Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19138 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19138 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 12638/2016 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma, alla INDIRIZZO giusta procura speciale a margine del ricorso per cassazione.
PEC: EMAIL
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
PEC: EMAIL
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA n. 10510/15, depositata in data 24 novembre 2015, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
1. La Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello principale d ell’Agenzia delle Entrate e rigettato l’appello incidentale di COGNOME Antonio e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, ha respinto il ricorso di COGNOME Antonio, avente ad oggetto l’avviso di accertamento, con il quale, ai sensi dell’art. 39, comma secondo, del d.P.R. n. 600 del 1973, relativamente all’anno d’imposta 2009, erano stati determinati maggiori imposte dovute pari ad euro 598.988,00 ed irrogate le relative sanzioni. In particolare era stato accertato che la società RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Salvatore, che aveva emesso fatture nei confronti di COGNOME NOME, era una «cartiera» ed era posta al centro di un sistema di frode finalizzato a procurare vantaggi fiscali alle società utilizzatrici delle fatture emesse per operazioni inesistenti; il contribuente da un lato emetteva fatture per operazioni inesistenti utilizzando la denominazione RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Salvatore e dall’altr o registrava tali fatture passive nella contabilità della ditta «RAGIONE_SOCIALE, di cui risultava intestatario.
I giudici di secondo grado hanno affermato che, come riscontrato dall’attività posta in essere dalla polizia tributaria, le fatture erano relative ad operazioni inesistenti per assoluta carenza di operatività della Novi Legno, che era una mera cartiera e che la registrazione di fatture per operazioni inesistenti relative a merce in ingresso non impediva di rifornirsi di merce per altra via, anche in nero, e di rivendere tale merce, invece che quella dichiaratamente acquistata,
così ottenendo un risparmio fiscale e potendo in teoria accumulare fondi «neri» con esso; era stato accertato che il Vallefuoco spendeva il proprio nome con i clienti della RAGIONE_SOCIALE per commerciare il materiale da questa venduto, il che lasciava ritenere che il Vallefuoco avesse utilizzato la RAGIONE_SOCIALE, formalmente riconducibile a terzi, per emettere fatture per operazioni inesistenti, sia nei confronti di terzi, sia nei confronti della propria impresa RAGIONE_SOCIALE; tali elementi consentivano di affermare che la contabilità della Vallefuoco era inaffidabile, sicché dovevano applicarsi le speciali regole previste dal capoverso dall’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e, di conseguenza, era sufficiente la presunzione semplice; il contribuente era stato posto al corrente dei particolari della vicenda, rispetto alla quale aveva predisposto tutte le difese nel merito, perché nell’avviso di accertamento nei confronti del Vallefuoco erano state riportate le risultanze delle indagini, con relativi PVC, svolte nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a cinque motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
CONSIDERATO CHE
1. Il primo m otivo deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 39, cpv, del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., sulla corretta applicazione della prova o presunzione di prova. La sentenza appariva scarna e stringata ed insufficiente nella valutazione della prova avendo ritenuto la presunzione semplice elemento sufficiente per accertare il reddito effettivamente prodotto, evitando di prendere una decisione compiuta attraverso un ‘ analisi approfondita della documentazione prodotta dal ricorrente. Il giudicante era incorso in un vizio di motivazione perché aveva omesso di specificare da quali prove aveva tratto la propria
convinzione a proposito degli acquisti in nero del Vallefuoco invece che da acquisti effettuati regolarmente con fatture e ottenendo un risparmio fiscale, omettendo di motivare dove avesse tratto il convincimento che il Vallefuoco avesse utilizzato la RAGIONE_SOCIALE per emettere fatture per operazioni inesistenti sia nei confronti di terzi che della sua impresa RAGIONE_SOCIALE.
1.1 Il motivo è inammissibile sia sotto il profilo di violazione di legge, che sotto quello del difetto di motivazione.
1.2 E’ inammissibile sotto il primo profilo perché il ricorrente non ha indicato, nel rispetto dell’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma primo, n. 4), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di esaminare il contenuto precettivo delle norme di legge di cui ha inteso lamentare la violazione e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass., Sez. U., 28 ottobre 2020, n. 23745).
