Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9906 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9906 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 16979/2023, proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME il quale indica per le comunicazioni l’indirizzo di posta elettronica certificata EMAIL
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata ex lege a ROMA, in INDIRIZZO
-resistente –
avverso la sentenza n. 55/2023 della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, depositata il 24 gennaio 2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2 aprile 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME, esercente l’attività di ragioniere e perito commerciale, impugnò l’avviso di accertamento notificatogli il 24 marzo 2021, con il quale venivano ripresi a tassazione, a fini Irpef e Iva per l’anno d’imposta 2015, maggiori redditi da lavoro autonomo accertati con metodo analitico-induttivo.
La C.T.P. di Genova respinse il ricorso.
Il successivo appello del contribuente seguì identica sorte.
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria rilevò, per quanto in questa sede ancora di interesse , che l’Ufficio ave va legittimamente fondato il proprio convincimento su un solo elemento, intrinsecamente munito di valore presuntivo; il contribuente, infatti, aveva trasmesso cinquecentottanta dichiarazioni nell’anno 2015, senza che alcuno dei soggetti intermediati risultasse fra i suoi clienti; inoltre, le circostanze di diverso significato da lui dedotte erano rimaste prive di adeguato riscontro.
Osservò, infine, che l’Ufficio non era decaduto dall’esercizio della potestà impositiva, essendo stato rispettato il termine di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973.
Il contribuente ha impugnato la sentenza d’appello con ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L ‘Amministrazione ha depositato controricorso.
Il 22 ottobre 2024 il Consigliere delegato della Sezione tributaria ha formulato proposta di definizione anticipata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.; il ricorrente ha quindi depositato istanza di
decisione ai sensi dell’art. 380 -bis , comma secondo, cod. proc. civ.; è stata così fissata udienza camerale per la discussione, in prossimità della quale il ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo, rubricato «violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c ., dell’art. 39, comma 1, lett. D), D.P.R. n. 600/73, dell’art. 2729 e dell’art. 2697 c.c.», il ricorrente censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto munito di sufficiente valore probatorio, perché connotato dai caratteri della presunzione, il fatto che egli avesse inviato le dichiarazioni fiscali di alcuni soggetti, omettendo di considerare diversi elementi di significato contrario.
Rileva, inoltre, che nella specie non sussistevano i presupposti per determinare il maggior reddito arbitrariamente ricostruito dall’Ufficio, ulteriore aspetto erroneamente trascurato dalla C.T.R.
Il secondo motivo ha ad oggetto la statuizione sulla tempestività dell’accertamento, che il contribuente assume errata, deducendo la violazione degli artt. 43, comma primo, del d.P.R. n. 600/1973, e 157, comma 1, del d.l. n. 34/2020, osservando che all’accertamento in questione andava applicata la prima delle disposizioni evocate nel testo previgente.
Secondo l’impostazione del ricorrente, pertanto, l’avviso, inerente all’anno di imposta 2015, doveva essere notificato entro il 31 dicembre 2020; né soccorrerebbe, al riguardo, la disposizione di cui all’art. 5, comma 3bis , del d.lgs. n. 218/1997, a mente del quale l’atto, ancorché passibile di notifica successiva, doveva essere emesso entro il 31 dicembre 2020.
Il primo motivo è infondato.
3.1. In ordine ai requisiti per dar corso al disposto accertamento con metodo analitico-induttivo, la sentenza impugnata ha svolto considerazioni così compendiabili:
il fatto che il contribuente tenesse una contabilità formalmente regolare rendeva necessario il ricorso, da parte dell’Ufficio, a presunzioni gravi, precise e concordanti; tale ultima connotazione della prova presuntiva, peraltro, è richiesta solo in presenza di più circostanze, essendo sufficiente anche l’individuazione di un solo elemento significante, purché grave e preciso;
-il contribuente risultava aver trasmesso, in qualità di intermediario, cinquecentottanta dichiarazioni fiscali nell’anno 2015, mentre nello ‘spesometro cedente’ relativo allo stesso anno non risultava alcuno dei soggetti per i quali costui aveva agito da intermediario e, nello studio di settore relativo al medesimo periodo, non era stata indicata alcuna delle dichiarazioni in questione, ma unicamente l’esercizio di ‘attività di consulenza’;
in sede di chiarimenti, il contribuente aveva ricondotto tale ultima attività al suo rapporto con tale RAGIONE_SOCIALE, partecipata al 95% dalla moglie e al 5% dalla figlia; ad un controllo incrociato dei dati, tuttavia, era emerso che molti dei soggetti presenti nell’elenco degli invii telematici non comparivano né nello spesometro cedente trasmesso dalla società, né in quello trasmesso dallo stesso contribuente;
una tale incongruenza ha giustificato la presunzione di onerosità dell ‘attività di trasmissione delle dichiarazioni, con conseguente ripresa a tassazione dei corrispondenti ricavi non dichiarati.
