giuridiche ‘ giustificative dell’attività accertatrice in capo al contribuente ».
Con il quinto motivo il contribuente denuncia, sempre in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 212 e dell’art. 42, comma 2, D.P.R. n. 600/1973, per non avere i giudici di secondae curae accolto il motivo di illegittimità della sentenza di primo grado stante l’omessa o comunque erronea motivazione negli avvisi di accertamento».
Con il sesto motivo il contribuente denuncia, sempre in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 212, dell’art. 42, comma 2, D.P.R. n. 600/1973, dell’art. 10 l. n. 146/1998 per non avere i giudici di secondae curae accolto il motivo di illegittimità della sentenza di primo grado relativo alla nullità e/o annullabilità degli avvisi di accertamento stante la mancata
indicazione delle valutazioni dell’Ufficio circa le ragioni di fatto e di diritto -che hanno indotto a disattendere le risultanze degli studi di settore, ai fini della ricostruzione del maggior imponibile accertato».
I motivi dal terzo al sesto sono tutti inammissibili perché non specifici, in quanto relativi tutti a carenze contenutistiche degli avvisi di accertamento, sotto diversi aspetti, ma il ricorrente non solo non riporta nel corpo del ricorso il contenuto degli stessi ma nemmeno li allega allo stesso; a tal fine non può, invero, ritenersi idonea e sufficiente l’indicazione (contenuta, peraltro, solo nel terzo motivo) dei documenti allegati nn. 2-11 del ricorso in primo grado.
Essendo dedotto un error in iudicando , ovvero la violazione di legge ex art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., questa Corte non ha accesso al fatto, diversamente dall’ipotesi in cui venga dedotto un error in procedendo ; solo in questo caso, infatti, il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto ( ex multis , Cass. 13/08/2018, n. 20716).
Con il settimo motivo il ricorrente denuncia, sempre in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 2, d.lgs. n. 546/1992 in combinato disposto con l’art. 112 c.p.c., per non avere i g iudici di secondae curae accolto il motivo di illegittimità della sentenza di primo grado viziata di ultrapetizione». La CTR avrebbe, invero, fatto riferimento al requisito dell’antieconomicità nello svolgimento dell’attività di impresa, requisito non indi cato negli avvisi di accertamento oggetto di lite.
Il motivo è infondato.
Come correttamente affermato dal giudice del gravame la contestazione dell’antieconomicità, pur non essendo ‘dettagliatamente espressa’ negli avvisi, era ‘evidente’ nelle
conclusioni svolte dall’Ufficio; nell’avviso di accertamento, infatti, viene sottolineata l’inverosimiglianza della disponibilità di un reddito inferiore alle spese sostenute (pag. 9 dell’avviso, riportata nel controricorso), ciò che costituisce il primo e principale indizio di una gestione antieconomica.
8. Con l’ottavo (e ultimo) motivo il ricorrente denuncia, sempre in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione e falsa applicazione dell’art. dell’art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. 29/09/1973, n. 600 in combinato disposto con l’art. 2729 c.c., per non avere i giudici di secondae curae accolto il motivo di illegittimità della sentenza di primo grado relativo alla nullità e/o annullabilità degli avvisi di accertamento stante la mancata sussistenza di presunzioni assistite dai requisiti di gravità, precisione e concordanza che hanno legittimato gli atti impositivi». Dopo aver riportato il dato normativo, il contribuente afferma che l’Ufficio non avrebbe dimostrato l’inattendibilità della sua contabilità; infatti, nella specie, quest’ultima sarebbe emersa dal raffronto tra i dati fiscali dichiarati e numerosi elementi (dati statistici del settore, disponibilità di un reddito non elevato, incongruenze chilometriche rispetto agli studi di settore), non riconducibili in concreto alla fattispecie; di qui, la vi olazione dell’art. 2729 cod. civ.: ‘le presunzioni che l’Ufficio ha posto a fondamento degli atti impositivi pur in presenza -lo si ribadisce -di una contabilità formalmente corretta -sono prive di attendibilità’ (pag. 29 del ricorso).