1.3 Inoltre, il ricorrente non ha assolto l’onere, che pure incombe su chi intende censurare la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, di indicare e trascrivere nel ricorso, a pena di inammissibilità, anche i riferimenti di carattere fattuale in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della violazione denunciata (Cass. 13 maggio 2016, n. 9888; Cass., 24 luglio 2014, n. 16872; Cass., 4 aprile 2006, n. 7846).
1.4 Il motivo è anche inammissibile sotto il secondo profilo perché, senza prescindere dal rilievo che il vizio non è stato dedotto con il n. 4 dell’art. 360 c.p.c., deduce un vizio di motivazione avuto riguardo all’omessa specificazione delle prove da cui il giudice di second o grado
aveva tratto la propria convinzione, quando, invece, per giurisprudenza costante di questa Corte, la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U, 3 novembre 2016, n. 22232, citata; Cass., 15 giugno 2017, n. 14927; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., 20 ottobre 2021, n. 29124).
1.5 In tale grave forma di vizio, in ogni caso, non incorre la sentenza impugnata, in quanto i giudici di secondo grado, con specifico riferimento all’accertamento induttivo condotto dall’Ufficio, hanno affermato che gli elementi accertati (« le fatture erano relative ad operazioni inesistenti per assoluta carenza di operatività della Novi Legno, che era una mera cartiera; la registrazione di fatture per operazioni inesistenti relative a merce in ingresso non impediva di rifornirsi di merce per altra via, anche in nero, e di rivendere tale merce, invece che quella dichiaratamente acquistata, così ottenendo un risparmio fiscale e potendo in teoria accumulare fondi «neri» con esso; il COGNOME spendeva il proprio nome con i clienti della RAGIONE_SOCIALE per commerciare il materiale da questa venduto, il che lasciava ritenere che il Vallefuoco avesse utilizzato la RAGIONE_SOCIALE, formalmente riconducibile a terzi, per emettere fatture per operazioni inesistenti, sia nei confronti di terzi, sia nei confronti della propria impresa Valle del legno ») consentivano di affermare che la contabilità della Vallefuoco era inaffidabile, sicché dovevano applicarsi le speciali regole previste dal capoverso dall’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e, di conseguenza, era sufficiente la presunzione semplice.
1.6 Ciò conformemente alla giurisprudenza di questa Corte che ha affermato che, ai sensi dell’art. 39, comma secondo, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, la determinazione del reddito di impresa può essere compiuta dall’amministrazione finanziaria prescindendo dalle presunzioni dotate dei caratteri della gravità, precisione e concordanza, quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate ai sensi del precedente comma ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica; si tratta, dunque, di una metodologia di controllo che può essere attivata dall’Amministrazione finanziaria soltanto al ricorrere di precise condizioni caratterizzate da irregolarità estreme o comunque gravissime ed è in tali circostanze che i verificatori hanno facoltà di prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili nei casi in cui siano esistenti e di utilizzare, oltre che prove dirette, anche elementi indiziari connotati da una valenza dimostrativa non particolarmente pregnante, vale a dire presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, c.d. presunzioni semplicissime; in questo contesto, il discrimine tra l’accertamento condotto con il metodo analitico – induttivo e con il metodo induttivo puro va ricercato nella parziale od assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili; ed invero, nel primo caso, la incompletezza, falsità od inesattezza degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, essendo legittimato l’Ufficio accertatore a completare le lacune riscontrate utilizzando ai fini della dimostrazione della esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati ovvero della inesistenza di componenti negativi dichiarati anche presunzioni semplici rispondenti ai requisiti previsti dall’art. 2729 c.c.; nel secondo caso, invece, le omissioni o le false o inesatte indicazioni risultano tali da inficiare la attendibilità – e
dunque la utilizzabilità, ai fini dell’accertamento – anche degli altri dati contabili (apparentemente regolari), con la conseguenza che in questo caso l’Amministrazione finanziaria può prescindere in tutto od in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c. (Cass., 18 dicembre 2019, n. 33604, in motivazione).
