Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13029 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13029 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/05/2025
Oggetto:
Tributi
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 25003/2016 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale a margine del ricorso
(PEC: EMAIL)
-ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 2151/29/2016, depositata il 18.04.2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione avverso la sentenza della CTP di Roma
che aveva rigettato il ricorso proposto dalla predetta contribuente avverso l’ avviso di accertamento, per imposte dirette e IVA, in relazione a ll’anno 200 7, con il quale l’Ufficio determinava maggiori ricavi ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973;
i giudici di appello hanno osservato, per quanto ancora qui rileva, che:
l’accertamento induttivo operato dall’Ufficio era fondato su elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, idonei a dimostrare, per l’anno 2007, maggiori ricavi rispetto a quelli dichiarati dalla contribuente, la cui situazione reddituale dichiarata – negativa per gli anni 2006, 2007, 2008, e positiva per soli euro 1204,00 per l’anno 2009 – non era in linea con l’attività svolta dalla stessa e con i costi sostenuti per l’affitto dell’autorimessa in uso (i costi di locazione, secondo quanto dichiarato dalla stessa società, ammontavano ad euro 41.167,00), sita in Roma, nel quartiere INDIRIZZO, che, a causa delle notorie difficoltà di parcheggio, non rende plausibile una gestione in perdita, per più anni, per l’attività esercitata dalla contribuente;
a fronte di tali elementi, la società non aveva fornito alcuna prova contraria, non potendosi considerare sufficiente né la documentazione prodotta né la mera affermazione di aver effettuato nei primi anni di attività notevoli investimenti;
la società contribuente impugnava la sentenza con ricorso per cassazione, affidato a nove motivi, illustrati con memoria;
l ‘Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., per omessa o apparente motivazione, avendo la CTR recepito
acriticamente la tesi dell’Ufficio e rigettato l’appello della contribuente con un mero giudizio di insufficienza delle allegazioni difensive;
il motivo è infondato;
come hanno sottolineato le Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 7.04.2014), l’anomalia motivazionale denunciabile in Cassazione è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali;
-deve trattarsi, dunque, di un’anomalia che si esaurisce nella mancanza assoluta di motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico, ma anche nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili o nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, non essendo più ammissibili mere censure di contraddittorietà ed insufficienza motivazionale (Cass. n. 23940 del 12/10/2017);
solo in tali casi la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo” , in quanto, benchè graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. S.U. 3.11.2016, n. 22232);
la sentenza impugnata non è affetta da tale grave vizio, in quanto presenta una motivazione sintetica, ma esaustiva, che, a prescindere dalla sua correttezza o meno, palesa l’ iter logico seguito dai giudici di appello, che hanno ritenuto di confermare la validità dell’accertamento sulla base degli elementi specificatamente indicati in sentenza;
le argomentazioni svolte esplicitano le ragioni della decisione, per cui eventuali profili di insufficienza della motivazione, anche se sussistenti, non la viziano in modo così radicale da renderla meramente apparente, dovendosi ritenere che il giudice tributario di appello abbia assolto il proprio obbligo motivazionale al di sopra del “minimo costituzionale” (Cass. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053);
con il secondo motivo, deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 62 sexies, comma 3, del d.l. n. 331 del 1993, conv. nella l. n. 427 del 1993, 2727 e 2729 cod. civ. , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere la CTR sussunto nel paradigma dell’accertamento induttivo una fisiologica sproporzione tra i ricavi e costi (tra cui quelli fissi per la locazione dell’autorimessa), atta a generare perdite nella fase iniziale dell’attività d’impresa (nata il 22.03. 2006) e nei primi anni di attività, oggetto di accertamento, ma con una situazione reddituale già positiva nell’anno 2009 , non potendosi trarre da ciò alcuna incongruità o giudizio di antieconomicità per desumerne una redditività occulta;
con il terzo motivo, deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n . 5, cod. proc. civ., per non avere la CTR considerato che la contribuente si trovava in perdita negli anni 2006, 2007 e 2008, perché era stata costituita solo in data 22.03.2006, ma già nel 2009 aveva una situazione reddituale positiva;
con il quarto motivo, deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., per non avere la CTR considerato i notevoli investimenti affrontati dalla contribuente
nei primi anni di attività, dovuti per la gran parte proprio ai costi di locazione dell’autorimessa;
con il quinto motivo, deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 62 sexies, comma 3, del d.l. n. 331 del 1993, conv. nella l. n. 427 del 1993, 2727 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto erroneamente che la perdita fiscale pluriennale fosse di per sé un fatto noto dal quale desumere una redditività in nero, posto che la mera perdita fiscale non può essere considerata indice di un comportamento antieconomico, se non letta unitamente all’andamento complessivo degli anni di attività, da analizzare con riferimento a tutte le voci di bilancio;
-con il sesto motivo, deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., per non avere la CTR esaminato la situazione reddituale complessiva dichiarata e non contestata dall’Ufficio, dal 2006 al 2010, da cui si evinceva l’insussistenza del comportamento antieconomico della società e, segnatamente, i ricavi risultano sempre in crescita da un anno all’altro (2006 -2010), le perdite fiscali sono annullate dall’anno 2009 in poi e il bilancio si è chiuso in positivo con il reddito in crescita dall’anno 2009 in poi, l’esito del ‘ricavometro’, alla stregua dei parametri elaborati dall’Agenzia delle entrate, risulta congruo per l’anno 2007;
con il settimo motivo, deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 cod. proc. civ., 2697 cod. civ., 62 sexies del d.l. n. 331 del 1993, conv. nella l. n. 427 del 1993, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere la CTR posto a fondamento della propria decisione fatti non notori, ma frutto della ‘ scienza