8.1. Il motivo è infondato perché muove da un presupposto di diritto erroneo, ovvero la necessità della sussistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, nonostante si tratti di avvisi di accertamento fondati sul metodo induttivo puro.
8.1.1. Ai sensi dell’art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600/1973, nella formulazione applicabile ratione temporis , l’ufficio procede alla rettifica dei redditi d’impresa con il metodo induttivo ‘puro’, ovvero sulla base di elementi presuntivi privi dei requisiti della gravità, precisione e concordanza, quando:
quando dal verbale di ispezione risulta che il contribuente non ha tenuto o ha comunque sottratto all’ispezione una o più delle scritture contabili ovvero quando le scritture non sono disponibili per causa di forza maggiore;
quando le omissioni o le false o inesatte indicazioni accertate ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per la mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica.
8.1.2. Ora, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte «in tema di rettifica dei redditi d’impresa, il discrimine tra l’accertamento con metodo analitico induttivo e quello con metodo induttivo puro sta, rispettivamente, nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili: nel primo caso, la ‘incompletezza, falsità o inesattezza’ degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, in quanto l’Ufficio accertatore può solo comp letare le lacune riscontrate, utilizzando ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all’art. 2729 c.c.; nel secondo caso, invece, ‘le omissioni o le false od inesatte indicazioni’ sono così gravi, numerose e ripetute da inficiare l’attendibilità e dunque l’utilizzabilità, ai fini dell’accertamento anche degli altri dati contabili (apparentemente regolari), sicché l’Amministrazione finanziaria può ‘pre scindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti’ ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari, anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c.» (Cass. 18/12/2019, n. 33604; conf. Cass. 15/02/2023, n. 4662).
L’accertamento induttivo puro svolto ai sensi dell’art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600/1973, consente all’Amministrazione finanziaria di prescindere del tutto dalle risultanze delle scritture
contabili e di determinare l’imponibile sulla base di elementi meramente indiziari, costituenti presunzioni ‘supersemplici’, ovvero prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (Cass. 17/07/2019, n. 19191), quando i dati in esse contenuti siano assolutamente inattendibili e tali da inficiare l’utilizzabilità anche di quelli apparentemente regolari (Cass. 09/06/2017, n. 14376), ponendo a carico del contribuente l’onere di fornire la prova contraria, ossia di dimostrare di non aver conseguito il reddito accertato (Cass. 27/02/2020, n. 20793) ovvero di avere conseguito un reddito inferiore a quello indicato dall’Ufficio (Cass. 14/04/2022, n. 12127).
Si è, da ultimo, precisato che il giudizio di complessiva o intrinseca inattendibilità delle scritture contabili, ancorché formalmente corrette, costituisce il presupposto per procedere con il metodo analitico-induttivo, che consente valutazioni sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, ma anche quello per procedere con l’accertamento induttivo “puro”, fondato su presunzioni cd. “supersemplici”, prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, in presenza di una delle tassative condizioni previste dallo stesso art. 39, comma 2, il quale, inoltre, costituendo una facoltà per l’Amministrazione, può prescindere anche solo in parte dalle scritture contabili e dal bilancio e non richiede alcuna specifica motivazione per l’utilizzazione di dati indicati in contabilità o in dichiarazione o comunque provenienti dallo stesso contribuente, anche a fronte di un giudizio di complessiva inattendibilità della contabilità, nel rispetto di una ricostruzione operata sempre secondo criteri di ragionevolezza e nel rispetto del parametro costituzionale della capacità contributiva (Cass. 13/06/2024, n. 16528).
8.1.3. Nella specie, trattandosi di accertamenti fondati sul metodo induttivo puro (il richiamo alla lettera d dell’art. 39 d.P.R. cit. è contenuto sia nella sentenza, sia nel ricorso per cassazione),
non era necessario alcun riscontro in termini di gravità, precisione e concordanza degli elementi dedotti dall’Ufficio.