2. Il secondo motivo deduce l’insufficienza ed erronea motivazione della norma e di conseguenza l’erronea applicazione del principio della media aritmetica semplice (in luogo della media ponderata) nel calcolo del reddito presunto ai sensi dell’art. 39, comma secondo, del d.P.R. n. 600 del 1973, con la mancanza dei requisiti oggettivi dei prodotti commercializzati per potere procedere all’applicazione del suddetto criterio di calcolo del reddito presuntivo, trattandosi di beni vari, con caratteristiche non omogenee e variabili in funzione sia del prezzo che della tipologia di offerta. Il contribuente aveva prodotto idonea documentazione contabile (fatture di vendita e documenti di trasporto, schede contabili, modello unico 2009 per l’anno d’imposta 2008, copia di assegni e bonifici bancari e relativa quietanza liberatoria del fornitore) da cui si evincevano le diverse tipologie di materiale venduto (europallets, pallets Cp, pallets non standard, pallets usati, pallets nel regime di noleggio), con prezzi diversi, quantità diverse e ricarichi diversi. Inoltre, nel caso di accertamento che si fondava sul settore merceologico di appartenenza erano necessari ulteriori elementi che consentissero di integrare una presunzione qualificata ai fini della determinazione del reddito. L’Agenzia, ancora, non aveva tenuto conto delle imposte già versate pari ad euro 46.265,00, rinvenibile dalle dichiarazioni dei redditi regolarmente presentata.
2.1 Il motivo è inammissibile, deducendo la parte ricorrente il vizio di insufficiente motivazione della sentenza, ormai espunto dal sistema per
effetto della riforma del n. 5 dell’art. 360, primo comma, c .p.c., come novellato dall’art. 54 del decreto legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, nemmeno risultando prospettato il vizio di motivazione apparente della sentenza impugnata (cfr. Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
2.2 In disparte, poi, un difetto di autosufficienza del motivo che non riporta il contenuto dell’avviso di accertamento nella parte in cui ha applicato la media aritmetica semplice, il motivo è pure infondato, in quanto i giudici di secondo grado hanno affermato che, sulla premessa dell’inaffidabilità della contabilità della impresa Vallefuoco, « è sufficiente la presunzione semplice e, per essa, il calcolo di affidabili medie matematiche semplici per computare la percentuale di ricarico onde accertare il reddito effettivamente prodotto » (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).
2.3 Soccorre, al riguardo, anche la giurisprudenza di questa Corte che, quanto alla determinazione in via presuntiva della percentuale di ricarico effettiva sul prezzo della merce venduta, in sede di accertamento induttivo, ha affermato che questa deve avvenire adottando un criterio che sia: a) coerente con la natura e le caratteristiche dei beni presi in esame; b) applicato ad un campione di beni scelti in modo appropriato; c) fondato su una media aritmetica o ponderale, scelta in base alla composizione del campione di beni e che tale modalità di determinazione della reale percentuale di ricarico prescinde del tutto dalla circostanza che la contabilità dell’imprenditore risulti formalmente regolare Cass., 12 aprile 2022, n. 11717; Cass., 19 gennaio 2021, n. 736; Cass., 15 dicembre 2017, n. 30276).
2.4 Inoltre, questa Corte ha precisato che « nell’accertamento tributario, fondato sulle percentuali di ricarico della merce venduta, la scelta tra il criterio della media aritmetica semplice e della media ponderale dipende, rispettivamente, dalla natura omogenea o disomogenea degli articoli e dei ricarichi – circostanze la cui valutazione
costituisce apprezzamento di merito, incensurabile in sede di legittimità sotto il profilo della violazione di legge – assumendo il criterio della media aritmetica semplice valenza indiziaria, al fine di ricostruire i margini di guadagno realizzato sulle vendite effettuate “a nero”, quando il contribuente non provi, ovvero non risulti in punto di fatto, che l’attività sottoposta ad accertamento ha ad oggetto prodotti con notevole differenza di valore e che quelli maggiormente venduti presentano una percentuale di ricarico molto inferiore a quella risultante dal ricarico medio. In mancanza di tali presupposti, è legittima la presunzione che la percentuale di ricarico applicata sulla merce venduta in evasione di imposta è uguale a quella applicata sulla merce commercializzata ufficialmente, a meno che il contribuente non provi di aver venduto a prezzi inferiori le merci non documentate » (Cass., 28 aprile 2010, n. 10148; cfr. anche Cass., 13 luglio 2018, n. 18695), così, nel caso in esame, dove la tipologia della merce che viene in considerazione non presenta caratteristiche differenziate, essendo unitariamente riconducibile agli imballaggi (pallets).
