Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24663 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24663 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/09/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 22704/2016 R.G. proposto da
Agenzia delle Entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
Contro
COGNOME COGNOME rappresentato e difeso d all’avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione (PEC: avvEMAIL;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Basilicata n. 97/01/2016, depositata l’ 11.03.2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CTP di Potenza accoglieva parzialmente i ricorsi riuniti proposti da COGNOME Pasquale avverso gli avvisi di accertamento, per imposte dirette ed IVA, in relazione agli anni 2006 e 2007, con i quali era
Oggetto: Tributi –
Accertamento induttivo cd. puro – determinazione dei costi
stato determinato induttivamente il suo reddito, avendo egli omesso di presentare la dichiarazione dei redditi e non avendo istituito il libro degli inventari;
-l’Agenzia delle entrate aveva ricostruito il reddito, applicando al totale delle operazioni attive registrate in contabilità la percentuale di redditività del 30% e riconoscendo i costi in misura forfetaria, pari al 70% delle operazioni attive registrate;
-il primo giudice aveva ritenuto legittimo l’accertamento induttivo, nonostante la mancata presentazione delle dichiarazioni dipendesse dall’Ufficio dell’ Agenzia delle entrate che era stato delegato alla trasmissione telematica, in quanto non era stato istituito il libro degli inventari, ma aveva riconosciuto la deducibilità dei costi sostenuti e i versamenti delle imposte effettuati in acconto e a saldo;
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione Tributaria Regionale della Basilicata rigettava l’appello proposto dall ‘Agenzia delle entrate osservando, per quanto qui rileva, che:
il contribuente aveva istituito tutti i libri contabili, ad eccezione del libro inventari, e la verifica della GdF aveva appurato la regolare tenuta della restante contabilità, la sussistenza e la regolarità delle liquidazioni periodiche IVA e dei versamenti periodici delle imposte;
-l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi era imputabile alla stessa Agenzia delle entrate, delegata alla trasmissione telematica;
sebbene il libro inventari sia una scrittura obbligatoria e la sua mancata istituzione legittima la ricostruzione reddituale secondo il metodo induttivo, dal PVC risultava che il contribuente aveva riportato e trascritto il bilancio di esercizio su libro giornale e ciò incideva in senso favorevole sulla violazione riguardante la mancata tenuta del libro inventari;
la sentenza di primo grado, che aveva riconosciuto le spese documentate dal contribuente andava confermata, anche perché l’Agenzia delle entrate non aveva eccepito nulla in ordine alla documentazione prodotta in giudizio dal contribuente;
l ‘Agenzia delle entrat e impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a due motivi;
il contribuente resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
-preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per avere la sentenza deciso le questioni di diritto in senso conforme alla giurisprudenza di questa Corte, in mancanza di elementi che inducano ad un mutamento della stessa, posto che tale inammissibilità sussiste solo nell’ipotesi di una giurisprudenza di legittimità consolidata nella materia oggetto di controversia, contraria alla tesi della parte ricorrente (Cass. n. 19190 del 2017), che è circostanza nella specie insussistente;
risulta infondata anche la seconda eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dal controricorrente per asserita violazione dell’art. 366, comma 1, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., perché il ricorso sarebbe stato redatto attraverso la ‘pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali’, ‘senza che vi sia relazione tra l’esposizione dei fatti ed i motivi e senza che tra i vizi denunciati e l’esposizione venga evidenziato un nesso logico e/o eziologico’ ; nel caso in esame il ricorso è stato redatto in modo chiaro e sintetico, mediante l’esposizione argomentata dei motivi , avendo la ricorrente riportato alcune parti di atti processuali per evidenti ragioni di economia processuale e di semplificazione, in funzione dell’accorciamento dei tempi di redazione del ricorso;
ciò premesso, con il primo motivo l’Agenzia denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 2, 14 e 15 del d.P.R. n. 600
del 1973, in relazione all’ar t. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per non avere la CTR considerato che la mancata istituzione del libro degli inventari costituiva da sola il presupposto legittimante l’accertamento induttivo puro, anche in presenza di dichiarazioni regolarmente presentate e che tale omissione non poteva essere sanata mediante il riferimento al bilancio, trattandosi di scritture contabili distinte, aventi contenuto e finalità diverse;
con il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 132 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., per avere la CTR confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva riconosciuto i costi sostenuti dal contribuente, desumibili dalla documentazione prodotta in giudizio, senza nulla argomentare in ordine alla censura mossa dall’Ufficio con l’atto di appello in ordine all a circostanza che i costi erano stati già riconosciuti dall’Ufficio in misura forfetaria del 70% delle operazioni attive e senza spiegare se con tale decisione abbia voluto modificare il metodo di accertamento, da induttivo ad analitico, riconoscendo i costi sostenuti come risultanti dalla contabilità, senza peraltro procedere alla loro quantificazione e senza indicare il percorso seguito per giungere alla verifica dei requisiti di certezza, inerenza ed effettività, ovvero abbia voluto riconoscere la deducibilità di costi anche in misura forfetaria già riconosciuti;
