Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2468 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2468 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3076/2015 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende,
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persone del Direttore generale pro tempore, ex lege domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché
AGENZIA DELLE ENTRATE INDIRIZZO AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE BOLZANO,
-intimati- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.PROV di secondo grado di BOLZANO n. 43/2014 depositata il 03/06/2014.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/01/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il contribuente, titolare della ditta RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di La Rocca Santo’, era attinto da distinti avvisi di accertamento per gli anni di imposta 2006 e 2007, notificati in data 30 novembre 2010. La ripresa a tassazione scaturiva da una verifica conseguente alla mancata esposizione dei redditi per gli anni in questione i quali, in assenza delle principali scritture contabili, erano ricostruiti con metodo induttivo tramite buste paga del 2007, versamenti alla cassa edile d i Bolzano per l’anno 2006, dichiarazione del sostituto di imposta ex modello 770 per lo stesso anno, il tutto come da pvc formato all’esito dell’indagine e notificato alla parte contribuente il precedente 29 marzo 2010. Insorgeva la parte privata sollevando plurimi vizi sostanziali e procedimentali avanti alla CTP che, in parziale apprezzamento delle sue ragioni, riformulava il credito dell’erario riducendolo in via equitativa dall’originario importo di circa €.880.000,00 per il biennio in questione alla m inor somma di €.570.000,00.
Spiccava appello la stessa parte contribuente per i capi di propria soccombenza, mentre reagiva con appello incidentale il patrono erariale avverso la rideterminazione in via equitativa. Il collegio di seconde cure rigettava le domande di parte privata e, in accoglimento dell’appello incidentale, ripristinava nella sua interezza l’originaria ripresa a tassazione.
Ricorre per cassazione il contribuente affidandosi a quattro motivi, cui replica l’Avvocatura generale dello Stato con tempestivo controricorso.
In prossimità della camera di consiglio fissata per il 27 gennaio 2023 la parte contribuente depositava istanza ex art. 1, comma 186 e seguenti, l. n. 197/2022 per la sospensione del giudizio onde valutare la possibilità della definizione agevolata della controversia ai sensi della citata disposizione.
Con ordinanza n. 3455/2023 questa Corte dichiarava sospeso il giudizio fino al 10 luglio 2023 ai sensi dell’art. 1, commi 186 e ss., l. 197/2022 e rinviava a nuovo ruolo, cui non seguiva alcuna altra comunicazione in ordine alla intervenuta definizione della lite.
CONSIDERATO
Vengono proposti quattro mezzi cassatori.
Con il primo motivo il contribuente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 53 Cost., dell’art. 41, co. 2, d.P.R. n. 600/1973, dell’art. 55 d.P.R. n. 633/1972 e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.
Dopo aver ricordato che l’avviso di accertamento poggiava su una verifica fiscale scaturita della mancata esposizione dei redditi per gli anni in questione nonché dall’assenza delle principali scritture contabili, ivi comprese quelle inerenti i costi, critica la sentenza nella parte in cui ha confermato la legittimità dell’operato dell’Amministrazione finanziaria, laddove aveva considerato i ‘soli’ costi rinvenuti in sede di verifica per non aver il contribuente adempiuto all’onere probatorio su di lui grav ante invece di rideterminare i costi sulla base di presunzioni prove degli ordinari requisiti di gravità, precisione e concordanza. Afferma che la determinazione del reddito presuntivo senza la contemporanea determinazione dei costi in modo altrettanto forfettario e/o presuntivo determinerebbe una lesione del principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53 Cost., soggiungendo che a tal fine
sarebbe stato sufficiente avere riguardo al criterio presuntivo di carattere obiettivo indicato dal contribuente, ossia all’utile medio sui costi risultante dal prezziario provinciale per gli anni di riferimento. Il motivo è fondato nei termini che seguono.