COGNOME, pertanto, appare l’affermazione della CTR sulla sussistenza di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti (pag. 7 della sentenza).
8.2. Il motivo sarebbe, invece, inammissibile ove dovesse ritenersi che l’accertamento impugnato sia fondato su presunzioni gravi, precise e concordanti.
8.2.1. È noto che la selezione, tra gli indizi offerti dall’Amministrazione a dimostrazione delle pretese fiscali, di quelli reputati rilevanti rientra a pieno titolo nel meccanismo di operatività dell’art. 2729 cod. civ., il quale, nel prescrivere che le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla “prudenza del giudice” (secondo una formula analoga a quella che si rinviene nell’art. 116 cod. proc. civ. a proposito della valutazione delle prove dirette), si articola nei due momenti valutativi della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, volta a scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e a conservare viceversa quelli che, presi singolarmente, rivestono i caratteri della precisione e gravità, e della successiva valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati, oltreché dell’accertamento della loro idoneità alla prova presuntiva se considerati in combinazione tra loro (c.d. convergenza del molteplice), essendo erroneo l’operato del giudice di merito il quale, al cospetto di plurimi indizi, li prenda in esame e li valuti singolarmente, per poi giungere alla conclusione che nessuno di essi assurga a dignità di prova (da ultimo Cass., 21/03/2022, n. 9054; Cass. 05/04/2023, n. 9336; v. anche Cass., 09/03/2012 n. 3703).
8.2.2. Pertanto, come affermato da questa Corte, intanto può denunciarsi la violazione o falsa applicazione del ridetto art. 2729 cod. civ., in quanto il giudice di merito ne abbia contraddetto il disposto, affermando che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni ( rectius : fatti), che non siano gravi, precisi e concordanti, ovvero abbia fondato la presunzione su un fatto storico
privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e abbia dunque sussunto erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione fatti concreti accertati che non siano, invece, rispondenti a quei caratteri, competendo soltanto in tal caso alla Corte di cassazione controllare se la norma in esame sia stata applicata a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta o il giudice non sia incorso in errore nel considerare grave una presunzione che non lo sia sotto il profilo logico generale o sotto il particolare profilo logico (interno ad una certa disciplina) entro il quale essa si collochi, al pari di quanto può accadere con riguardo al controllo della precisione e della concordanza (in questi termini, v. ex multis Cass., 21/03/2022, n. 9054).
8.2.3. Se questo è il presupposto della violazione o errata applicazione dell’art. 2729 cod. civ., la deduzione del vizio, come già sostenuto da questa Corte, non può che estrinsecarsi nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione dei motivi per i quali il ragionamento del giudice di merito sia irrispettoso dei paradigmi della gravità, precisione e concordanza, risolvendosi altrimenti la critica al ragionamento presuntivo svolto, che si sostanzi nell’enunciazione di una diversa modalità della sua ricostruzione, nel suggerimento di un diverso apprezzamento della questio facti che si pone al di là della fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., atteso che il giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass., 02/08/2016, n. 16056), e che la valutazione del compendio probatorio è preclusa a questa Corte, essendo riservata al giudice di merito al quale spetta,
in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass., 13/01/2020, n. 331; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 04/11/2013, n. 24679; Cass., 16/12/2011, n. 27197; Cass., 07/02/2004 n. 2357).
8.2.4. Nella specie il ricorrente si è limitato a dedurre la violazione del detto articolo, limitandosi ad affermare di aver ‘fornito ogni tipo di evidenza documentale atta a smentire l’attendibilità degli elementi presuntivi richiamati dall’Ufficio’ (pag. 28 del ricorso), senza nemmeno dedurre quale documentazione avesse depositato nei precedenti gradi ai detti fini.
Il ricorso va, pertanto, integralmente rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue.
Sussistono, infine, i presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , delle spese di lite che liquida in euro 4.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 marzo 2025.