3.2. Poste tali coordinate, occorre poi ulteriormente richiamare il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte in tema di sindacato sulle prove presuntive.
È stato affermato, in particolare, che in tale ambito sono deducibili come vizio ex art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., le ipotesi in cui:
a) il giudice di merito contraddica il disposto dell’art. 2729, comma 1, cod. civ., affermando (e, quindi, facendone poi concreta applicazione) che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni che non siano gravi, precise e concordanti;
b) il giudice di merito fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza, ai fini della inferenza da esso della conseguenza ignota, così sussumendo sotto la norma dell’art. 2729 cod. civ. fatti privi di quelle caratteristiche e, quindi, incorrendo in una sua falsa applicazione;
c) il giudice di merito, in senso opposto a quello di cui al caso che precede, ritenga che un fatto storico sia privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini dell ‘ inferenza da esso della conseguenza ignota, così rifiutandosi di sussumere sotto la norma dell’art. 2729 cod. civ. fatti che avrebbero avuto le caratteristiche per esservi sussunti.
Al di fuori di tale perimetro, ogni forma di critica alla valutazione operata dal giudice di merito sconfina nella richiesta di un sindacato non consentito in sede di legittimità, perché volto alla rivalutazione di materiale probatorio (cfr., fra le numerose altre, Cass. 34248/2021; Cass. n. 10736/2021; Cass. n. 7861/2021; Cass. n. 27496/2020; Cass. n. 32076/2019).
3.3. La censura va esaminata con esclusivo riferimento all’ipotesi (b) del richiamato paradigma, poiché il ricorrente assume che il fatto valutato come decisivo dai giudici d’appello sarebbe privo dei requisiti di gravità e previsione.
Tale assunto non può essere condiviso.
I giudici d’appello hanno correttamente individuato un fatto noto l’invio di numerose dichiarazioni senza contabilizzazione dei ricavi di tale attività, peraltro accertato anche all’esito di un secondo vaglio, effettuato dopo un’interlocuzione con il con tribuente -e ne hanno dedotto un fatto ignoto (la percezione del compenso – e quindi, un reddito non dichiarato – da parte del contribuente) evidenziando piena coerenza, concordanza e connessione fra la premesse e la conclusione del loro ragionamento.
Gli argomenti di supporto alla censura, invece, per un verso non scalfiscono tale giudizio di coerenza e, per altro verso, invocano una diversa valutazione delle circostanze materiali, per mezzo dell’apprezzamento di distinti mezzi di prova, che non è consentita in questa sede, quantomeno per effetto del motivo formulato.
Il secondo mezzo è manifestamente infondato.
4.1. Come correttamente rilevato in sede di proposta di definizione anticipata, nel caso di specie il termine per l’accertamento era quadriennale e scadeva, pertanto, il 31 dicembre 2020.
Detto termine era successivo di venti giorni dalla data di comparizione per l’eventuale accertamento con adesione , ragion per cui ricorreva la fattispecie prevista dall’art. 5, comma 3 -bis , del d.lgs. n. 218/1997, a mente del quale, qualora tra tali date intercorrano meno di novanta giorni, « il termine di decadenza per la notificazione dell’atto impositivo è automaticamente prorogato di centoventi giorni, in deroga al termine ordinario ».
4.2. In conseguenza di tale previsione, la notificazione dell’atto impositivo, eseguita il 24 marzo 2021, doveva ritenersi tempestiva, in quanto il termine decadenziale era prorogato al 30 aprile 2021.
Per la stessa ragione non assume alcun rilievo quanto previsto dall’art. 157 del d.l. n. 34/2020, a torto evocato dal ricorrente,
trattandosi di norma riservata alle ipotesi in cui il termine per la notifica scade fra l’8 marzo e il 30 dicembre 2020.
In conclusione, il ricorso va rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.
Lo stesso va inoltre condannato, ai sensi dell’art. 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., richiamati dall’art. 380bis cod. proc. civ., al pagamento delle ulteriori somme pure liquidate in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi € 5.600,00, oltre spese prenotate a debito e alla somma di € 2.800,00 a titolo di responsabilità aggravata ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.; condanna, altresì, il ricorrente al pagamento della somma di € 2.000,00 in favore della cassa delle ammende ex art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un importo pari al contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 2 aprile 2025.