È stato infatti affermato che «in tema di imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo ‘puro’ , ex art. 39, comma 2, d el D.P.R. n. 600 del 1973, mentre in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario (Cass., 25 febbraio 2022, n. 6304) e, tuttavia, deve richiamarsi, in proposito, la sentenza della Corte Costituzionale n. 10 del 2023, che, nell’interpretare l’art. 32, comma 1, n. 2, del D.P.R. n. 600 del 1973, in tema di accertamenti bancari, ha affermato che, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturenti da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre, anche in caso di accertamento analiticoinduttivo, eccepire l’incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall’ammontare dei prelievi non giustificati (Corte Costituzionale, sentenza 31 gennaio 2023, n. 10). 3.3 La Corte costituzionale, in particolare, dopo avere richiamato il principio secondo il quale, nell’ipotesi di accertamento induttivo ‘puro’, deve riconoscersi la deduzione dei costi di produzione, determinata anche in misura percentuale forfettaria, ha ribadito che l’interpretazione adeguatrice, orientata alla conformità ai parametri di cui agli artt. 3 e 53 Cost., richiede che il contribuente imprenditore possa sempre articolare la prova presuntiva e, in particolare, eccepire la ‘incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall’ammontare dei prelievi non giustificati’ affinché la presunzione in esame risulti essere compatibile, in
particolare, anche con il principio di capacità contributiva (art. 53, primo comma, Cost.). E anzi, nel caso di accertamento induttivo puro, è lo stesso ufficio ad essere onerato di determinare induttivamente non solo i ricavi, ma anche i corrispondenti costi. Come precisato da questa Corte, ‘ciò comporta il superamento di quella giurisprudenza costante, in materia di prova contraria incombente al contribuente per vincere la presunzione relativa di cui al citato art. 32 D.P.R. 600 del 1973, espressa da Cass. n, 15161-20 (nonché da molte altre pronunce, tra le quali, Cass. n. 16896-14; Cass. n. 14675-06), secondo cui è onere del contribuente dimostrare la sussistenza di specifici costi e oneri deducibili, fondata su concreti elementi di prova (Cass. n. 15161-2020), avvicinando il riconoscimento della detrazione dei costi, in relazione ai prelevamenti non giustificati, al regime forfettario proprio dell’induttivo puro (v. già Corte cost. n. 225 -2005)’ e ‘ove detti costi non siano stati riconosciuti dall’Amminis trazione finanziaria, va demandato al giudice di merito l’accertamento del quantum dei costi sostenuti per la produzione del reddito, in ragione del parametro individuato nel par. 8 della sent. della Corte cost. n. 10-2023, quantificandoli in via presuntiv a, anche con riferimento alle ‘medie’ elaborate dall’amministrazione finanziaria per il settore di riferimento, o, se del caso, anche a mezzo di CTU’ (cfr. Cass., 8 marzo 2023, n. 6874, in motivazione).» (Cfr. Cass., V, n. 2444/2024).
La Commissione tributaria di secondo grado ha dunque fatto mal governo dei principi sanciti da questa Corte laddove ha considerato i ‘soli’ costi rinvenuti in sede di verifica, omettendo invece di rideterminare i costi in via presuntiva.
Con il secondo motivo la parte ricorrente lamenta la nullità della sentenza per omessa pronuncia, con violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 1, co. 2, d.lgs. n. 546/1992 in parametro all’art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c. Afferma che il Collegio di secondo grado aveva omesso
ogni pronuncia rispetto al motivo di appello relativo alla rideterminazione della base imponibile IVA. Ricorda che il primo giudice aveva accolto il ricorso limitatamente alle imposte dirette e all’IRAP, confermando invece la legittimità della ripresa a ta ssazione operata ai fini IVA e che, a fronte del motivo di appello relativo a detto capo della sentenza, nulla aveva statuito la Commissione tributaria di secondo grado.
Il motivo è infondato.
Occorre ricordare infatti che «il vizio di omessa pronuncia, causativo della nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto; non è configurabile la violazione dell’art. 112 c.p.c. ove il giudice di merito non abbia considerato i fatti secondari dedotti dalla parte; in tal caso, può ritenersi integrato il diverso vizio di cui all’ art. 360, n. 5 c.p.c. nella misura in cui il giudice abbia omesso di considerare fatti rilevanti ai fini della ricostruzione della ‘quaestio facti’ in funzione dell’esatta qualificazione e sussunzione ‘in iure’ della fattispecie (v. Cass. n. 17698 del 2011; n. 7653 del 2012; 22799 del 2017; n. 28308 del 2017; n. 459 del 2021).» (cfr. Cass., Sez. L., n. 6201/2024).
Occorre inoltre ricordare che «non ricorre vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda (v. Cass., 18/5/1973, n. 1433; Cass., 28/6/1969, n. 2355). Quando cioè la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una
specifica argomentazione in proposito (v. Cass., 21/10/1972, n. 3190; Cass., 17/3/1971, n.748; Cass., 23/6/1967, n. 1537). Secondo risalente insegnamento di questa Corte, al giudice di merito non può invero imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazion e delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacché né l’una né l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non già di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì solo di quelle ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo. In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. V, 9/3/2011, n. 5583).» (Cass., V, n. 7662/2020).
Nella fattispecie in esame la CT di secondo grado ha rigettato le tesi difensive del contribuente, riformando anche la decisione di primo grado previo accoglimento dell’appello incidentale erariale.
In ogni caso va ricordato che «in tema di IVA, ove l’Amministrazione finanziaria, nell’ipotesi di omessa fatturazione, abbia proceduto ad accertamento induttivo puro ex art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, la base imponibile deve essere determinata ai sensi dell’art. 13 del d.P.R. n. 633 del 1972, con la conseguenza che non assumono alcuna incidenza i costi di produzione dei beni o servizi ceduti’ (Sez. 5, Ordinanza n. 21828 del 07/09/2018).» (cfr. Cass., V, n. 31811/2019).
Il motivo va quindi disatteso.
La terza doglianza ha ad oggetto la violazione del principio immanente del contraddittorio preventivo rispetto all’emissione degli atti di accertamento, deducibile dall’art. 7 della L. n. 241/1990 e
degli artt. 5, 6, 7, 10 co. 1, 12 co. 2 della L. n. 212/2000 in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.