il secondo motivo è fondato, con assorbimento del primo motivo;
come hanno sottolineato le Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 7.04.2014), l’anomalia motivazionale denunciabile in Cassazione è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali;
-deve trattarsi, dunque, di un’anomalia che si esaurisce nella mancanza assoluta di motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili o nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile;
solo in tali casi la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo” , in quanto, benchè graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. S.U. 3.11.2016, n. 22232);
orbene, dopo avere richiamato la sentenza di primo grado nella parte riguardante la deducibilità dei costi, la CTR ha ritenuto, da un lato, che l’accertamento svolto con il metodo induttivo cd. puro fosse legittimo, in mancanza della istituzione del libro degli inventari, ma ha poi in modo immotivato affermato che, avendo il contribuente ‘fornito ai militari tutta la documentazione riferita a spese e ricavi sulla quale nulla è stato eccepito e la conseguente totale successiva produzione di essa in fase contenziosa a seguito della richiesta da parte del primo giudice’, si doveva confermare ‘la ricostruzione reddituale sulla base della documentazione prodotta e regolarmente tenuta ed esibita con rigetto, pertanto, dell’appello dell’Ufficio’, senza spiegare in quale modo dovevano essere determinati i costi, già riconosciuti dall’Ufficio nella misura forfetaria del 70% delle operazioni attive;
-dal contenuto dell’atto di appello, inve ro, come riprodotto nel ricorso per cassazione, risulta che l’Ufficio aveva espressamente censurato la sentenza di primo grado, nella parte in cui la CTP, pur avendo dichiarato che sussistevano i presupposti dell’accertamento
induttivo ‘puro’, ravvisabili nella mancata tenuta, istituzione e conservazione del libro inventari, ha ritenuto che dai ricavi accertati dovessero essere detratti i ‘costi sostenuti’, senza alcuna altra indicazione sul punto e, in particolare, senza considerare i costi già riconosciuti in misura forfetaria dall’Ufficio ;
le frammentarie e contraddittorie argomentazioni contenute al riguardo nella sentenza impugnata non permettono di comprendere il percorso motivazionale svolto dal giudice di appello che ha ritenuto di confermare la decisione di primo grado, senza affrontare chiaramente la questione dei costi;
poiché tali carenze non possono essere certamente integrate dall’interprete in via congetturale, con le più varie, ipotetiche argomentazioni, l’impossibilità di individuare l’effettiva ratio decidendi rende meramente apparente la motivazione della sentenza impugnata (Cass. S.U. 3.11.2016, n. 22232);
-appare utile aggiungere che nella specie è pacifico che l’Amministrazione finanziaria ha effettuato nei confronti del contribuente un accertamento induttivo cd. puro ai sensi dell’art. 39, comma 2, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973, per cui doveva tenere conto, in ossequio al principio di capacità contributiva, non solo dei maggiori ricavi accertati, ma anche della incidenza percentuale dei costi relativi (Corte costituzionale n. 225 del 2005);
questa Corte ha sul punto più volte affermato che «in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento induttivo, deve procedere alla ricostruzione della situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche delle componenti negative del reddito che siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti, tanto che, qualora per alcuni proventi non sia possibile accertare i costi, questi possono essere determinati induttivamente, perché diversamente si
assoggetterebbe ad imposta, come reddito d’impresa, il profitto lordo, anziché quello netto, in contrasto con il parametro costituzionale della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost .» (Cass. n. 3995 del 2009; Cass. n. 23314 del 2013; Cass. n. 25317 del 2014; Cass. n. 26748 del 2018);
-da ciò si evince che nell’accertamento induttivo cd. puro il contribuente può sempre fornire la prova dell’effettivo esborso della spesa, dovendo l’Amministrazione altrimenti determinare comunque i costi in modo forfetario, come è avvenuto nel caso in esame;
-i presupposti per procedere all’accertamento induttivo, quindi, non precludono il riconoscimento di costi effettivamente sostenuti che devono essere, tuttavia, provati dal contribuente, ma il riconoscimento dei costi effettivi esclude la determinazione dei costi in misura forfetaria;
nella specie, invece, non si comprende se i giudici di appello abbiano riconosciuto dei costi documentati, non avendoli indicati e quantificati in modo specifico, e se tale riconoscimento si doveva aggiungere a quelli già determinati in modo forfetario dall’Amministrazione finanziaria o li escludeva;
in conclusione, va accolto il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo; la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla competente Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e dichiara assorbito il primo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia la causa alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della
Basilicata, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 25 giugno 2025.