3. Il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 53 Cost. e dell’art. 67 del d.P.R. n. 600 del 1973, per avere l’Ufficio applicato due volte lo stesso tributo sia sul reddito dichiarato dal contribuente (volume d’affari dichiarato nel quadro VE), su cui peraltro aveva versato le imposte, sia anche su quello accertato dall’Ufficio. Per questo motivo, il contribuente era soggetto al pagamento delle imposte per l’anno 2008 in misura superiore alla propria effettiva capacità contributiva. Nell’applicazione della percentuale di redditività ai ricavi pari al 30% l’Ufficio non aveva tenuto conto del reddito dichiarato dal contribuente pari ad euro 121.178,00 sul quale erano state versate le imposte di euro 46.265,00. La procedura di determinazione del maggior reddito accertato dall’Ufficio in violazione dell’art. 1, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 74 del 2000 che precisava che per imposta evasa si intendeva
la differenza tra l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione.
3.1 Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo.
3.2 Sotto un primo profilo perché la questione dell ‘ applicazione dello stesso tributo per due volte, sia sul reddito dichiarato dal contribuente (su cui peraltro aveva versato le imposte), sia anche su quello accertato dall’Ufficio, è questione nuova, che non risulta dal provvedimento impugnato, rilevandosi, sul punto, il ricorso privo di autosufficienza perché non rispettoso del noto principio secondo cui « Qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio » (Cass., 9 luglio 2013, n. 17041; Cass., 9 agosto 2018, n. 20694; Cass., 13 giugno 2018, n. 15430; Cass., 13 agosto 2018, n. 20712). Nel giudizio di cassazione, infatti, non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini e accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 13 giugno 2018, n. 15430) e, in quest’ottica, il ricorrente ha l’onere di riportare, a pena d’inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta al giudice di merito (Cass., 9 luglio 2013, n. 17041).
3.3 Il motivo è pure inammissibile perché non trascrive il contenuto dell’avviso di accertamento, al fine di verificare se l’Ufficio, in sede di
determinazione del maggior reddito e dell’imposta dovuta, non ha preso in considerazione il reddito dichiarato e le imposte già versate, tenuto conto di quanto si legge nel controricorso, a pag. 4, che, richiamando la pag. 4 dell’avviso di accertamento im pugnato e il prospetto ivi riportato, precisa che l’Ufficio nel rideterminare il maggiore reddito e la relativa imposta aveva tenuto conto sia del dichiarato, che dell’accertato.
Il quarto motivo contesta la dichiarazione di operazioni inesistenti per falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in combinato disposto dall’art. 360, commi primo, n. 3, c.p.c., in quanto il ricorrente con idonea documentazione agli atti aveva dimostrato la reale esistenza della merce e la relativa commercializzazione attraverso la produzione di documenti di trasporto in entrata e in uscita della merce, fatture acquisti e vendite e attestazioni bancarie che completavano il quadro complessivo di una corretta gestione contabile e fiscale della ditta «RAGIONE_SOCIALE». La CTR, inoltre, ritenendo la consapevolezza in capo al contribuente del meccanismo evasivo (il Vallefuoco spendeva il proprio nome con i clienti della RAGIONE_SOCIALE per commerciare il materiale da questa venduto) aveva compiuto giudizi e valutazioni non di sua competenza.
