Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15311 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15311 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29500/2022 R.G. proposto da:
NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Milano, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata ex lege .
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 2129/2022, depositata in data 23 maggio 2022.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 aprile 2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di NOME COGNOME COGNOME l’avviso di accertamento n. T9B01FG02383 IRPEF, IVA, IRAP ed altro, per l’anno di imposta 2015, con il quale l’Ufficio contestava al contribuente che, dall’incrocio dei dati indicati nella dichiarazione IVA con quello comunicato dai clienti nel Modello di
IRPEF – IVA
–
IRAP ed
altro – 2015
comunicazione polivalente delle operazioni rilevanti ai fini IVA ai sensi dell’art. 21, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, emergeva che l’ammontare delle operazioni attive dichiarate dal ricorrente nel riquadro VE, pari ad € 107.167,00 risultava inferiore all’ammontare degli acquisti comunicati dai suoi clienti.
Avverso l’avviso di accertamento, il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Milano, si costituiva l’Agenzia delle Entrate che chiedeva la conferma del proprio operato.
La C.t.p. di Milano con sentenza n. 3083/2020 accoglieva il ricorso sostanzialmente ritenendo insufficienti le verifiche a riscontro operate dall’ente accertatore.
Contro tale sentenza proponeva appello l’Ufficio dinanzi alla C.t.r. della Lombardia; si costituiva il contribuente chiedendo la conferma della sentenza di prime cure.
Con sentenza n. 2129/2022, depositata in data 23 maggio 2022, la C.t.r. accoglieva l’appello ritenendo che l’Ufficio avesse proceduto all’accertamento in via induttiva ai sensi dell’art. 39, secondo comma, lett. D-bis, del d.P.R. n. 600/1973.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Lombardia, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 14 aprile 2025.
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso, così rubricato: «Nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39, secondo comma, lett. dbis , d.P.r. 29 settembre 1973, n. 600, laddove dichiarava che l’Ufficio avesse correttamente rideterminato il reddito oggetto di accertamento sulla base dei soli dati comunicati da cliente in sede di spesometro (ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ)», il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha
ritenuto legittima la determinazione del maggior reddito ex art. 39, secondo comma, lett. dbis , d.P.r. n. 600/1973 sulla base della sola dichiarazione del terzo in sede di spesometro; infatti, le dichiarazioni dei terzi hanno valore probatorio degli elementi indiziari inidonei a costituire da soli il fondamento della decisione.
Preliminarmente, non determina conseguenze l’istanza di sospensione ex art. 1, comma 197, legge del 29/12/2022 n. 197, in quanto, scaduto il termine di sospensione del 10 luglio 2023, il ricorrente non ha adempiuto l’onere di depositare, presso l’organo giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia, copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata, sicché il giudizio deve proseguire verso la definizione nel merito.
Pure va disattesa l’istanza di conciliazione in udienza ex art. 48 -bis d.lgs. del 31/12/1992, n. 546 atteso che la stessa non si applica ai giudizi pendenti in Cassazione, come evidenzia il testo normativo, che fa riferimento alla ‘commissione’ ed in considerazione della mancanza di una espressa previsione dell’estensione anche al giudizio di cassazione nell’ambito dell’ultimo comma dell’art. 48 d.lgs. cit. in tema di conciliazione fuori udienza.
Procedendo alla disamina del motivo di ricorso, esso è inammissibile.
4.1. La C.t.r. con la propria decisione ha statuito che: «A ben vedere, la CTP ha omesso di considerare che l’invio del questionario aveva proprio il fine di iniziare un’indagine diretta ad una comparazione tra la contabilità del sig. COGNOME e quella del sig. NOME COGNOME È l’omessa risposta al questionario che ha di fatto impedito tale attività d’indagine. l’accertamento in oggetto deriva da un controllo sulla dichiarazione Iva presentata per l’anno d’imposta 2015 dalla ditta individuale “RAGIONE_SOCIALE NOME“. Da tale controllo emergeva che l’ammontare delle
operazioni attive dichiarate dal contribuente nel quadro VE, era inferiore per € 69.300,00 all’ammontare complessivo degli acquisti comunicati dai propri clienti; in particolare, da quelli comunicati dal cliente STAN DORIN. L’Ufficio notificava, in data 30/07/2019, ai sensi dell’art. 51 del d.P.R. n. 633/72 e dell’art. 32 del d.P.R. n. 600/73, il questionario con il quale invitava il contribuente a fornire informazioni relative allo scostamento sopra evidenziato. Con l’omessa esibizione della documentazione il contribuente si è dunque di fatto sottratto alla verifica fiscale, legittimando l’emissione dell’avviso di accertamento, ai sensi dell’art. 39, comma 2, lett. d-bis cit. la norma, invero, stabilisce che l’ufficio può procedere all’accertamento del reddito d’impresa in via induttiva, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili, avvalendosi anche di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza “quando il contribuente non ha dato seguito agli inviti disposti dagli uffici ai sensi dell’art. 32, primo comma, numeri 3) e 4), del presente decreto o dell’art. 51, secondo comma, numeri 3) e 4), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633”. Ne consegue che nel caso di specie l’Ufficio ha correttamente rideterminato il reddito oggetto di accertamento e deve dunque essere riformata la sentenza del primo giudice».
4.2. Da quanto riportato emerge come il motivo di ricorso proposto si appalesi non attinente al decisum della C.t.r., non attingendone integralmente la ratio decidendi , atteso che la stessa, lungi dal ritenere legittimo l’accertamento ex art. 39, secondo comma, lett. dbis , d.P.r. n. 600/1973 sulla base soltanto di mere dichiarazioni del terzo in sede di spesometro, ha invece giustificato l’utilizzo di detto metodo di accertamento da parte dell’Ufficio con riferimento al fatto che il contribuente si fosse sottratto alla verifica fiscale, non dando risposta agli inviti disposti dall’Ufficio, e ciò sulla base di quanto previsto dalla norma summenzionata.
4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali che si liquidano in € 5.400,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 14 aprile 2025.