privata ‘ del giudice, quali le ‘difficoltà di parcheggio’ in un determinato quartiere della Capitale;
-con l’ottavo motivo, deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727, 2729 cod. civ., 62 sexies, comma 3, del d.l. n. 331 del 1993, conv. nella l. n. 427 del 1993, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., laddove si dovesse considerare le ‘difficoltà di parcheggio nel quartiere Parioli di Roma’ come un fatto notorio, per avere la CTR ritenuto ininfluenti una serie di variabili incidenti sul rapporto inferenziale, atte a deviare il percorso presuntivo (come il fatto che la locazione dei parcheggi a mesi o ad anni non è influenzata dalle “notorie difficoltà di parcheggio”, come può accadere per il parcheggio “al minuto’; dalle presunte “notorie difficoltà di parcheggio” nella zona Parioli di Roma si può trarre anche una maggiore offerta e, quindi, una concorrenza sul mercato; la quantità di anni in cui il garage è sul mercato e, quindi, la maggiore fidelizzazione della clientela con il passare degli anni), che rendevano insussistente la presunzione di maggior reddito tratta in capo alla società;
con il nono motivo, deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727, 2729 e 2697 cod. civ., 62 sexies, comma 3, del d.l. n. 331 del 1993, conv. nella l. n. 427 del 1993, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per non avere la CTR considerato che l’unico fatto noto incontestato era quello che la contribuente svolgeva attività di parcheggio a mesi e/o ad anni, come emergeva dallo stesso avviso di accertamento, sicchè non era plausibile che potesse accettare ‘in nero’ anche richieste di parcheggio al minuto;
-il secondo, il quinto, il settimo, l’ottavo e il nono motivo, che per la loro connessione vanno esaminati unitariamente, sono inammissibili;
la ricorrente, invero, deduce solo apparentemente una violazione di norme di legge, ma in realtà mira alla rivalutazione dei fatti, operata
dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 8758 del 4/07/2017), prospettando nel ricorso non l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla esclusiva valutazione del giudice di merito ( ex multis , Cass. n. 3340 del 5/02/2019; Cass. n. 640 del 14/01/2019; Cass. n. 24155 del 13/10/2017);
-nella specie, la CTR ha proceduto all’esame del compendio probatorio offerto dall’Ufficio, che non riguardava solo l’anno d’imposta 2007, oggetto dell’accertamento, ma comprendeva il quadriennio 2006 -2009, nel corso del quale la contribuente era risultata sempre in perdita, tranne che nel 2009, quando ha realizzato un modesto utile, pur sostenendo in tutto questo periodo un elevato costo per la locazione dei locali ove svolgeva la propria attività, in contrasto con il pessimo risultato economico conseguito, che rivelava, quindi, una prolungata antieconomicità della gestione imprenditoriale; – le predette censure si limitano, quindi, a contestare la valutazione operata dal giudice di merito in ordine alle risultanze di prova acquisite nel giudizio;
al riguardo va richiamato il consolidato indirizzo di questa Corte, secondo il quale, ‘l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente, utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni. Gli elementi
assunti a fonte di presunzione, peraltro, non devono essere necessariamente plurimi, potendosi il convincimento del giudice fondare anche su di un elemento unico, purchè preciso e grave, la cui valutazione non è sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata’ (Cass n. 26036/2015, n. 25217/2018, n. 27552/2018);
-sul punto occorre rilevare che le considerazioni sulle ‘notorie difficoltà di parcheggio’ nella zona in cui operava la contribuente risultano comunque ininfluenti, in quanto sono state evidentemente effettuate dalla CTR al solo fine di corroborare la ricostruzione del quadro probatorio, ritenuto di per sé già sufficiente;
anche il terzo, quarto e sesto motivo, che possono essere esaminati unitariamente per connessione, sono inammissibili;
poichè alla fattispecie in esame si applica l’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. nel testo novellato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134 (essendo stata la sentenza impugnata pubblicata in data 18.04.2016), non trovano più accesso al sindacato di legittimità della Corte le censure riguardanti il vizio di insufficienza o incompletezza della motivazione della sentenza di merito impugnata, essendo denunciabile con il ricorso per cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, già esclusa con riferimento al primo motivo di ricorso;
laddove non si contesti la inesistenza del requisito motivazione della provvedimento impugnato, quindi, il vizio di motivazione può essere dedotto solo in caso di omesso esame di un ‘fatto storico’ controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia ‘decisivo’ ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per contestare la sufficienza della sua argomentazione sulla base di elementi fattuali ritenuti dal giudice di merito
determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit. e Cass. Sez. U. 22.09.2014, n. 19881);
-è stato poi precisato che il controllo previsto dal nuovo n. 5 dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ. concerne l’omesso esame di un fatto ‘storico’, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
si tratta di censura che, tuttavia, impone a chi la denunci di indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” ( ex multis , Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit.);
resta fermo che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie ( ex plurimis , Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit.);
la ricorrente ha, invece, denunciato il vizio sotto il paradigma previgente di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., avendo censurato, nella sostanza, una motivazione insufficiente della sentenza impugnata, e ha lamentato un omesso esame di elementi di prova, con riferimento a circostanze (quali la mancanza di perdita fiscale dall’anno 2009 in poi, la mancanza di comportamento antieconomico, gli investimenti affrontati nell’attività) , peraltro, non
decisive, a fronte del quadro presuntivo descritto dalla sentenza impugnata;
in conclusione, il ricorso va rigettato e la parte ricorrente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che si liquidano in euro 4.300,00, oltre alle spese prenotate a debito; dà atto, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 12 febbraio 2025