Il motivo è infondato, dovendosi richiamare, con specifico riferimento all’ipotesi di cui alla presente controversia (operazioni inesistenti in quanto le fatture erano state emesse, nei confronti dell’impresa «RAGIONE_SOCIALE Vallefuoco RAGIONE_SOCIALE», dalla Novi Legno che era società cartiera non avendo sede, mezzi e personale, cfr. pag. 3 della sentenza impugnata), in cui l’amministrazione finanziaria contesti l’inesistenza di operazioni assunte a presupposto della deducibilità dei relativi costi e di detraibilità della relativa imposta, il consolidato orientamento secondo cui la stessa ha l’onere di provare che l’operazione commerciale documentata dalla fattura non è stata in realtà mai posta in essere, indicando gli elementi
presuntivi o indiziari sui quali fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, strumenti che vengono di solito adoperati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia e che, al fine di individuare, poi, quali elementi presuntivi possono essere forniti dall’amministrazione finanziaria per assolvere al proprio onere di prova in caso di operazioni ritenute oggettivamente inesistenti, gli stessi devono condurre a ritenere, mediante procedimento inferenziale, che l’operazione non sia mai stata posta in essere e, sotto tale profilo, costituisce valido elemento indiziario la circostanza che il soggetto che ha emesso la fattura era privo di idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), posto che è ragionevole inferire che dalla suddetta mancanza degli elementi essenziali per potere operare quale operatore commerciale possa farsi discendere la considerazione conclusiva della mancata realizzazione dell’operazione indicata in fattura (Cass. civ., 20 aprile 2018, n. 9851).
Il quinto motivo contesta la violazione dell’art. 7, comma primo, della legge n. 212 del 2000 per mancata allegazione dei due processi verbali di constatazione, soltanto richiamati dall’avviso di accertamento emesso dall’Ufficio, indispensabili per consentire una difesa coerente e completa.
5.1 Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo.
5.2 Sotto un primo profilo per difetto di autosufficienza della censura, nella parte in cui il ricorrente non riporta il contenuto dell’avviso di accertamento in contestazione, neppure riassunto nel suo specifico contenuto, non consentendo così a questa Corte di esprimere il suo giudizio in proposito alla correttezza o meno della valutazione compiuta
dalla Commissione tributaria regionale (Cass., 19 dicembre 2022, n. 37170; Cass., 28 giugno 2023, n.18418, in motivazione).
5.3 Sotto un secondo profilo perché censura un accertamento in fatto non sindacabile in questa sede, avendo la Commissione tributaria regionale affermato che « nell’avviso di accertamento nei confronti del Vallefuoco sono pedissequamente riportate le risultanze delle indagini, e relativi pvc, svolte nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e Novi Legno, che hanno generato l’accertamento, sicché il contribuente è stato posto al corrente dei particolari della vicenda, rispetto alla quale ha in effetti predisposto tutte le difese nel merito» (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).
5.4 Ciò conformemente alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui « nel regime introdotto dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche «per relationem», ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione consente al contribuente ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento » (Cass., 11 settembre 2017, n. 21066; Cass., 11 aprile 2017, n. 9323; Cass., 15 aprile 2013, n. 131109).
5.5 Ne consegue che l’obbligo di allegazione riguarda i soli atti che non siano stati riprodotti nella loro parte essenziale nell’avviso di accertamento, con esclusione, altresì: a) di quelli cui l’Ufficio abbia fatto comunque riferimento, i quali, pur essendo considerati irrilevanti ai fini della motivazione, sono comunque utilizzabili per la prova della pretesa impositiva (Cass., 5 ottobre 2018, n. 24417); b) di quelli di cui
il contribuente abbia già integrale o legale conoscenza (Cass., 14 gennaio 2015, n. 407; Cass., 2 luglio 2008, n. 18073).
5.6 Pertanto, la riproduzione del contenuto essenziale dell’atto richiamato dall’avviso di accertamento non si realizza necessariamente, con la pedissequa trascrizione delle sue parti rilevanti nel contesto dell’atto impositivo, ma anche con la semplice indicazione, in forma riassuntiva, del suo contenuto essenziale, per come apprezzato e valutato dall’Amministrazione finanziaria e posto a sostegno della pretesa impositiva.
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 14 maggio 2025.