In sintesi denunzia l’illegittimità della sentenza per aver il Collegio d’appello, in violazione anche dei superiori principi di derivazione eurounitaria, ritenuto sufficiente l’astratta possibilità del contribuente di partecipare al procedimento accertativo senza avvedersi del fatto che la disciplina di settore prevede invece che allo stesso sia data preventiva comunicazione del provvedimento che sarà adottato affinché possa partecipare effettivamente alla sua formazione previa instaurazione di un formale contraddittorio.
Il motivo è infondato.
Va ricordato che «come ha in più occasioni affermato questa Corte, l’ambito di applicabilità dei diritti e delle garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, stabiliti dall’articolo 12 dello statuto dei diritti del contribuente, postula, a norma del 1° comma della norma, lo svolgimento di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali del contribuente (ex plurimis, Cass. 4.04.2014, n. 7957); da ciò discende che la disciplina prevista dall’art. 12 cit. -ed in particolare l’obbligo di redazione del processo verbale di constatazione e il rispetto del termine dilatorio all’azione di accertamento -non si applica ai controlli effettuati dall’Amminis trazione finanziaria – come nel caso in esame – nella propria sede (c.d. controllo a tavolino), in base ai dati forniti dallo stesso contribuente o acquisiti documentalmente (ex plurimis, Cass. 5.11.2020, n. 24793); occorre poi ribadire che nei casi di accertamento c.d. a tavolino, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto impositivo, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi
“armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Cass., Sez. U, n. 24823 del 9.12.2015); nella specie, versandosi in presenza di accertamento effettuato presso gli uffici dell’Amministrazione finanziaria, quindi, non sussisteva alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale rispetto ai tributi non armonizzati oggetto di ripresa; – per quanto riguarda l’IVA, invece, occorre premettere che, poiché per le modalità di svolgimento del contraddittorio non viene prescritta alcuna forma vincolata, va ribadito il principio, secondo il quale è sufficiente (e necessario) che detto contraddittorio, quando previsto, ‘si realizzi in modo effettivo quali siano gli strumenti in concreto adottati, siano essi il ricorso a procedure partecipative o l’impiego di altri meccanismi finalizzati all’interlocuzione preventiva, come, ad esempio, l’inoltro di questionari, il riconoscimento dell’accesso agli atti ovvero l’espletamento di altre attività che risultino funzionali a detto obiettivo’ (Cass. 19.07.2021, n. 20436)» (Cfr. Cass., V, n. 16873/2024).
Nella fattispecie in esame, la CT di secondo grado ha accertato che al contribuente sia stato consegnato il processo verbale di constatazione ben prima dell’emissione dell’avviso di accertamento e che egli abbia anche presentato istanza di accertamento di adesione con conseguente rispetto delle sue garanzie procedimentali.
Con la quarta doglianza il ricorrente censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della L. n. 212/2000, dell’art. 42 d.P.R. n. 600/1973, dell’art. 54 d.P.R. n. 633/1972, dell’art. 3 della L. n. 241/1990, del d.lgs. n. 32/2001 nonché dell’art. 1, co. 1, L. n. 212/2000 e dell’art. 15 delle preleggi in parametro all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.
In sostanza ricorda di aver fatto censurato, sin dal primo grado, l’invalidità dell’avviso di accertamento per difetto di accertamento e per sostanziale delega del potere accertativo alla GdF. Afferma che l’atto impositivo faceva un generico rinvio al pred etto p.v.c. senza che lo stesso fosse ivi allegato e senza indicazione dei suoi punti essenziali, oltre ad essere viziato da una motivazione per relationem di ‘secondo grado’, tenuto conto che l’avviso rinviava al p.v.c. e che quest’ultimo rinviava a sua v olta a delle fatture rinvenute presso i clienti, ma prodotto solo in fase giudiziale e mai allegate in sede di contraddittorio.
Il motivo è infondato perché non si confronta con il duplice accertamento in fatto compiuto dalla CT di secondo grado secondo cui, da un lato, il contenuto motivazionale dell’avviso di accertamento era completo ed idoneo a consentire alla contribuente il p ieno esercizio del diritto di difesa e dall’altro, la circostanza che le fatture di cui trattasi era state emesse dallo stesso contribuente (cfr. Cass., V, n. 23790/2024). A ciò aggiungasi che il contribuente non contesta la circostanza di fatto, parimenti accertata dalla CT di secondo grado e richiamata nella sentenza, trascritta per estratto nel terzo motivo di ricorso, per cui il p.v.c. era già stato consegnato al ricorrente ancor prima della notifica dell’avviso di accertamento e che in ricorso non allega alcun concreto pregiudizio sofferto in riferimento alle prerogative difensive.
Il motivo va pertanto disatteso.
In definitiva, il ricorso è fondato per le ragioni attinte dal primo motivo, la sentenza dev’essere cassata con rinvio al giudice di merito perché si conformi ai sopraindicati principi.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per la Provincia Autonoma di Bolzano, in diversa
composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 21/01/2025.