Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30371 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 30371 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3782/2018 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui Uffici è elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del curatore pro tempore , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, -controricorrente- per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 3784/2017, depositata il 22 giugno 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 settembre 2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
-Con ricorso depositato in data 14 Novembre 2014 presso la Commissione tributaria provinciale di Rieti il fallimento RAGIONE_SOCIALE proponeva impugnazione avverso gli avvisi di accertamento: n. NUMERO_DOCUMENTO IRES-ALTRO2011; n. NUMERO_DOCUMENTO IVA-ALTRO 2011; n. NUMERO_DOCUMENTO IRAP 2011. In particolare, veniva contestata la rideterminazione del reddito e la pretesa tributaria quanto all’IVA, in relazione alle rimanenze iniziali e alla esistenza di un credito IVA relativo al 2010 non compensato.
Si opponeva l’Ufficio difendendo l’operata ricostruzione del reddito di periodo e l’esattezza dell’imposizione .
Con sentenza n. 370/2015 della Commissione tributaria provinciale di Rieti, depositata il 20 novembre 2015, la domanda veniva ritenuta parzialmente fondata, rideterminando il reddito d’impresa in euro 1.196.712,00, valore stimato dalla stessa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE con la proposta di accertamento con adesione, in luogo dell’importo di euro 1.708.588,93 indicato nell’ avviso di accertamento.
-Avverso tale pronuncia, il fallimento proponeva atto di appello.
L ‘Ufficio resisteva con proprie controdeduzioni.
La Commissione tributaria regionale del Lazio, con sentenza n. 3784/15/17, ha accolto il ricorso del fallimento.
-L’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
La contribuente si è costituita con controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
Il pubblico ministero ha depositato una requisitoria scritta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza per motivazione apparente. Violazione dell’art . 36, comma 2, n. 4 del D. Lgs. 31.12.1992 n. 546 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. Si evidenzia, in particolare, che nella sentenza non vengono riportati, neppure in estrema sintesi, il tipo di avviso di accertamento, i presupposti di fatto e di diritto dell’avviso di accertamento, il contenuto della sentenza di primo grado e le argomentazioni difensive che l’Ufficio ha opposto ai motivi di appello della società. La motivazione, pertanto, sarebbe meramente apparente alla luce della giurisprudenza di codesta Suprema Corte, essendo impossibile individuare la ratio decidendi di una pronuncia in cui non risulti individuabile il thema decidendum .
1.1. -Il motivo è infondato.
In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (Cass. n. 13248/2020; Cass. n. 17196/2020), che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. n. 7090/2022).
Nel caso di specie, pur essendo la pronuncia succinta, non vi è lesione del minimo costituzionale, consentendo la lettura della motivazione di comprendere comunque l’oggetto del contendere, in merito alla ripresa tributaria relativa alle imposte dirette e all’IVA con riferimento alla questione RAGIONE_SOCIALE rimanenze e della loro incidenza sulla determinazione dell’utile di esercizio.
2. -Con il secondo motivo si censura la sentenza per violazione degli artt. 15 e 41 d.P.R. 29.9.1973 n. 600, 109 d.P.R. 22.12.1986 n. 917 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360, co mma 1, n. 3 c.p.c. Parte ricorrente evidenzia che la società non ha presentato la dichiarazione moRAGIONE_SOCIALE Unico per l’anno d’imposta in contestazione e non ha versato alcunché a titolo di IRES, IRAP e IVA. Per effetto della omessa presentazione della dichiarazione, l’Ufficio, ai sensi dell’articolo 41 d.P.R. n. 600/1973, può procedere alla determinazione del reddito complessivo del contribuente «sulla base dei dati e RAGIONE_SOCIALE notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui al terzo comma dell’art. 38 e di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze della dichiarazione, se presentata, e dalle eventuali scritture contabili del contribuente ancorché regolarmente tenute». Ai fini della imposta sul valore aggiunto l’art. 55 del d.P.R. 633/1972 stabilisce che «se il contribuente non ha presentato la dichiarazione annuale l’Ufficio può procedere in ogni caso all’accertamento dell’imposta dovuta indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità. In tal caso l’ammontare imponibile complessivo e l’aliquota applicabile sono determinati induttivamente sulla base dei dati e RAGIONE_SOCIALE notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’Ufficio e sono computati in detrazione soltanto i versamenti eventualmente eseguiti dal contribuente e le imposte detraibili ai sensi dell’art. 19 risultanti dalle liquidazioni prescritte dagli artt. 27
e 33». L’Ufficio ha per l’appunto ricostruito il reddito d’impresa e l’ammontare dell’ IVA dovuta sulla base degli elementi reperiti durante la verifica. La Commissione tributaria regionale – omettendo di considerare che il giudice di primo grado, riducendo l’imponibile accertato nella misura proposta dall’ Ufficio in sede di adesione, ha riconosciuto la sussistenza della componente di costo costituita dalle rimanenze iniziali – ha ritenuto che le rimanenze iniziali al 1.1.2011 non potevano che coincidere con le rimanenze finali al 31.12.2010 indicate nel bilancio 2010, in questo modo violando violato l’art. 109 TUIR in combinato disposto con l’art. 15 d.P.R. n. 600/1973 . Infatti, il valore RAGIONE_SOCIALE rimanenze non costituisce un mero dato numerario (quale che esso sia) ma ad esso deve corrispondere una esatta individuazione di beni, di cui è necessario esporre gli estremi, come previsto dall’art 15, comma 2, d.P.R. n. 600/1973.
2.1. -Il motivo è fondato.
In tema di accertamento RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 15 d.P.R. n. 600 del 1973 l’inventario, oltre agli elementi richiesti dal codice civile e dalle leggi speciali, deve indicare con chiarezza la consistenza dei beni distinti in categorie omogenee per natura e valore nonché il valore attribuito a ciascun gruppo; in mancanza di tali elementi, devono essere tenute a disposizione dell’Amministrazione finanziaria, in sede di verifica, le distinte utilizzate per la compilazione dell’inventario, contenenti il dettaglio e la valorizzazione RAGIONE_SOCIALE varie voci (Cass. n. 15022/2020; Cass. n. 8431/2017).
Nel caso di specie, oltre alla mancata dichiarazione dei redditi, difettano altresì le scritture contabili, per cui la pronuncia ha accolto la mera prospettazione della ricorrente senza tenere in alcun conto quanto dedotto dall’RAGIONE_SOCIALE.
In tema di accertamento RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi, qualora l’inventario ometta di indicare e valorizzare le rimanenze con raggruppamento per categorie omogenee, in violazione dell’art. 15, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, si determina un ostacolo nell’analisi contabile del fisco sicché ne discendono l’incompletezza e l’inattendibilità RAGIONE_SOCIALE scritture contabili, che giustificano anche l’accertamento induttivo puro ex art. 39, comma 2, lett. d), del medesimo d.P.R. e il ricorso alle presunzioni cc.dd. supersemplici, ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Pertanto, ove il contribuente non abbia assolto -già in sede di accesso, ispezione o verifica -l’onere di mettere a disposizione degli accertatori le distinte che sono servite per la compilazione dell’inventario, egli è tenuto ad esibirle, al più tardi, in sede contenziosa, onde consentire al giudice di merito, ferma la legittimità del metodo dell’accertamento, di valutarne l’attendibilità (Cass. n. 17244/2021). Non si comprende, pertanto, come siano stati calcolati le rimanenze, i costi di produzione, i proventi RAGIONE_SOCIALE vendite e l’utile di esercizio. Da ciò consegue una illegittima inversione dell’onere della prova operata dai giudici del gravame.
3. -Con il terzo motivo si prospetta la violazione degli artt. 30 e 55 del d.p.r. 26.10.1972 n. 633. Si deduce che a fronte dell’IVA risultante dalle fatture attive, l’Ufficio riconosceva in defezione l’importo complessivo di euro 23.730,04 risultante dalle fatture di acquisto esibite, in quanto la società aveva eseguito le liquidazioni periodiche. La società, nel ricorso in appello, ha ribadito la richiesta di riconoscimento del credito maturato nel precedente periodo di imposta (2010), sostenendo che l’omessa presentazione della dichiarazione annuale non comporta la perdita del diritto nel caso in cui le fatture RAGIONE_SOCIALE quali derivi il credito di imposta siano state regolarmente annotate e contabilizzate e la relativa detrazione sia
stata effettuata nelle liquidazioni periodiche. La Commissione tributaria regionale ha statuito in proposito che «la mancanza della dichiarazione non può comportare il sacrificio del diritto al ristoro dell’IVA versata a monte, sempre che le fatture da cui scaturisce il credito siano state regolarmente annotate e sia stata operata la relativa detrazione nelle liquidazioni periodiche». Ciò contrasterebbe con la costante giurisprudenza della Suprema Corte.
3.1. -Il motivo è infondato.
La neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta – che risulta da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno ed è dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto – va riconosciuta quando il contribuente ha rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione; ne consegue che, nel giudizio di impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato, non può essere negato il diritto alla detrazione quando il contribuente dimostra in concreto, ovvero non è controverso, di avere compiuto acquisti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili (Cass. n. 5129/2025; Cass. n. 8131/2018).
Sul punto, pertanto, la pronuncia impugnata è conforme alla giurisprudenza di questa Corte.
-La sentenza impugnata dev’essere perciò cassata in relazione al secondo motivo di ricorso e, per l’effetto, va disposto il rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado territorialmente competente anche per la liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per la liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese di lite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 17 settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME